Medea in sartoria. Tornano le Donne del Muro Alto
Il nuovo spettacolo della regista Francesca Tricarico alla Festa del Cinema di Roma domenica 16 ottobre presso il Museo Maxxi. In scena le ex detenute e ammesse alle misure alternative alla detenzione della Casa Circondariale Femminile di Rebibbia
Due sarte impiegate in una sartoria clandestina, tra bottoni e colletti, si interrogano sulle stranezze e la misteriosa vita della nuova collega arrivata dalla Romania con il suo bambino. La compagnia delle Donne del Muro Alto torna alla Festa del Cinema di Roma, domenica 16 ottobre all’Auditorium del Maxxi, con una personale rivisitazione tra il serio e il faceto del mito di Medea: Medea in sartoria. Tre donne davanti alle loro macchine da cucire, chiacchierano e discutono, alla ricerca di sé, tra la voglia di denunciare e la paura di scegliere, in un confronto ironico e amaro che svela quanto di ognuna ci sia nell’altra.
Lo spettacolo, è stato messo in scena dalle attrici ex detenute e ammesse alle misure alternative alla detenzione della Casa Circondariale Femminile di Roma Rebibbia, dirette dalla regista Francesca Tricarico.
Realizzato con il sostegno delle Officine di Teatro Sociale della Regione Lazio, è ospite della sezione della Festa per il Sociale grazie alla rinnovata collaborazione con la Fondazione Cinema per Roma. Abbiamo chiesto a Francesca Tricarico, direttrice artistica dell’associazione Per Ananke, di raccontarci com’è nato questo spettacolo.
Francesca, perché Medea e perché in sartoria?
Abbiamo riflettuto molto su cosa portare in scena in questo secondo anno di attività da donne libere o semilibere. La prima volta che abbiamo studiato e rappresentato Medea è stato all’interno del carcere di Rebibbia, con le stesse donne che la portano in scena oggi. Sono, chiaramente, due spettacoli diversi. Quello in carcere era frutto di uno lavoro fatto all’interno di una sezione, dove abbiamo ‘tagliato e cucito’ Medea in base alle esigenze del gruppo in quel momento. Questo nasce, invece, dopo una lunga riflessione su quello che abbiamo bisogno di raccontare da donne libere o semilibere. Mentre studiavamo Medea senza le sbarre, i cancelli, le serrature, ci siamo ritrovate a parlare di tutti quei muri che si incontrano una volta fuori dal carcere, soprattutto in ambito lavorativo. Una riflessione non solo sul reinserimento delle donne che escono dal carcere, ma di tante altre realtà del mondo del lavoro oggi, in questa società che vive di sfruttamento che però non vuole vedere. È nato quindi un testo che racconta la storia di donne all’interno di una sartoria clandestina.
Un personaggio difficile e complesso. A quale testo vi siete ispirate in particolare?
Abbiamo lavorato su Euripide, Christa Wolf, Ovidio e Pasolini e poi abbiamo riscritto la nostra Medea, riadattandola a una Medea contemporanea.
E questa Medea chi è?
La Medea che interpreta adesso Daniela Savu è una donna arrivata dalla Romania, portata qui dal suo uomo che le fa grandi promesse e poi l’abbandona. Mentre nella sua prima interpretazione, a Rebibbia, si trovava in carcere per aver rubato il vello d’oro. Ma anche le altre donne nella sartoria sono, ognuna a suo modo, delle Medee, perché riflettendo sulla condizione di questa straniera in realtà si trovano a fare i conti anche con loro stesse, le loro scelte di vita, il rapporto con la società, con la propria famiglia.
Medea, Romeo e Giulietta: spesso il vostro lavoro parte da grandi classici, perché?
Perché ci danno l’opportunità di parlare di noi, dei nostri bisogni e delle nostre necessità, protette dal racconto dei grandi autori. Siamo nude senza esserlo, e questo ci permette di essere ancora più vere.
Dopo la Festa del Cinema che progetti avete?
Dopo la festa del Cinema, sicuramente in primavera il debutto ufficiale di una versione un po’ più lunga della nostra Medea in sartoria, perché questa è un’anteprima. E, ci auguriamo, altre repliche.
L’associazione “Per Ananke” nata nel 2006 si occupa della diffusione della cultura teatrale e artistica con particolare attenzione ai luoghi di disagio sociale. Dal 2010 si dedica al teatro in carcere, in collaborazione con enti pubblici e privati.
Dal 2013 è impegnata nella realizzazione di laboratori teatrali nella Casa circondariale Femminile di Rebibbia, dal 2020 all’esterno con donne ex detenute e ammesse alle misure alternative alla detenzione, dal 2022 anche nella sezione femminile della Casa Circondariale di Latina sezione Alta Sicurezza e Rebibbia Nuovo Complesso sezione transgender. Dal 2021 collabora con il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre. Fa parte del coordinamento Nazionale Teatro in carcere e dal 2018 le sue produzioni teatrali legate alle attività in carcere sono presenti alla Festa del Cinema di Roma in collaborazione con la Fondazione Cinema per Roma.
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- Alice Scialoja, giornalista, lavora presso l'ufficio stampa di Legambiente e collabora con La Stampa e con La Nuova Ecologia. Esperta di temi ambientali, si occupa di questioni sociali, in particolare di accoglienza. Ha pubblicato il libro A Lampedusa (Infinito edizioni, 2010) con Fabio Sanfilippo, e i testi Neither roof nor law e Lampedusa Chapter two nel libro Mare Morto di Detier Huber ( Kerber Verlag, 2011). È laureata in Lettere, vive a Roma.
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