La stanza accanto, l’agonia nell’estetica di Pedro Almodóvar
Leone d’oro alla 81esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, il primo film in lingua inglese del regista spagnolo, interpretato da Tilda Swinton e Julianne Moore, è un potente melodramma sul diritto all’eutanasia
Morire asciutti e puliti, lasciarsi andare senza gli spasimi del corpo che, per sua natura, si oppone con tutte le ultime forze alla morte, malgrado la volontà si sia già pacificata con la fine della vita: dovrebbe essere la dipartita auspicabile per chiunque, eppure sono solo 7 i Paesi nel mondo in cui l’eutanasia è legalizzata (8 con il Portogallo, dove è stata approvata ma non è ancora entrata in vigore). La Spagna di Pedro Almodóvar, a cui si deve La stanza accanto (The Room Next Door), in sala in Italia con Warner Bros dal 5 dicembre, è uno di questi. La legge entrata in vigore nel giugno 2021 stabilisce che ogni persona maggiorenne e pienamente capace di intendere e di volere può richiedere e ricevere aiuto medico alla morte volontaria, purché sia completamente informato e consapevole delle implicazioni della propria richiesta e delle alternative possibili.
In Italia è illegale ma c’è una proposta di legge sul fine vita approvata alla Camera nel marzo 2021 e ferma al Senato.
Una scelta di (fine) vita
Negli Stati Uniti, dove è ambientata la storia raccontata dal regista spagnolo, manca una legge federale e sono solo 9 gli Stati che hanno legalizzato il suicidio assistito (Washington, Oregon, California, Montana, Colorado, Nuovo Messico, Maine, Vermont e New Jersey). Tratta dal romanzo di Sigrid Nunez, Attraverso la vita (What Are You Going Through, del 2020, edito in Italia da Garzanti nel 2022, nella traduzione di Paola Bertante), vede impegnate nei due ruoli principali Tilda Swinton (Martha) e Julianne Moore (Ingrid): sono due amiche, entrambe giornaliste, nella stessa testata durante gli anni giovanili, che si ritrovano dopo essere state a lungo lontane. Martha è una corrispondente di guerra, ha un cancro alla cervice al terzo stadio, in cura in un centro oncologico all’avanguardia a Manhattan con una prospettiva di sopravvivenza di pochi mesi. Ingrid è una scrittrice di successo, coinvolta suo malgrado nella scelta dell’amica di una morte senza dolore: pulita e asciutta.
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L’altra agonia: quella del Pianeta
«Sebbene il tema della morte sia molto presente, non volevo un film lugubre o truculento, il film è pieno di luce e vitalità emanate dal personaggio di Martha e dalla forza della natura che avvolge le due donne nella Casa del Bosco», ha detto il regista. Terza protagonista, infatti, è la splendida abitazione dove Martha decide di trascorrere gli ultimi giorni della sua vita, una casa immersa in un bosco, dalle linee pulite e gli spazi aperti, perfetta per trasformarsi in un rifugio in cui la presenza della natura, attraverso le enormi vetrate, è costante. A fare da set è stata Casa Szoke, progettata dallo studio madrileno Aranguren + Gallegos, sulle pendici meridionali del Monte Abantos, a San Lorenzo de El Escorial, un piccolo paese vicino Madrid, e sapientemente sfruttata per le esigenze del film dalla scenografa Inbal Weinberg. Accanto alle due, poi, c’è Damian (John Turturro), un amante condiviso in gioventù, che porta la testimonianza di un’altra agonia, ha spiegato ancora Almodóvar:
«Quella del pianeta nel quale viviamo Il giorno in cui neoliberismo ed estrema destra avanzeranno insieme inizierà il conto alla rovescia, e oggi estrema destra e neoliberismo si tengono già per mano».
Su tutti i vivi e su tutti i morti
E se il canto costante degli uccelli è capace di placare le sofferenze di Martha e alleggerire il terrore per la morte di Ingrid, la neve (che a New York cade rosa, per effetto del cambiamento climatico) scende nello splendido finale “su tutti i vivi e su tutti i morti”, come scrive il più volte citato James Joyce in I morti, ultimo racconto di Gente di Dublino. La parola, d’altronde, scritta e detta, è fondamentale in questo come negli altri film dell’autore spagnolo, che ha sottolineato nelle note di regia: «I lunghi testi di Tilda – da lei divinamente padroneggiati – tengono perché si alternano con lo sguardo di Julianne, che l’ascolta. È un vero tour de force per le due attrici. Per Tilda Swinton si trattava di mantenere il tormento dell’agonia nei suoi lunghi monologhi, senza risultare teatrale né monotona, nell’alternanza con i controcampi di Julianne Moore che la guarda e l’ascolta. Solo le grandi attrici sanno guardare e ascoltare in silenzio».
Nella bellezza e nella natura
Film fatto dalle sue interpreti, certo, ma anche e soprattutto dalle inquadrature perfette di Almodóvar ancora una volta costruite su forme e colori in incredibile armonia. Le immagini, bagnate dalla luce cristallina scelta da Eduard Grau (autore della fotografia spagnolo che aveva già lavorato con Julianne Moore in un altro algido capolavoro, A Single Man di Tom Ford) sono capaci di appagare l’occhio talmente tanto con la loro estetica equilibrata e meticolosa (non c’è nuance che non sia stata prima a lungo studiata dai reparti artistici, guidati per la scenografia da Weinberg e per i costumi da Bina Daigeler) che alla prima visione La stanza accanto può apparire un film gelido nel suo approcciarsi a un tema così delicato: la morte vista come unico futuro desiderabile. Elogio inappuntabile del libero arbitrio, scevro di ognuna delle note più classiche e bazzicate del melodramma, il nuovo lungometraggio di Almodóvar concede a Martha una fine all’altezza della propria vita, immersa nella bellezza e nella natura, con la dignità – appannaggio dei ricchi – di potersene andare asciutta e pulita.
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Saperenetwork è...
- Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.
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