“100 Parole per salvare il suolo”: gli inganni dell’urbanistica svelati da Paolo Pileri
È un vero dizionario urbanistico-italiano quello del professor Pileri, docente di pianificazione
urbanistica al Politecnico di Milano. Un libro essenziale per capire come il suolo, e quindi la nostra salute, sia minacciato da parole, definizioni e leggi fumose, talvolta apparentemente benevole, ma che nascondono significati nefasti come le loro conseguenze. Edito da Altreconomia con una prefazione di Tomaso Montanari
Ne era convinto Michele Apicella – Nanni Moretti in “Palombella Rossa”; le parole sono importanti, urlava esasperato in faccia all’attonita giornalista, rea di usare espressioni stereotipate, alla moda, prive di significato.
Oltre alle frasi fatte e vuote, ce ne sono di scintillanti, verniciate di verde, che nascondono un cuore antracite di cemento. I piani urbanistici ne sono zeppi. Lo sa bene Paolo Pileri, professore associato di Pianificazione Territoriale Ambientale al DAStU del Politecnico di Milano, che le ha raccolte e pubblicate in “100 parole per salvare il suolo. Piccolo dizionario urbanistico-italiano”, pubblicato da Altreconomia, con prefazione di Tomaso Montanari.
Ma, verrebbe da chiedersi, c’è veramente bisogno di un dizionario dall’urbanistico all’italiano? La risposta è inequivocabile: sì, perché quella usata nell’urbanistica sta diventando, ed è già diventata, una lingua straniera. Da vero esperto della materia, Pileri ci guida e ci rivela un universo ingannevole, lastricato di apparenti buone intenzioni che si rivelano trabocchetti. E a rimetterci è sempre il suolo.
Non si tratta di un divertissement del professore di Pianificazione Territoriale alle prese con giochi di parole, ma di una vero e proprio manuale di sopravvivenza. Quelle comprese nel dizionario, sono “parole che creano significato e producono conseguenze nelle nostre vite e sul paesaggio (…)”. Il più delle volte conseguenze nefaste, nonostante le apparenze.
Scopriamo ad esempio che il suolo non è lo stesso in ogni Regione italiana, come si legge nella tabella che riporta i riferimenti normativi e le definizioni. Stessa, pericolosissima storia per il suo consumo: una giostra infernale di definizioni regionali, che in alcuni casi assume addirittura la forma di un procedimento di calcolo, riempiendosi di parole ancora più macchinose e confuse. «In urbanistica – scrive Pileri – nulla è come appare e conta sempre ciò che viene formalmente definito». Ecco quindi che con “consumo di suolo agricolo”, se non si esplicita esattamente il significato inequivocabile di suolo agricolo o territorio agricolo, che sono peraltro tra loro due concetti diversi, si crea un’ambiguità che favorisce conflitti, pareri, ritardi, deroghe. E non protegge il suolo, ma solo una parte di esso.
Altri inganni frequenti dietro l’aggettivo “netto”: la definizione di consumo netto di suolo può modificare significativamente il concetto stesso di consumo di suolo. Aree o àmbiti di ricucitura sono altre definizioni pericolosamente ingannevoli: il termine ricucitura serve a definire le aree trasformabili di un tessuto urbano, quindi sembra che si alluda alla possibilità di riparare qualcosa, ma in realtà si tratta solo di altro cemento.
C’è la famigerata destinazione d’uso dei suoli: per trasformare delle aree, il piano urbanistico introduce la destinazione, ovvero ciò che un giorno potrà diventare un’area che oggi è un bosco o un prato o un terreno agricolo.
Il vocabolario, spiega Pileri, è senza dubbio incompleto, ma non ha molta importanza, perché sono quasi infinite le parole dell’urbanistica e non basterebbero cento libri: «Qui ci accontentiamo di erodere quella barriera tra noi e quelle parole che fanno dell’urbanistica una lingua straniera: questo dizionario vuole svelare le parole dell’urbanistica che hanno a che fare con la vita e la morte del suolo». Non è la completezza che interessa, perché ciò che importa è svelare il “codice” e renderlo palese a tutti.
Intervento di Poalo Pileri sul consumo di suolo
Nella sua appassionata introduzione al dizionario, Tomaso Montanari sottolinea come la storia dell’arte italiana abbia da sempre coinvolto il paesaggio, come capirono i costituenti parlando di nazione e suolo. Proprio sul concetto di ius soli si sofferma lo storico dell’arte: ius soli e cittadinanza come nascita intellettuale, di conoscenza e difesa del patrimonio e del paesaggio, diritto non solo di chi nasce in Italia, ma di pur venendo da altri Paesi conosce e difende il suolo italiano.
D’altra parte, scrive Montanari, lo ius soli è anche il diritto del suolo a non essere devastato, coperto, cementificato:
«Sotto il profilo culturale, il cemento e il consumo di suolo devono diventare una cosa impronunciabile, impensabile, nefanda. Tutto il resto – le leggi, la politica – si costruiscono sopra un suolo e questo suolo metaforico è un suolo culturale, in cui deve vigere il tabù del consumo di suolo».
L’arma più potente per fermare il consumo di suolo quindi è la cultura, che inizia capendo ogni parola scritta nelle leggi e nei piani urbanistici. Per dirla come Simone Weil, citata non a caso nelle Definizioni Preliminari del dizionario; «È solo comprendendo i significati che ci apparirà più chiara la verità e potremo finalmente desiderarla».
Saperenetwork è...
- Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.
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