“C’è bisogno di un vaccino per il mondo”. Intervista alla microbiologa María Elena Bottazzi
Come quelli cubani, è un vaccino senza brevetto anche quello sviluppato dalla scienziata italo-honduregna in Texas. Mentre le nazioni ricche continuano a fare accordi con le multinazionali, l’India ne ha già autorizzato l’uso in emergenza. Nel frattempo la ricercatrice è stata candidata al Nobel per la pace
María Elena Bottazzi è nata a Genova, ha origini honduregne ma anche nazionalità statunitense. È infatti negli Usa che vive, precisamente a Houston, dove da anni co-dirige il Vaccine Development Center presso il Texas Children’s Hospital e la Baylor School of Medicine, due istituzioni private senza scopo di lucro. Ed è tra le mura di queste che ha messo a punto un vaccino contro la Covid-19 tecnologicamente semplice ma non per questo inefficace. Anzi, tutt’altro. La vera novità sta poi nella decisione, del tutto controcorrente, di liberarlo da ogni brevetto.
.@RepFletcher has nominated @PeterHotez and @mebottazzi for the Nobel Peace Prize while @RepVeasey lead a group of 33 members of Congress in nominating civil rights icon Opal Lee. https://t.co/k8GKS3sYiZ
— Texas Signal (@TexasSignal) February 7, 2022
In questo modo, si spera possa aiutare a risolvere gli squilibri internazionali in termini di copertura vaccinale. Cosa che finora non è stata nell’interesse di nessuna potenza economica. Le stesse nazioni del ‘primo mondo’ che, grazie agli accordi bilaterali con le multinazionali del momento, si sono garantite dosi extra rispetto alle loro reali necessità. La ricercatrice, di contro, ci racconta la sua biotecnologia altruistica. In un momento come questo, spiega infatti Bottazzi, che nel frattempo è stata candidata al Nobel per la Pace, «c’è bisogno di altruismo».
Lei ha sviluppato un vaccino che definisce “un vaccino per il mondo”, cosa intende?
Con questa espressione, innanzitutto, intendo dire che la ‘ricetta’ per la realizzazione del vaccino è stata già pubblicata ed è libera, cosicché qualunque azienda produttrice possa riprodurlo.
Allo stesso modo, questo può inoltre aiutare qualsiasi laboratorio di ricerca che sia intenzionato ad integrare le proprie capacità con lo studio del nostro prodotto biotecnologico. Per questo ‘per il mondo’, perché il nostro vaccino si può condividere e ovviamente riprodurre liberamente.
E, cosa più importante, è che il processo alla base della sua realizzazione include step talmente semplici e comuni al punto che quasi tutti i paesi del globo possiedono già gli strumenti per avviarne una produzione su larga scala. Questo speriamo possa aiutare affinché la distribuzione dei vaccini copra popolazioni finora non raggiunte o raggiunte in percentuali non sufficienti.
Di che vaccino stiamo parlando?
Stiamo parlando di un vaccino basato su una tecnologia a proteine ricombinanti. Quel che noi abbiamo fatto, è stato sfruttare in laboratorio il meccanismo di espressione del lievito per isolare una porzione della proteina spike del SarsCov2. Dopodiché l’abbiamo combinata con sostanze molto semplici quali gli adiuvanti per indurre una risposta immunitaria, non solo sicura ma anche efficace. A differenza dei vaccini a mRna o a vettore virale, questo presenta direttamente all’organismo la proteina del virus riprodotta sinteticamente senza quindi la necessità che le nostre cellule la processino in autonomia. Si tratta quindi di un vaccino convenzionale, poiché basato su una tecnologia già adottata da almeno 4 decenni come nel caso del vaccino contro l’epatite B o della pertosse.
Quale efficacia è stata stimata?
La compagnia indiana Biological E ha condotto molti studi al riguardo. I più recenti sono stati due trial di fase tre, di cui uno è stato uno studio comparativo che ha confrontato la capacità immunogenica in rapporto al vaccino indiano Covidshield, dimostrando una percentuale di efficacia superiore all’80% contro le varianti beta e delta. Al momento sono chiaramente in corso studi per valutare l’efficacia nei confronti di omicron, ma ci aspettiamo che mantenga una protezione altrettanto valida.
Per ora quindi è stato approvato per l’uso emergenziale in India, ci sono procedure in corso in altri paesi?
Sì. La Biological E ha l’esperienza di lavorare con altre entità globali. Infatti, molti dei loro vaccini sono stati già prequalificati dall’Oms e approvati quindi per l’esportazione. Questo è quello che probabilmente avverrà anche per il nostro, da loro chiamato Corbevax. Noi, in quanto Vaccine Development Center, abbiamo poi avviato collaborazioni in Indonesia, con una compagnia chiamata Biofarma, in Bangladesh con Incepta Pharmaceuticals e negli Stati Uniti, dove ImmunityBio sta lavorando al nostro prodotto affinché le dosi arrivino in diversi Paesi dell’Africa.
Guarda il video con la dottoressa María Elena Bottazzi
Al riguardo, di tutte le dosi somministrate al livello globale, solo lo 0,8% è andato a paesi a basso reddito. Come spiegherebbe un tale enorme divario?
Sicuramente stiamo parlando di una questione complessa dalla genesi multifattoriale. In primo luogo, in mancanza di stock sufficienti, i Paesi che non hanno avuto la capacità di acquistare vaccini su larga scala rimangono indietro. A dimostrarlo c’è il caso di Covavax che, pur cercando di distribuire dosi proprio in questi paesi, in mancanza di stock e brevetti aperti, riscontra comunque difficoltà a coprire tutto il mondo in modo equo.
In secondo luogo, stiamo parlando di una tecnologia attualmente predominante quale quella a mRNA, una tecnologia relativamente nuova per la quale è ancor più complicato disporre di un’adeguata capacità produttiva, di conseguenza, gran parte della produzione è stata destinata a chi ha avuto le possibilità economiche di acquistare dosi in grandi quantità.
E, in quanto tecnologia nuova, è chiaramente anche più costosa. C’è poi una questione più logistica legata al fatto che è la prima volta nella storia che l’umanità ha dovuto adempiere ad una campagna di vaccinazione di tali proporzioni. Molti paesi non erano pronti a questo. I sistemi sanitari di diverse nazioni in via di sviluppo, in quanto più deboli, non sono riusciti a fronteggiare l’emergenza ed anche laddove le dosi arrivavano mancava la capacità di distribuirle alla popolazione. Infine, va menzionata la fiducia riposta dalle persone nel programma di vaccinazione, specie nei confronti di tecnologie emergenti. Da un alto, quando la comunicazione circa gli effetti collaterali e l’efficacia ha lasciato a desiderare, la percezione di molti è stata alterata, dall’altro, si è arrivati a pensare che nei paesi poveri venissero distribuiti vaccini di seconda mano, di qualità inferiore, quando invece a cambiare è solo il principio, ma spesso l’efficacia e la sicurezza sono uguali.
Ho trovato la sua storia molto simile a quella dei vaccini prodotti da Cuba, crede che anche Abdala e Soberana 02 contribuiranno a colmare gli squilibri internazionali?
A Cuba hanno delle tecnologie estremamente valide, anche le loro più convenzionali, e nel complesso gli istituti dell’isola hanno un profilo adeguato ad essere dei buoni produttori di vaccini. Tuttavia, Cuba in sé non avrebbe la capacità di soddisfare le necessità globali da sola, non è nelle sue possibilità produrre alla scala necessaria. Ne consegue che per risolvere gli squilibri si avrà bisogno del contributo di tutti considerando comunque che ogni prodotto dovrà sottostare al medesimo rigore richiesto per l’esportazione.
Saperenetwork è...
- Laureato presso l'Università degli studi di Roma "La Sapienza" in Scienze Ambientali prima, e in Ecobiologia poi. Attualmente frequenta, presso la medesima università, il corso di Dottorato in Scienze Ecologiche. Divulgare, informare e sensibilizzare per creare consapevolezza ecologica: fermamente convinto che sia il modo migliore per intraprendere la via della sostenibilità. Per questo, e soprattutto per passione, inizia a collaborare con diverse testate giornalistiche del settore, senza rinunciare mai ai viaggi con lo zaino in spalla e alle escursioni tra mare e montagna
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