Quale giornalismo, nell’epoca delle grandi crisi. A colloquio con Salvatore Giannella
È stato fra i primi a “illuminare”, già negli anni Settanta, storie e vicende di un’Italia che pochi raccontavano. E il suo “Airone” rimane come un capitolo memorabile nella storia dell’editoria non solo ambientale. Lo abbiamo intervistato per capire in che modo oggi le narrazioni possano formare alla sostenibilità e contribuire al cambiamento
Ha diretto, dal 1986 al 1994, una delle riviste più belle e iconiche della storia dell’editoria italiana, l’Airone edito da Giorgio Mondadori. Ma già negli anni Settanta, dalle pagine dell’Europeo, raccontava il “Malpaese” fatto di speculazione edilizia, dissesti idrogeologici, corruzione e incuria. Salvatore Giannella è, di fatto, un pioniere del giornalismo ambientale italiano. O meglio: è stato uno dei primi a capire che era impossibile fare giornalismo senza occuparsi di tutto ciò che riguarda il suolo, la terra, la natura. E non solo all’indomani di qualche catastrofe. Oggi continua a scrivere e a “illuminare” storie dal suo sito Giannellachannel.info. È autore di numerosi libri, l’ultimo dei quali, Manifesto contro il potere distruttivo (Chiarelettere, 2019), scritto insieme alla psicoterapeuta Maria Rita Parsi. Abbiamo parlato con lui di cosa significhi scrivere di ambiente oggi, nel bel mezzo di una crisi globale, economica e climatica, e di una pandemia.
Hai iniziato a occuparti di ambiente tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Come hai cominciato e com’era raccontare queste cose in quegli anni?
Non mi considero un giornalista ambientale tout court. Ero un giornalista e negli anni ’70, in particolare nel ’75 quando fui assunto dall’Europeo, mi sono accorto che qualcosa andava illuminato. In Italia si parlava di temi legati all’ambiente, all’epoca, ma era qualcosa riservato a poche grandi firme chiamate sulle pagine di quotidiani e settimanali solo in occasione delle tragedie, delle catastrofi. Ad esempio, c’era un’alluvione e si chiamava Antonio Cederna, che era condannato a ripetere le parole come fosse un apparecchio automatico. Ecco, lì mi sono accorto che quella nicchia, il giornalismo ambientale, meritava di essere illuminata con la base ideale del giornalismo e della politica. Il giornalismo è raccontare storie, la politica è cercare soluzioni…
Alcune copertine di Airone durante la direzione di Salvatore Giannella
Sei poi diventato noto come direttore di Airone…
Invece no… Pensa che nel 1978 ho pubblicato un libro, “Un’Italia da salvare” (Edizioni Atlas, Bergamo, ndr) in cui raccontavo, insieme a Paolo Ojetti, le storie di un’Italia che aveva delle ferite nel suo territorio nelle comunità. Era una serie di servizi che avevo fatto per l’Europeo, si chiamava “Il Malpaese”. Mi avevano gratificato con il premio “Umberto Zanotti Bianco” consegnatomi da Italia Nostra, dalle mani del presidente Pertini al Quirinale.
“Un’Italia da salvare”, da cosa?
In quel libro avanzo, a proposito dell’emergenza idrogeologica del paese, la formulazione del geologo condotto. Così come nei primi del ‘900 la grande emergenza sanitaria era stata abbattuta dai medici condotti, uno ogni tre o quattro comuni, così la grande emergenza idrogeologica poteva essere battuta da una rete di geologi condotti. Con Floriano Villa, presidente dell’Associazione nazionale dei geologi, avevo elaborato un piano pratico, cioè come fare per assumere duemila giovani che facessero da sentinelle del territorio.
Che cosa ne è stato di quell’idea?
Consegnammo il programma a Giulio Andreotti, allora capo del governo, che ne parlò usando per la prima volta la parola “ecologia”, indicandola come una materia capace di dare lavoro oltre che salute al territorio. Pensa: nel 1978 Giulio Andreotti, insediandosi al governo parla di ecologia per dare lavoro e salute al territorio…
E poi?
E poi… I politici se ne dimenticano, arrivano altre emergenze, contrasti, divisioni, le incompetenze. E si perdono anni.
Si è perso tempo…
Questa è la cosa drammatica, si sono persi tanti anni. E oggi abbiamo queste alluvioni drammatiche che ci ricordano lo stato indifeso del territorio. Mi viene in mente la storia della Diga sulla Schelda in Olanda. È l’unica opera umana che si vede dalla stazione orbitante spaziale, insieme alla Grande Muraglia, oltre ad essere una collana che cinge l’Olanda e che le ha fatto guadagnare milioni di ettari di terreno. Ebbene, fu costruita lavorando in maniera tale da entrare con le macchine durante la bassa marea e ritirarsi durante l’alta marea. La diga è stata consegnata rispettando i giorni e i finanziamenti stabiliti.
Tornando alla tua esperienza, il mio ricordo personale di Airone, che tu hai diretto dal 1986 al 1994, è quello di una rivista bellissima, con copertine splendide. Storie di animali, natura, civiltà. Se fossi ancora ad Airone, oggi, come racconteresti quello che sta succedendo? Soprattutto, come racconteresti la pandemia da coronavirus?
Faccio fatica a rispondere mentre cresce la sofferenza attorno a noi. Ci provo. Chiamerei scienziati capaci di raccontarci la stretta connessione che c’è tra noi specie, umana, e la salute degli animali e del nostro pianeta. Un pianeta in salute fa stare bene anche noi, ma vale anche il contrario, un pianeta malato fa ammalare anche noi. Alla radice di malattie infettive emergenti, come Ebola, Sars, Zika e altre, vi sono fattori importanti come la perdita di habitat, la creazione di ambienti artificiali e il commercio di animali selvatici. Più in generale la distruzione della biodiversità. Il coronavirus innescato nel grande mercato di animali di Wuhan, in Cina, rientra in quelle malattie che si possono definire zoonosi, che si trasmettono dagli animali all’uomo, attraverso un salto di specie, argomento approfondito da un recente rapporto scientifico del Wwf, “Pandemie”. Poi però, ricordando a me stesso che il giornalismo è storie, tornerei a raccontare le storie educative di uomini, animali e mondi.
Ad esempio?
Ad esempio, la storia vera di un fiume africano, il Savuti, nel Botswana, che periodicamente scompare. Nasce dalle montagne della Namibia e invece di sfociare nell’Oceano Atlantico si incaponisce e se ne va nell’Oceano Indiano. La cosa gli riesce per molto tempo, ma ogni settant’anni circa c’è quello che chiamano “l’anno dell’apocalisse”, ovvero per un anno il fiume s’inaridisce fino a scomparire. I geologici non hanno ancora capito perché. Nessuno ha mai saputo spiegare questo fenomeno geologico. Qualcuno l’ha collegato ad alcune azioni sotterranee provocate dall’attività sismica. Certo è che un giorno, nel 1982, quel fiume che segnava il confine tra la vita e la morte all’improvviso si prosciugò e smise di scorrere. Nel letto asciutto del Savuti esplosero mille drammi, che abbiamo raccontato in un video e in un numero speciale di Airone. Non più giochi, non più spruzzi, ma una lotta spietata tra gli animali per difendere l’ultima pozza. Le femmine degli elefanti cacciarono i piccoli, perché la difesa della specie in una situazione estrema impone che sopravvivano gli adulti capaci di riprodursi. Infine, iene e avvoltoi banchettarono per un po’, poi anche per loro il Savuti fu solo sabbia arsa dal sole. E anche gli elefanti, alla morte di un adulto tra di loro, lasciarono il posto in cerca di una nuova riserva d’acqua. Ricordo la scena di uno dei due elefanti che piega il ginocchio e casca a terra. L’altro cerca di rianimarlo, poi all’improvviso capisce, abbassa testa e occhi e resta in silenziosa preghiera. Quella sera tutto il branco partirà per raggiungere il più vicino corso d’acqua distante di 60km, che per i più anziani di loro vorrà dire la perdita della vita.
Un mondo che all’improvviso diventa infernale. Una storia in cui dovremmo riconoscerci…
Sì. Il punto è che l‘acqua del Savuti scompare per un fenomeno naturale. La scarsità di risorse nella società degli uomini, in Africa e altrove, è invece quasi sempre un fenomeno innescato dal malgoverno. Sono le guerre, le spese stellari per gli armamenti, la corruzione, la tirannide, la cattiva gestione della ricchezza che privano la società civile di quelle risorse che consentirebbero loro di avere un comportamento appunto “umano”. Una risorsa scarseggia: aumentano in natura e tra gli uomini l’aggressività e l’infelicità. Ci spiega un grande psichiatra e scrittore che annovero tra i miei maestri, Vittorino Andreoli: «Il Savuti, piccolo fiume, racconta anche la grande storia dell’uomo. Ne diventa una metafora straordinaria. C’è un tempo per vivere e uno per morire. C’è tempo per piangere e per sorridere, e il tempo scorre con cambi improvvisi che talora sembrano capricci e l’uomo da grande si fa polvere, giunge al successo e poi viene dimenticato. Basta che scompaia un rivo d’acqua. Basta che un legame essenziale, un amore, si dissolva».
Salvatore Giannella racconta la sua amicizia con Tonino Guerra
Un’altra storia che racconteresti?
Lavorare ad Airone mi ha insegnato a raccontare anche con le immagini. L’immagine è quella dell‘Orologio dell’Apocalisse. Per tornare a dare uno sguardo alla situazione planetaria, ci troviamo ad affrontare un maligno accumulo di crisi, vale a dire la crisi economica, la crisi politica, l’emergenza climatica e 42 guerre locali con la sostanziale inadeguatezza delle Nazioni Unite, che ci ha portato nel 2019 a due minuti dalla mezzanotte nell’orologio che metaforicamente monitorizza quanto manca, appunto, alla mezzanotte dell’Apocalisse. È la vicinanza più pericolosa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Sono preoccupati gli scienziati americani che curano quell’orologio e il Bulletin of the Atomic Scientists, un team di Chicago che comprende 14 premi Nobel e che dal 1954 si batte per il disarmo nucleare.
Prima dicevi che i giornalisti raccontano storie, i politici dovrebbero trovare soluzioni. Lo stanno facendo?
Due mesi fa il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, aveva depositato un buon programma sul tavolo del Consiglio dei ministri, ma gli è stato subito risposto che non c’erano i soldi. Rimandiamo, rimandiamo, sicché a distanza di un quarto di secolo ripetiamo le stesse cose ma con una situazione drammaticamente più aggravata. Nel frattempo ci ritroviamo in un periodo storico in cui, da una parte assistiamo ad una sfida entusiasmante, per le tecnologie, le scienze eccetera ma dall’altra questi cambiamenti sono arrivati in maniera così rapida e scioccante che milioni di persone sono traumatizzate, senza bussola, hanno bisogno di indicazioni per dare una direzione di normalità alla propria vita. Lo aveva previsto già nel 1970 il sociologo e scrittore futurologo Alvin Toffler, con il suo “Future shock”.
Alcune copertine di Airone durante la direzione di Salvatore Giannella
E invece non sembra sia stia facendo molto per arginare questo shock. Che adesso è esploso con la pandemia da coronavirus. Noi giornalisti ambientali stiamo facendo abbastanza? Ci sarebbe stato e c’è ancora bisogno di più “Airone”?
Il giornalismo non poteva limitarsi a riviste, sia pure belle come Airone, Oasis o La Nuova Ecologia. Non potevano essere il grimaldello con cui sollevare la pietra dell’indifferenza verso questi temi. Hanno fatto prendere coscienza, ma poi doveva esserci l’azione e quella è venuta meno, perché dalla base della piramide, ossia quella dell’opinione pubblica, doveva salire fino al potere, ai palazzi del potere. Io credo che il giornalismo debba diventare un intermediario importantissimo di quest’opera di formazione. Mai come oggi abbiamo bisogno di un’ecologia amica, di una scienza che ci aiuti a combattere la paura, l’inquinamento, le malattie. È troppo poco il volume di fuoco informativo che arriva da divulgatori come Luca Mercalli o Gianfranco Bologna, da Riccardo Iacona o Report, da Sabrina Giannini e Geo&Geo, o da Fondazioni come il Premio Mazzotti con i suoi “lampadieri dell’ambiente” e Cerviambiente.
E gli editori, ti sembra ci sia un’attenzione sufficiente da parte loro?
No, non è un’attenzione adeguata alla gravità della situazione. Gli editori e le redazioni dovrebbero chiedere che fossero assunti giornalisti specializzati. Invece non ci sono più nemmeno le pagine della Scienza su alcuni giornali. Il panorama si sta impoverendo. Il bilancio a distanza di tanto tempo non è positivo e purtroppo mentre editoria e giornalismo ambientale hanno rallentato, il deterioramento della situazione ha accelerato. D’altronde abbiamo un elenco degli editori: sembrano editori che possono volere la riconversione ecologica dell’economia? Giorgio Mondadori, che pure non si poteva dire un editore ecologico, ogni fine anno, staccava un assegno che io portavo alla Rai per fare dei documentari ambientali. Quell’editore staccava un assegno dai suoi profitti per favorire la nascita di una corrente di operatori tv e cinema specializzati nelle storie ambientali. Questo è un editore.
Sul tuo sito citi Calvino, dicendo che, nonostante tutto, è necessario “guardare a tutto ciò che inferno non è”…
Sì. Una delle formule che ritengo essenziali per il “Sapereambiente”, per usare la formula della vostra augurante testata, è proprio quella di individuare casi, nomi, luoghi, persone, che hanno raggiunto dei risultati. Penso che Airone abbia avuto due meriti: la presa di conoscenza dei temi ambientali sul fronte delle denunce e su quello degli aspetti positivi. E poi il secondo aspetto, ossia: si può fare qualcosa? All’epoca avevamo una rubrica sul New Deal italiano, su cui scrivevano grandi manager e imprenditori. Si identificavano le buone pratiche utili, che avrebbero fatto dell’Italia una nazione pioniera della riconversione. A distanza di un quarto di secolo, le parole sono le stesse, ma purtroppo pochi in politica hanno reagito con la determinazione richiesta dalla scienza. Per questo meritate un grande augurio: la buona informazione illumini la Lunga Marcia che ci attende, pur con difficoltà più gravi rispetto a trent’anni fa, verso uno sviluppo sostenibile e senza prese in giro.
Saperenetwork è...
- Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.
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Bellissima intervista, illuminante! Grazie! Bello ritrovare anche una citazione della piccola Olanda con le sue grandi opere!