Cop26. A Glasgow rischiamo il “bla bla bla”? Intervista a Gianni Silvestrini
La ventiseiesima Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico apre i battenti, dal 31 ottobre al 12 novembre. Abbiamo chiesto all’ingegnere, ricercatore, direttore del Kyoto Club, tra i massimi esperti di energia e ambiente, di spiegarci quali prospettive concrete si presentano
«Glasgow può essere un grande successo o una situazione intermedia». Gianni Silvestrini, ingegnere chimico, ricercatore e saggista, direttore scientifico di Qualenergia, del Kyoto Club e di Key Energy, la manifestazione che si apre domani a Rimini insieme a Ecomondo, sintetizza così, pragmaticamente, lo scenario che si prospetta a pochi giorni dall’inizio della Cop26. La ventiseiesima Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, inizia a Glasgow il 31 ottobre e la seconda città più grande della Scozia è pronta ad accogliere circa 25mila persone. Arriva in un momento storico a dir poco complesso, questa Conferenza internazionale delle parti, rinviata nel 2020 a causa della pandemia.
La crisi ambientale avanza a passi da gigante, con inondazioni catastrofiche, ondate di calore e incendi a latitudini impensabili come la Siberia, mentre il mondo che stenta a uscire dalla pandemia, affronta una crisi sociale ed economica senza precedenti, con uno scenario geopolitico tesissimo.
Le continue bizze diplomatiche fra Cina e Stati Uniti, i grandi inquinatori responsabili di oltre il 40% delle emissioni mondiali, il Medio Oriente nel caos, la tensione post Brexit fra Unione Europea e Regno Unito, paese ospite della Cop26, l’enigma cinese (Xin Jin Ping sarà presente alla Cop?) e quello russo, con Vladimir Putin che, la notizia è di pochi giorni fa, non si recherà a Glasgow. La posta in gioco, insomma, è altissima, le questioni da affrontare tante. Ma quali speranze e ambizioni si possono concretamente considerare? Si rischia l’ennesimo “bla bla bla” dei leader mondiali, profetizzato da Greta Thunberg?
Lo abbiamo chiesto a Gianni Silvestrini, che di ambiente, rinnovabili, energia è uno dei massimi esperti. E ci ha detto la sua anche sia sul Pnrr, sia sulle recenti dichiarazioni del ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.
La Cop26, dopo essere stata rimandata nel 2020 a causa della Covid-19, sta per iniziare a Glasgow. In un momento storico drammatico: crisi ambientale e sociale, pandemia. E uno scenario geopolitico allarmante, teso e ingarbugliato come forse nemmeno ai tempi della guerra fredda. Anche tra Europa e Regno Unito, il Paese che ospita la Cop, c’è una notevole tensione, dopo la Brexit. Quanto influirà tutto questo sull’esito degli incontri, secondo lei?
Sicuramente il contesto non aiuta, e rischia di distrarre dagli obiettivi della Cop. Abbiamo però un’Europa che ha fatto la sua parte, ha stabilito gli obiettivi del 40, 55% al 2030, l’obiettivo della neutralità climatica a metà secolo, che ha dato il là ad altri paesi in giro per il mondo. Quindi l’Europa fa la prima della classe. Gli Stati Uniti sono rientrati, con Kerry che è molto attivo e cercano di recuperare il tempo perso, si sono dati obiettivi ambiziosi, anche se bisogna vedere se poi il Congresso li sosterrà.
La Cina è un oggetto misterioso: aveva assunto l’obiettivo della neutralità al 2060, invece ultimamente le cose stanno andando diversamente. E anche le tensioni con gli Stati Uniti non hanno aiutato.
A Parigi, nel 2015, Obama si era incontrato con Xi Jinping, facilitando la stesura dell’Accordo. Adesso invece la situazione è abbastanza fredda tra Usa e Cina, e dalla Cina ci si aspetterebbe che chiarisse cosa vuole fare al 2030. Poi c’è la Russia, che finora non si era mai espressa. Putin pochi giorni fa ha dichiarato di voler perseguire gli stessi obiettivi della Cina, al 2060. Ci si chiede cosa faranno Cina, India e Australia, che ha un governo conservatore, e quanto spingeranno sull’acceleratore Europa e Stati Uniti.
Quindi c’è il rischio che le singole politiche nazionali influiscano molto e non positivamente…
Diciamo che alcune politiche nazionali o continentali rappresentano un esempio. Se prendiamo le conferenze sul clima c’è stata Kyoto, Parigi e Glasgow. Glasgow può essere un grande successo o una situazione intermedia.
La lista di questioni aperte da affrontare è lunga. Per lei quali sono le più importanti?
La priorità intanto è la dichiarazione di un target, perché il target scatena lo sforzo, com’è successo da noi, in Europa. Ci sono poi altri aspetti assolutamente importanti, come gli aiuti ai paesi in via di sviluppo, che sono quelli che hanno meno possibilità di difendersi dall’emergenza climatica. Poi bisogna vedere cosa verrà fuori in termini di richieste e contro richieste, perché in queste occasioni ci sono trattative serrate che durano anche tutta la notte, e i paesi petroliferi, come l’Arabia Saudita, hanno sempre avuto la funzione di freno. Adesso hanno capito che non possono resistere per sempre, quindi, ad esempio, stanno puntando a produrre idrogeno con energia solare ed eolica. La stessa cosa forse vuole fare l’Australia. Sono segnali interessanti di paesi che hanno petrolio, come l’Arabia Saudita, o carbone, come l’Australia.
Il fatto che in questo momento nel Regno Unito ci sia penuria di carburante e che in tutta l’Unione Europea il prezzo del gas stia aumentando, può essere un incentivo concreto per accelerare, ad esempio, anche l’elettrificazione del riscaldamento domestico, e le rinnovabili in generale?
Assolutamente sì. Paradossalmente è un contesto che potrebbe essere negativo, perché le persone sono preoccupate per gli aumenti e la carenza, ma dal punto di vista sostanziale oggi c’è Terna che dice chiaramente che la soluzione è incentivare le rinnovabili. Ed è ovvio che sia così. In Italia siamo fermi sulla quota di rinnovabili attorno al 36, 37% da otto anni. La consapevolezza è molto chiara a chi si occupa di energia. Di fatto l’aumento di prezzi diventa uno stimolo ad accelerare la transizione.
L’ultimo rapporto Ipcc ha messo nero su bianco uno scenario allarmante, insieme alle nostre responsabilità. Un altro rapporto delle Nazioni Unite, l’Emissions Gap Report, riporta che il clima registrerà comunque un amento di tre gradi.
Con gli impegni assolti attualmente dai vari paesi questa è la tendenza. Se non si definiscono impegni più incisivi andiamo in quella direzione. Ma vorrei citare anche un altro rapporto, quello della Iea, l’International Energy Agency, che è sempre stata molto cauta sulle rinnovabili e ha sempre sbagliato, e di molto, gli scenari di crescita del fotovoltaico e dell’eolico. Negli ultimi due, tre anni ha cambiato un po’. Questo ultimo rapporto è l’analisi di cosa si dovrebbe fare per riuscire a diventare net zero al 2050, ed è molto interessante perché traccia delle linee. Innanzitutto bisogna ridurre drasticamente i consumi, che, in uno scenario senza efficienza sarebbero stati del 90% più alti. Seconda cosa le rinnovabili hanno un ruolo centrale, il 90% della produzione elettrica verrà dalle rinnovabili al 2050, e poi c’è un ulteriore 30% di rinnovabili per l’energia.
Il rapporto dice che due terzi dei consumi di energia al 2050 dovrebbero venire coperti dalle rinnovabili. Chiaramente è una simulazione, con tutti i limiti del caso, però che venga dalla Iea e non da uno dei tanti think tank mondiali, è una cosa che colpisce molto. I governi nel bene e nel male hanno spesso guardato ai rapporti della Iea che vengono pubblicati ogni anno, per capire cosa sarebbe successo.
Quindi nonostante il recente fallimento del G20 di Napoli nel trovare un accordo concreto ci sono speranze che la Cop26 possa essere più proficua…
Ci sono delle speranze, sono appese a decisioni che noi in questo momento non siamo in grado di definire, perché non sappiamo cosa faranno la Cina o l’India, ad esempio. Xin Jinping, che non si muove dalla Cina da oltre un anno, molto probabilmente non verrà alla Cop…
Guardando dentro casa nostra, come valuta le recenti dichiarazioni del ministro Roberto Cingolani sul nucleare e sullo scenario “bagno di sangue”, per usare l’espressione con cui ha definito la transizione ecologica di cui è, paradossalmente, responsabile?
Diciamo che deve un po’ imparare a parlare in pubblico. Questo discorso del bagno di sangue è una cosa che sarebbe “normale” venisse detta dal Ministro dello Sviluppo Economico, ma lui è il Ministro dell’Ambiente, della Transizione Ecologica. C’è sempre stata questa dialettica, qui lui ha messo i panni del Ministro dello Sviluppo Economico, mentre avrebbe dovuto dire che ci sono delle straordinarie opportunità.
Naturalmente possono esserci dei problemi che vanno affrontati, pensiamo alla mobilità elettrica, ad esempio, ma come dicono tutti coloro che affrontano questo tema in modo serio, ci sono delle opportunità straordinarie. Avrebbe dovuto dire questo, altrimenti arriva un messaggio micidiale.
Ha detto anche un’altra serie di inesattezze, perché secondo me, dato che lui non viene dal mondo dell’energia, certe cose non le sa. Aveva detto anche che l’auto elettrica aveva più emissioni di quella tradizionale, ma basta vedere i rapporti Rse o dell’Agenzia Europea dell’Ambiente che dicono chiaramente come stanno le cose. Poi la fusione nucleare… Se funzionerà, e bisogna ancora vedere se questo avverrà, potrebbe produrre la prima elettricità nel 2050, che significa produrre macchine in maniera commerciale almeno nel 2060. Nel frattempo abbiamo solare e eolico che corrono in maniera incredibile, oggi il solare costa dieci volte meno rispetto a dieci anni fa. Sono queste le tecnologie che costano poco e sappiamo possono essere rapidamente installate. Il nucleare anche small reactors è in fase di ricerca. Era quindi opportuno di non dire una cosa del genere, che genera grande confusione nell’opinione pubblica.
Come valuta gli investimenti previsti dal Pnrr?
Ci sono degli investimenti che possono essere considerati ragionevoli. Vediamo come verranno declinati, è stato bocciato (dall’Ue, ndr) il piano dell’Eni su idrogeno e CO2. Sulle rinnovabili nel Pnrr in realtà ci sono pochi investimenti sulle rinnovabili. C’è qualcosa sul fotovoltaico e qualcosa sulle comunità energetiche, ma siccome i prezzi sono crollati non c’è bisogno di fare incentivi, c’è invece da semplificare i processi autorizzativi, che è quello che blocca in questo momento. Se è vero che si stanno riducendo i tempi di autorizzazione, dal 2022 al 2023 dovremmo vedere una crescita rapidissima delle rinnovabili.
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Lei è presidente del comitato scientifico di Key Energy, evento simultaneo e parallelo di Ecomondo, che si tiene da domani al 29 ottobre a Rimini. Qual è il focus dell’edizione di quest’anno e quali sono, secondo lei, gli appuntamenti più importanti?
Nella opening ci sarà la presentazione del rapporto che abbiamo commissionato al Politecnico di Milano, su quale sarà l’impatto del Pnrr sull’economia italiana, e quindi verranno fuori una serie di dati. Poi ci sono una decina di progetti che circolano intorno a impianti eolici a 30, 40, 60 km dalla costa, c’è l’agro fotovoltaico, un’altra soluzione molto interessante. C’è l’idrogeno, con una serie di eventi che affrontano le modalità con cui si può partire con il piede giusto, perché con l’idrogeno bisogna evitare di pensare a utilizzi poco sensati, quindi far chiarezza su cosa si può fare e quali sono le potenzialità. Gli accumuli, la mobilità elettrica, che finalmente sta dando risultati interessanti, e altri settori che sono sul piede di partenza, come le rinnovabili. Ma con la consapevolezza che il ghiaccio si sta rompendo, e sta partendo una nuova fase, soprattutto per il target 2030, anno in cui dovremmo stare intorno al 70% di rinnovabili elettriche, contro il 36 o 37% che abbiamo adesso.
Mancano pochi giorni a #Ecomondo2021.
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— Ecomondo (@Ecomondo) October 22, 2021
Saperenetwork è...
- Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.
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