Rapito, il grande cinema di Marco Bellocchio che ci stupisce sempre
Presentato a Cannes76 e adesso in sala il film che ricostruisce l’inquietante storia di Edgardo Mortara, il bambino ebreo sottratto alla famiglia da Pio IX, ultimo Pontefice sovrano. L’ennesima opera imperdibile di un regista che, caso più unico che raro, con gli anni diventa sempre più efficace
Cos’è un dogma? Chiede Pio IX, ultimo dei Papa Re, ai bambini della Casa dei Catecumeni durante il pranzo per l’Immacolata Concezione, in una delle scene di Rapito, film di Marco Bellocchio, presentato in concorso al Festival di Cannes. «Una verità di fede che non si discute», risponde, unico, il piccolo Edgardo Mortara, strappato di forza dalla sua famiglia ebrea, perché battezzato all’insaputa di tutti. La legge papale è inappellabile: deve ricevere un’educazione cattolica. I genitori, sconvolti, faranno di tutto per riaverlo. Sostenuta dall’opinione pubblica e dalla comunità ebraica internazionale, la battaglia dei Mortara assumerà presto una dimensione politica. Il Papa, però, non accetta di restituire il bambino. Mentre Edgardo cresce nella fede cattolica, il potere temporale della Chiesa volge al tramonto e le truppe sabaude conquistano Roma.
Il caso Mortara
Fatto di cronaca, realmente accaduto nel 1858 e ampiamente riportato e raccontato (ne scrive Vittorio Messori nel memoriale Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX, Daniele Scalise, ne Il caso Mortara, e David Kertzer in Prigioniero del Papa Re, adattato per un film che Steven Spielberg non ha mai realizzato), la storia serve a Bellocchio, aiutato nella sceneggiatura da Susanna Nicchiarelli (con la collaborazione di Edoardo Albinati, Daniela Ceselli e la consulenza storica di Pina Totaro), a riflettere sulla differenza tra fede e dogma, in una costante vicinanza emotiva al bambino protagonista. «Non ho fatto Rapito per affermare un principio politico o per fare un discorso contro la Chiesa: non è per una parte contro l’altra. Ero attratto e affascinato dal destino di quest’uomo. La sua storia mi ha trasmesso emozione e tensione. Questi sentimenti sono stati la strada maestra per la realizzazione del film. La mia solidarietà va chiaramente a questo bambino, che subisce un atto di estrema violenza.», ha spiegato il cineasta in conferenza sulla Croisette.
Dallo shabbat al Cristo sanguinante
Interpretato da Enea Sala, «un bambino zero – come lo ha definito il regista – uno che non avesse mai recitato e che non recitasse neanche nel film», è attraverso gli occhi di Edgardo, settimo di otto figli cresciuti nel calore e nell’affetto di una benestante famiglia ebrea bolognese di commercianti, tra preghiere serali e shabbat, che Bellocchio svela allo spettatore le lamentazioni funebri, i Cristi sanguinanti, le croci e i martiri in un terrore che da mistero e stupore si fa, infine, credo. Il regista si muove con sensibilità rara fra i tormenti dei genitori a cui Edgardo è stato strappato, la cieca intransigenza di Pio IX, al secolo Giovanni Maria Battista Pietro Pellegrino Isidoro Mastai-Ferretti, nato a Senigallia e destinato a vedere la fine del potere temporale dello Stato Pontificio, nel 1870, e la conversione del giovane Mortara che, una volta libero, all’indomani della breccia di Porta Pia, sceglierà di rimanere fedele al pontefice.
Il bambino conteso
Sulla scena più evocativa dell’intero film, quella in cui il bambino immagina di togliere i chiodi dai polsi e dai piedi di Gesù crocefisso, ha spiegato: «Non è completamente domato, c’è ancora un senso di rivolta nel profondo del suo animo, quando la mamma lo piange e lui ritorna da lei e lo abbraccia, poi il rettore lo porta a dormire, cercando di placarlo, allora nel sogno, nella fantasticheria, cerca di conciliare, toglie i chiodi, come per provare a mettere d’accordo le due fazioni, come a voler pacificare i propri genitori con il Papa. Qualcuno mi ha fatto notare in questo una connessione con Marcellino pane e vino, film dove la fedeltà al cattolicesimo era più franchista, qui credo il rapporto sia più dialettico, di movimento, il tentativo di salvare gli uni e gli altri».
Guarda il trailer di Rapito
L’ennesimo capolavoro di Bellocchio
Supportato da un cast impeccabile, Bellocchio confeziona l’ennesimo gioiello di una freschezza rara in un uomo di 83 anni, ancora disposto al dubbio e all’angoscia sincera di fronte all’ingiustizia. Se Barbara Ronchi incanta nei panni di Marianna Mortara, madre disperata e rabbiosa mai sopra le righe, non le è da meno Fausto Russo Alessi che dopo il Cossiga di Esterno Notte regala una nuova strepitosa interpretazione grazie al ruolo del padre, Momolo Mortara. E poi Paolo Pierobon, Papa tetragono e untuoso circondato da uno stuolo di comprimari tutti bravissimi, dal Cardinal Antonelli di Filippo Timi al padre Inquisitore di Fabrizio Gifuni. A Leonardo Maltese, conosciuto per la parte del giovane Tagliaferri ne Il signore delle formiche, di Gianni Amelio sul caso Braibanti, l’ingrato compito di sostituire il miracoloso Enea Sala per il protagonista una volta cresciuto.
Una messa in scena pittorica
Altrettanto impeccabile la messa in scena, realizzata da alcuni degli ormai storici collaboratori del regista piacentino, dallo scenografo Andrea Castorina (affiancato dall’arredatrice Valeria Vecellio), all’autore della fotografia Francesco Di Giacomo, alla montatrice Francesca Calvelli (insieme a Stefano Mariotti), fino ai due costumisti, Sergio Ballo e Daria Calvelli. A loro il merito di aver dato vita a una realistica Italia ottocentesca, molto debitrice delle tele della grande tradizione preimpressionista della pittura italiana e francese, come Eugène Delacroix. Unica pecca, l’aver ceduto come tanti colleghi alla tendenza ormai – troppo – diffusa di una colonna sonora (qui di nuovo a firma del pur bravo Fabio Massimo Capogrosso) imperante e spalmata su tutto. Film pieno di inquietudine, Rapito consacra – una volta di più dopo Il traditore, lo splendido Marx può aspettare ed Esterno Notte – Marco Bellocchio come l’autore italiano tra i più instancabili e appassionati: due ore quelle da passare con la sua ultima creazione, in sala dal 25 maggio con 01distribution, che sapranno pungolare senza mai annoiare, come si conviene a un’opera d’arte viva e modernissima.
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Saperenetwork è...
- Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.
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