Pylos, un’Europa al buio di umanità
L’ennesimo naufragio, con un bilancio che potrebbe arrivare a 600 morti: persone in cerca di futuro, di cui molte donne e bambini. Un dramma che non vogliamo vedere
Settecento persone, cinquecento morti. Di cui cento bambini. Il governo greco proclama il lutto nazionale per la catastrofe di Pylos (e menomale, almeno un lutto nazionale sensato, dopo quello dedicato, dalle nostre parti, a Silvio Berlusconi), ma al tempo stesso chiarisce, a pochi giorni dalle elezioni, che non ha intenzione di cambiare rotta sull’immigrazione. Il governo italiano, quello del decreto Cutro, ci tiene a far sapere che sta facendo il suo dovere. Ma quale dovere? Appunto. Dinamica del naufragio, l’ennesimo, e dei soccorsi, sulla puntualità e efficienza dei soccorsi. Ribaltamento, pare. Forse. La guardia costiera greca, dicono i sopravvissuti, li ha tirati agganciandoli a sé con una corda, e a un certo punto l’imbarcazione si sarebbe ribaltata. Il mare era piatto, ma la barca era stipata all’inverosimile.
Tempistiche portate all’estremo, nell’estremo tentativo, vile, di rimpallare, da una sponda all’altra del Mediterraneo. Questa ormai è la prassi.
Fortezza Europa, senza visione del futuro
Ma d’altra parte, nel 2020, fu la Commissaria europea Von der Leyen in visita in Grecia per la consegna di 700 milioni di euro per il contrasto all’immigrazione, a definire il Paese “scudo d’Europa”. Già. Scudo di una fortezza insensata, fatta di piccole patrie egocentrate, senza progetti, senza visione del futuro. Se non quello, appunto, del contrasto alle migrazioni.
“Sostituzione etnica”, come dicono le nuove destre, ma siamo sicuri non sia la stessa cosa, detta con parole semplicemente più burrose? Ovviamente adesso è caccia ai famigerati scafisti, quelli dell’orbe terraqueo tanto caro alla nostra premier. Perché la colpa è loro, degli scafisti, e di chi parte, secondo le scellerate dichiarazioni del ministro Piantedosi all’indomani di Cutro. Colpa loro, non di politiche di contenimento allucinanti, che foraggiano regimi dittatoriali come Libia e Tunisia, con le loro stanze delle torture e favoriscono rotte più pericolose, come quella seguita da quest’ultima imbarcazione, da questo peschereccio sventurato che partito da Tobruk ha fatto una L arrivando in Grecia per poi tentare di arrivare in Italia.
Il salvataggio più incredibile della storia italiana
Nel 1979 migliaia di vietnamiti fuggirono dal regime di Ho Chi Minh su imbarcazioni di fortuna, le immagini dei “boat people”, della loro disperazione in mezzo al mare fanno il giro del mondo, ma c’è ancora il muro di Berlino, nessuno si sbilancia o ha il coraggio di intervenire. In Italia fu Tiziano Terzani a rendere pubbliche alcune di queste immagini, davanti alle quali il presidente della Repubblica Sandro Pertini diede ordine al Governo, allora guidato da Giulio Andreotti, di intervenire immediatamente. Quella che resta, ad oggi, l’operazione di salvataggio più incredibile della storia italiana, parte ufficialmente il 4 luglio, con tre incrociatori della marina militare che percorreranno 12mila chilometri senza scalo, la navigazione più lunga fatta dalla marina italiana, con condizioni meteorologiche molto difficili, tra il caldo estremo del mar Rosso, i monsoni dell’Oceano Indiano che mettono a dura prova i motori delle imbarcazioni. Oltre 2640 miglia marine percorse, 250mila chilometri quadrati perlustrati, porteranno alla salvezza 907 persone, tra cui 125 bambini. Forse pochi lo sanno o lo ricordano, ma oggi molti di loro, i loro figli e in alcuni casi nipoti, sono cittadini italiani.
«I greci sono allo stremo»
E noi, oggi? No, certo, Pertini non c’è più. Ma il Mediterraneo c’è ancora, solo che non è più il Mare Nostrum meticcio (parola bellissima e tanto odiata negli ultimi anni), di cultura e culture, di accoglienza. Dice il grande Petros Markaris in una bella intervista su La Stampa che i greci (ma si potrebbe dire lo stesso degli italiani, in fondo), non sono diventati razzisti:
«Siamo un popolo da sempre accogliente, pensate a Lesbo, quanti rifugiati turchi ha accolto dopo la guerra del 1922. No, i greci oggi sono allo stremo. (…) E quando gli immigrati si sistemano in Grecia e trovano lavoro, inevitabilmente i greci più poveri hanno paura per se stessi».
È vero. È la Grecia dopo la crisi del debito sovrano europeo, quella ridotta alla fame dal “whatever it takes” di draghiana memoria. Forse gli insulti, le urla, le scempiaggini degli odiatori sui social vengono da qui. O forse no, forse è qualcosa di più antico, atavico. Ma esce fuori, non a caso, adesso, quando il disagio economico, la paura, la rabbia, trasbordano e diventano rivalsa e vendetta di tutto e su tutto, con le vicende personali, quelle singole, inevitabili tragedie piccole o grandi che ognuno deve affrontare nella propria vita, che si fondono grossolanamente con una Storia sempre più disgregata, fatta di schieramenti insensati e odii primordiali.
«L’egoismo è inutile», diceva George Saunders ai laureati della Syracuse University, in un discorso diventato poi un libro, indispensabile (Minimum Fax, 2018).
È così, lo sappiamo, ma continuiamo a ignorarlo. C’è un’altra frase, bellissima, che è il titolo della nuova, bellissima serie di Zerocalcare. «Questo mondo non mi renderà cattivo». Proviamo a usarla come mantra. Forse cattivi lo siamo già diventati. ma proviamoci, almeno.
Saperenetwork è...
- Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.
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