Pier Paolo Pasolini è vivo
Dal Centro Studi di Casarsa della Delizia e dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia: un piccolo viaggio alla scoperta dei luoghi friulani e delle mostre dedicate al grande poeta nel centenario della nascita
“Il primo Friuli è tutta pianura e cielo. Così, nel 1953 Pier Paolo Pasolini, dipingeva in uno straordinario documentario radiofonico per la Rai, il “paese di temporali e primule”, sua terra di origine. Ancora oggi, salendo da Venezia in treno, la straordinaria regione di confine è un viaggio nel viaggio, un paesaggio in cui noi “foresti” cerchiamo riferimenti, tra montagne, pianure, lagune e fiumi.
Se c’è una lezione che dovremmo aver imparato dalla pandemia è quella di doversi concedere tempo. Tempo per riflettere, per amare, per nutrire la nostra creatività profonda. Un tempo per capire dove siamo e chi siamo. Alcune risposte possono arrivare proprio da un paese al centro della pianura friulana, Casarsa della Delizia, dove nel piccolo cimitero è sepolto Pier Paolo Pasolini. Lì a qualche centinaio di metri, in centro, si trova Casa Colussi oggi sede del Centro Studi a lui dedicato, dove nacque Susanna Colussi, la madre del poeta, come lui stesso amava definirsi, ed era, prima di tutto.
Pasolini, “sotto gli occhi del mondo”
Una visita che ho avuto modo di iniziare qualche settimana prima, a Villa Manin, a Passariano di Codroipo, a 15 km da qui, dall’altra parte del fiume Tagliamento, grazie a Sotto gli occhi del mondo, mostra fotografica e multimediale che si snoda tra le due cittadine: l’una in provincia di Udine, e l’altra, oggi in provincia di Pordenone.
Un pellegrinaggio civile che consiglio, a prescindere dal triste anniversario in cui si è celebrata la sua morte, nell’anno in cui ricorre il centenario della sua nascita, non appena potrete.
Di certo dovrete recarvi in Friuli prima del termine dell’esposizione l’8 gennaio 2023: potrebbe essere occasione unica non solo per conoscere le origini del genio Pasolini, ma per comprendere perché ancora oggi sentiamo la sua mancanza.
Per la mia generazione cresciuta negli anni ‘70, come ricorda Massimo Recalcati in un breve saggio illuminante Pasolini, il fantasma dell’origine, l’incontro con lo scrittore è stato prima un trauma, con il suo corpo morto, ferocemente assassinato, mostrato senza alcun ritegno nei rotocalchi dell’epoca. Poi l’incontro con le sue parole, almeno per me, da Scritti Corsari a “Le Belle Bandiere, fino al romanzo postumo Petrolio, i documentari e poi con il suo cinema. Così è esaltante la sensazione, al termine di questo percorso di conoscenza, di sentirlo quasi “fisicamente” vivo. Pasolini ci guarda, ci osserva, mentre il mondo lo scrutava allora. E proprio quando, nell’oggi, si sta compiendo molto di quanto lui aveva previsto. Un intenso piacere estetico si compie mentre si è immersi tra le foto che lo ritraggono in ogni parte del mondo, grazie al progetto artistico di una ricercatrice e studiosa di origini spagnole, Silvia Martin Gutierrez, curatrice straordinaria anche del sito e dell’omonimo profilo su Instagram, Città Pasolini.
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Un archivio digitale perfettamente calzante con l’opera multimediale di PPP: dalle poesie, ai documentari, alle interviste, fino alle foto di scena dei film, agli schizzi e ai dipinti che è possibile scoprire proprio a Casarsa del Friuli. Ma anche video, grazie ai preziosi fotogrammi recuperati da un altro archivio storico importante come quello di Cinemazero a Pordenone.
Pasolini è moderno, contemporaneo, poliedrico, perfettamente declinabile nella frammentazione del mare di internet.
L’amore e la passione della Gutierrez per la vita, le opere, il poeta, lo scrittore, il regista, l’intellettuale, traspare nella cura dei particolari, nella dovizia scientifica e al contempo di percepisce una profonda “pietas” verso l’uomo, oltre che verso l’artista “sotto gli occhi del mondo”. La curatrice, come si comprende leggendo il prezioso catalogo della mostra edito da Contrasto, ha creato un vero e proprio quadro di indagine su vari livelli, storico, estetico e antropologico intorno al genio Pasolini. Per farlo ha ricostruito, connesso e ordinato, insieme a Marco A. Bazzocchi, Guido Comis e Riccardo Costantini, le opere provenienti da oltre 30 archivi di tutto il mondo scattate da ben 42 fotografe e fotografi statunitensi, francesi, tedeschi, turchi, italiani. Ricostruendo contesti, periodi, presenze.
Corsaro nella storia
Esperimento perfettamente riuscito. L’emozione scaturita dalla visione della prima parte di mostra, quella del Pasolini internazionale, allestita a Villa Manin è stata, per me, travolgente. Negli scatti che lo ritraggono, Pasolini era già entrato nella nostra Storia contemporanea, icona della critica al potere, scrittore corsaro, giornalista, documentarista e all’apice della notorietà come regista. Nei ritratti lo vediamo a suo agio accanto alle artiste che più ha amato, Maria Callas, Laura Betti, Anna Magnani. Nei più ambiti festival cinematografici e nelle università da Parigi, a Venezia, a Roma, fino a New York. Nei viaggi nel sud del mondo a partire da quello in India con Elsa Morante e Alberto Moravia. Poi in Africa, in Siria, in Turchia, in Nepal. Fino in Iran, sì quello stesso Iran, la Persia delle Mille e una notte, dove oggi è in corso una delle più strazianti oppressioni dei diritti civili e umani della nostra epoca.
Pasolini è, così, vivo. La sensazione è esattamente questa nell’ammirare il suo sguardo, la sua postura davanti ai fotografi e alle macchine da presa di alcuni dei più grandi fotografi e registi mondiali nel suo giro intorno al globo. Richard Avedon, Pierre Boulat, Henri Cartier Bresson. Ma anche Dacia Maraini e Agnès Varda.
Uno sguardo fiero che via via si incupisce, come nelle ultime foto inedite, scattate da Lütfi Özkök a Stoccolma, sul finire dell’ottobre del 1975, dove si caldeggiava la sua candidatura al Nobel.
Sono le ultime immagini pubbliche che lo ritraggono solo qualche giorno prima del suo assassinio. Ma, nonostante ci riconducano alla realtà della sua scomparsa, rimane la fame di capire, di scoprire di più dell’uomo e dell’artista, non solo attraverso la sua scrittura e i suoi film ma anche attraverso le sue origini. E per chi non è mai stato a Casarsa della Delizia è lì che bisogna andare.
Casarsa e il sogno di una cosa
Dicono che Casarsa sia oggi diversa da come l’avesse lasciata Pasolini nel gennaio del 1950. Soffocato dallo scandalo, accusato di atti osceni in luogo pubblico, lui che era figura educativa e sociale della comunità, al contempo di spicco e scomoda del Partito Comunista locale, era fuggito con la madre in direzione Roma. Una vicenda da cui uscirà scagionato, ma che lo allontanerà dalla sua terra e al contempo lo proietterà nel mondo. Tornerà sporadicamente negli anni seguenti, a Casarsa, accompagnato dalle persone da lui più amate, oltre l’adorata madre, Maria Callas. Sarà poi il cugino, lo scrittore Nico Naldini, con cui Pier Paolo era cresciuto, a far memoria sulla sua opera e la vita in Friuli, attraverso raccolte, antologie, biografie, mostre e continue ricerche. Pier Paolo Pasolini resterà così, per sempre, come mi confermano in paese, “uno di noi”. Dopo 25 anni dalla sua fuga verrà assassinato, il 2 novembre 1975 sul lungomare di Ostia, all’apice della notorietà. Ma verrà sepolto proprio nel piccolo cimitero di Casarsa, affollato da migliaia di persone, il 6 novembre del 1975, come testimoniano le foto visibili proprio a Casa Colussi. Casarsa della Delizia appare ancora oggi un piccolo borgo a misura d’uomo, circondato da vigneti. Nelle teche Rai c’è un altro straordinario documentario girato un anno dopo la sua morte, Il sogno di una cosa – Il Friuli di Pasolini che ci mostra come fosse allora la cittadina.
Almeno in superficie tutto sembra rimasto uguale.
Non ci sono più le “belle bandiere”, quello rosse e operaie ma rimangono i vigneti, la chiesa del Rosario, la piazza, il bar storico con le scritte in friulano, il macellaio e il teatro a lui intitolato. Oggi nel cimitero di Casarsa, accanto a Pier Paolo Pasolini è sepolta la madre, Susanna Colussi, mancata nel 1981. Poco distante la tomba del fratello partigiano Guidalberto che morì appena diciannovenne ucciso dai partigiani comunisti a Cividale del Friuli il 12 febbraio del 1945, nei fatti legati all’eccidio di Porzûs e del padre Carlo Alberto, militare in epoca fascista.
Poeta e scrittore in lingua friulana
Pasolini nasce però a Bologna, il padre militare di carriera portava con sé la famiglia in giro per l’Italia. Eppure Pier Paolo resterà per tutta la sua vita indissolubilmente legato ai luoghi materni friulani, in cui sfollerà durante la guerra con la madre. Luoghi di cui si sentirà per sempre figlio.
Il Friuli è il luogo dell’infanzia, delle estati spensierate da ragazzo. Ma anche il luogo della conoscenza, della scoperta dell’arte e dall’amore, il luogo dove rivendicare la propria identità.
Lì aveva studiato e soprattutto mosso i fondamentali passi come poeta, insegnante, politico, attivista per i diritti umani, come è facile apprendere dalla documentazione esposta a Casa Colussi. In Friuli pubblicherà il suo primo libro, la raccolta di poesie in friulano dedicata proprio al padre, Poesie a Casarsa, e il suo primo romanzo, Il sogno di una cosa, scritto tra il 1949 e il 1950 ma pubblicato solo nel 1962. Proprio a Casa Colussi fonderà l’Academiuta di Lenga Furlana intitolata al fratello Guido, consesso artistico ed intellettuale che animerà le domeniche casarsesi, producendo anche una rivista, impegnata nella tutela della lingua neoromanza friuliana, insieme al cugino Nico Naldini, a cui dobbiamo la preziosa antologia degli scritti friulani di Pier Paolo, Un paese di temporali e di primule edito da Guanda. Nico Naldini è mancato nel 2020, ma la sua voce e il suo racconto, in video, della gioventù con Pierpaolo è visibile su richiesta al termine della visita. A Casa Colussi, oltre a rivivere lo spirito della famiglia e dei primi anni scolastici, viene ricostruita la figura del Pasolini poeta, il Pasolini calciatore, il Pasolini maestro ed educatore, il Pasolini attivista e politico. E il Pasolini pittore, con un’intera sala dedicata alle sue opere.
Guarda il video con Nico Naldini
Nei luoghi del poeta
La visita può proseguire, in bicicletta, esattamente come si muoveva lui, da una frazione all’altra, messa a disposizione per i visitatori del Centro Studi Pasolini, nei luoghi da lui frequentati. Dalla Chiesetta di Santa Croce, alla Loggia di San Giovanni di Casarsa, locale sede del Partito Comunista a cui aderì dopo essere uscito dal Movimento popolare per il Friuli, alla frazione di Versuta, dove insegnò a bambini e ragazzi durante gli anni il periodo della seconda guerra mondiale dal 1943 a tutto il 1947. Lì con l’aiuto degli allievi e dei compagni di allora riportò alla luce gli affreschi del XIV secolo della chiesetta di Sant’Antonio Abate. Il viaggio alla scoperta dei luoghi pasoliniani friulani è appena iniziato. Mancano Valvasone Arzene, San Vito al Tagliamento, Sacile, Sesto al Reghena e Cordovado, Grado e la sua laguna, dove Pasolini girò il film Medea.
Quello che penso ora, prima di poter tornare qui e andare nei luoghi bolognesi e alla scoperta delle case romane, sfondo dei suoi ritratti nella seconda parte della mostra a Casa Colussi, è che Pasolini r-esiste in ogni dove.
Lo riviviamo ogni giorno, in tutto ciò che aveva previsto e denunciato. Nella corsa ai consumi che ci avrebbe inghiottito, nei “nuovi fascismi”, nelle innumerevoli povertà economiche ed intellettuali. Nelle nostre città sempre più disumane e cementificate, trasformate in tante periferie.
Nelle nostre vite sempre più avare di abbracci e di corpi. E sempre più riversate in quei mezzi di distrazione di massa che tutti frequentiamo, usiamo, diffondiamo, vediamo. Ieri la televisione, oggi chat e social network. Eppure siamo davvero distanti dall’ingenuità dei sentimenti documentata nei suoi “comizi d’amore”?
Quanta mancata consapevolezza viviamo ancora oggi, ignari e ignoranti dei meccanismi che agitano le nostre esistenze?
Quanto intorno a noi condiziona le nostre vite, come le forme delle nostre città? Pasolini riappare ogni giorno nella necessità di dire la verità, di raccontare il vero. E non è un caso che torni in mente e torni in mente a molti. In questa epoca di pandemie, guerre e cambiamenti climatici, di profonda crisi sociale, ambientale e politica, ciò sembra ancora più vero. Per comprendere il suo genio a fondo l’invito è quello di recarsi nella sua terra materna, il Friuli. E poi seguire le sue tracce a Bologna e a Roma. Ma per ritrovare senso alle nostre vite non possiamo che cercare, come lui ci ha insegnato, dove il vero si compie. Anche per questo riprendo il mio viaggio per Taranto, che lui definì nel 1959, città perfetta.
Saperenetwork è...
- Giornalista d’inchiesta e civica, pasionaria del diritto di sapere e della trasparenza. Nata come blogger e redattrice sociale, nelle mie tante vite sono stata anche una critica teatrale. Grazie a Sapereambiente tanti fili rossi si riuniscono intorno alla bellezza e al bisogno continuo di conoscenza. Di umanità che non si arrende, nella natura, nella cultura, nella musica. Alla ricerca di buone storie all’insegna della sostenibilità e di un cambiamento possibile.
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