Nelle piazze, per una conferenza di pace. Intervista a Francesco Vignarca

Nelle piazze, per una conferenza di pace. Intervista a Francesco Vignarca

Iniziative in tutta Italia dal 21 al 23 ottobre. A Roma manifestazione nazionale il 5 novembre. Dopo otto mesi di conflitto e un’escalation che avvicina il rischio di uso di armi nucleari, è urgente chiedere alle istituzioni, ci spiega il Coordinatore campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo, di intraprendere strade diverse

«Le mobilitazioni servono per lanciare un messaggio a tutti. Dopo la grande attenzione dei primi tempi, e quella nei momenti in cui le minacce sono state più forti, abbiamo assistito a un allontanamento dell’opinione pubblica rispetto alle notizie del conflitto armato in Ucraina. Quindi è necessario riempire le piazze per la pace. È chiaro che il messaggio è rivolto anche alla politica, perché solo tramite le istituzioni si può pensare di ottenere un cessate il fuoco e avviare un percorso di negoziato internazionale».

 

Francesco Vignarca, Rete Italiana Pace e disarmo

 

Con queste parole Francesco Vignarca della Rete Italiana Pace Disarmo spiega perché il popolo della pace scenderà di nuovo nelle piazze italiane dal 21 al 23 ottobre e a Roma il 5 novembre. A otto mesi dall’invasione russa e alla vigilia della settimana Onu per il Disarmo, la coalizione di Europe for Peace, che raccoglie più di 600 associazioni, ribadisce che le armi non sono la soluzione per porre fine alla guerra in Ucraina, e rilancia la richiesta di cessate il fuoco immediato affinché si giunga a una Conferenza internazionale di Pace. Aggiunge Vignarca:

«Sottolineo che le mobilitazioni previste in tantissime città italiane non saranno estemporanee: saranno la continuazione delle iniziative che stiamo portando avanti dall’inizio di questo conflitto, con politiche serie. Altrimenti le mobilitazioni rischiano di essere solo dei momenti quasi autoassolutori. Vogliamo far capire ai decisori politici che c’è un sentimento di pace in tutta Italia».

 

Francesco Vignarca, si avverte il bisogno di pace anche da parte dei cittadini dei territori coinvolti nel conflitto? I media e la politica non sembrano tener conto di queste voci. Il dibattito pubblico non sembra andare oltre lo scontro fra i cosiddetti “putiniani” e “antiputiniani”…
Il dibattito mediatico è stato polarizzato e soprattutto banalizzato. È più facile in questo modo fare click, ascolti, non pensare, e ridurre tutto a una questione di tifo. Invece la guerra è complessa, problematica, e quindi va analizzata anche al di là degli slogan. Certamente, sappiamo che le persone in Ucraina vogliono la pace. Forse fanno fatica a capire come ottenerla, perché sono entrati in un incubo che dura ormai da molti mesi. Ma è uno dei motivi per cui abbiamo organizzato le Carovane della Pace di “Stop The War Now”, e per cui siamo presenti anche con dei volontari nelle città ucraine. Come facciamo da sempre, solo stando vicino alle vittime, alle persone che soffrono, possiamo intraprendere un percorso di pace.

 

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La guerra sta avendo effetti devastanti sulle persone più deboli non solo in Ucraina. In Europa il rincaro dell‘energia potrebbe bloccare moltissime imprese e mettere in ginocchio l‘economia di interi Paesi. Era uno scenario prevedibile?
Purtroppo quando inizia una guerra i contraccolpi si riverberano a un livello sempre più ampio. Ovviamente in prima battuta nei territori del conflitto. Ma quando le guerre coinvolgono anche i produttori di energie – e nel caso del conflitto in Ucraina in particolare di ga s- da cui dipendono e dipendevano molti Paesi, lo scenario diventa particolarmente problematico. A questo si aggiunge la crisi alimentare che colpirà specialmente le fasce più deboli della popolazione mondiale. Era tutto prevedibile, perché la guerra fa questo.

La guerra è distruzione, non può mai essere una soluzione e non può favorire un miglioramento delle condizioni. Può solo portare a un deperimento dei diritti e quindi all’allontanamento dalla pace.

Come Rete Italiana Pace e Disarmo, riteniamo importante considerare questi aspetti, ma non in senso egoistico: «finché ci tocca cerchiamo la pace, altrimenti non ci interessa». Potremo costruire una pace “positiva”, e quindi presenza di diritti e opportunità per tutti, solo se ampliamo il sistema di sicurezza condiviso, solo se estendiamo le modalità che favoriscono il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni di tutto il mondo. Una pace che non è riconducibile solo al fatto che “il cannone non sta tuonando”. In quel caso parliamo di armistizio, di un cessate il fuoco, di sospensione della ostilità. La pace è tutt’altra cosa.

 

Qual è la posizione della Rete Italiana Pace e Disarmo circa la volontà di alcuni partiti di svolgere sit-in sotto l’ambasciata russa?
È una querelle di basso livello. Pensiamo invece che le manifestazioni sono necessarie per mandare messaggi connessi a una proposta politica. Abbiamo scritto un mese fa al Segretario Generale delle Nazioni Unite per avviare un percorso che duri nel tempo. Dire che si sta facendo pressione su Putin solo perché il sit-in si fa davanti l’ambasciata russa non ha senso. Il messaggio arriva forte e chiaro se coinvolge il popolo. Se c’è condivisione.

E per questo pensiamo che sia più importante essere, come faremo nel prossimo weekend, in decine di piazze italiane. E ci auspichiamo di essere in più di centomila a Roma il 5 novembre.

 

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres

 

Vogliamo far capire a chi prende le decisioni che c’è una richiesta di pace che va oltre il sit-in. Putin non guarderà le nostre piazze e nemmeno se siamo andati sotto la sua ambasciata. Ma piuttosto se c’è intenzione da parte dei governi europei e internazionali di muoversi in una certa direzione. Certo, le richieste le facciamo anche a lui, ma le facciamo soprattutto per far capire al popolo ucraino e ai nostri amici delle organizzazioni di pacifisti e obiettori in Russia che c’è un’altra strada. Tutto il resto sembra soltanto un gioco delle parti. È una polemica facile. Oltretutto la Rete Italiana Pace e Disarmo non ha mai fatto manifestazioni sotto le ambasciate. Ci sono stati dei sit-in legati al trasferimento di armi oppure a imprigionamenti. Sappiamo bene che le proposte di pace devono arrivare in primis ai nostri governanti, perché siamo in Italia e dobbiamo cercare di influenzare la politica del nostro Paese.

Lo scioglimento delle Camere non ha fermato i programmi di riarmo. In Italia si parla di investimento che potrebbero superare i 22 miliardi di euro. Le armi sembrano essere l‘unico supporto da parte dei governi internazionali al popolo ucraino per fermare la guerra. Ma l‘escalation ha avuto come effetto quello della minaccia atomica…Rischiamo davvero di arrivare a un punto di non ritorno? 
Purtroppo la guerra in Ucraina ha dato la stura ad un aumento della spesa militare e all’aumento dell’acquisto di nuovi sistemi d’arma. Però va precisato che era una dinamica già presente. Questa guerra ha reso evidente una tendenza: negli ultimi 20 anni le spese militari mondiali sono raddoppiate, e inoltre ha tolto quel velo di ipocrisia per cui le spese militari venivano effettuate ma non dette. In questo momento storico l’opinione pubblica viene manipolata da chi ritiene che solo con l’aumento delle spese militari possiamo essere più sicuri, non sapendo ad esempio che spendiamo molto di più della Russia.

I politici per molto tempo hanno cercato di nascondere queste spese militari, perché le risorse non sono infinite, e questo implicava e implica un taglio alle spese sociali e a quelle per il rafforzamento dei percorsi di pace.

 

La strada del continuo armamento è sbagliata e può portare allo scontro nucleare. Tutte le grandi potenze nucleari stanno, infatti, aggiornando i propri arsenali. Le voci sull’uso di armi atomiche in un primo momento ci hanno fatto pensare a un gioco di potere o a una strategia internazionale, ma le minacce di Putin hanno invece dimostrato che le armi nucleari sono concrete e il pericolo nucleare è troppo forte. Anche un solo caso di guerra nucleare limitata provocherebbe milioni di morti. Non possiamo permettercelo. L’unica situazione lontana dal pericolo nucleare è quella in cui non esistono armi atomiche.

C‘è un bisogno di pace in tutto il mondo. Sono ancora tanti i conflitti dimenticati. Da dove bisogna ripartire?
Non credo che ci siano tanti conflitti dimenticati, ma tanti conflitti ignorati. Ignorati dai nostri media che tornano con la loro attenzione solo quando la guerra riguarda politicamente le nostre situazioni, e così non si è parlato dello Yemen, della Siria, dell’Etiopia e dell’Eritrea, dell’Armenia, dell’Afghanistan. Proprio l’Afghanistan è un caso emblematico: 20 anni di presenza in cui noi abbiamo invaso, pensando di portare la democrazia, e poi siamo scappati a gambe levate, con la coda fra le gambe, e ora non ne parla più nessuno. Così come nessuno parla più dell’Iraq.

Luoghi che dopo la nostra presenza militare sono diventati peggiori, ma nessuno si fa domande. Nessuno prova a chiedersi se è giunto il momento di intraprendere altre strade. Questo è sicuramente un punto da cui ripartire.

Bisogna essere consapevoli del fatto che i conflitti sono tanti e che in molte parti del mondo si sta male. E l’uscita deve essere congiunta, deve cioè considerare le posizioni di tanti altri Paesi. Anche sul conflitto in Ucraina, si tende a credere che tutti la pensino allo stesso modo, ma in realtà moltissimi Paesi hanno votato e preso posizioni diverse da quelle dell’Europa, della Nato e dell’Occidente in senso lato. Facciamoci carico di altre visioni e soprattutto di un punto: qualunque siano i governi, qualunque siano le situazioni politiche, i popoli e le comunità vogliono la pace, prospettive positive di vita, vogliono risolvere i problemi che ci accomunano, in particolare il cambiamento climatico.

 

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Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.

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