Il giardino contro il tempo, un simbolo del nostro stare nel mondo
Nel suo nuovo libro, pubblicato in Italia da Il Saggiatore, Olivia Laing esplora significati e relazioni che scopre nel giardino di cui si prende cura. Tra pubblico e privato, passato e presente, spazio e tempo, bellezza e necessità
Mai come nei mesi assurdi della pandemia, il giardino ha rivelato un suo portato sociale, politico: una moltitudine di umanità co-stretta in due camere e cucina, qualche fortunato in case con uno spazio esterno e pochissimi a godere di ampi terreni dove passeggiare e respirare in libertà senza violare la legge. Come per molte altre istanze, la gestione del Covid ha messo in luce drammatici elementi ancora sommersi del nostro vivere, dall’inefficacia della scuola all’iniquità dell’economia. Olivia Laing, scrittrice e critica letteraria inglese, autrice di saggi molto acclamati come Città sola e Everybody, si concentra in questo suo Il giardino contro il tempo, appena uscito per Il Saggiatore con la brillante traduzione di Katia Bagnoli, proprio sul giardino incolto della sua casa nel Suffolk, comprata pochi mesi prima dei vari lockdown, per condurci in una lunga e inebriante passeggiata tra pubblico e privato, passato e presente, spazio e tempo, bellezza e necessità.
Un viaggio che, come sempre nei suoi lavori, serpeggia tra il dato biografico e le riflessioni storiche e sociali: parte dal sogno a lungo coltivato di possedere un giardino, prima e più ancora di una casa, corroborato negli anni dagli studi di botanica e dall’attivismo ambientalista, e fa tappa nei porti della letteratura e dell’arte, del giardinaggio in senso stretto, della riflessione politica.
Il giardino come storia e politica…
Può il giardino, luogo definito e chiuso per definizione, essere aperto e interconnesso con il mondo? Qual è il prezzo pagato da uomini e donne, dall’ecosistema intero, per ogni ettaro di prato lussureggiante e ogni piscina che costruiamo? O, per dirla con William Morris, il designer tessile e scrittore socialista che è una delle guide di questo viaggio botanico-letterario: «Come possiamo sopportare di usare, come possiamo godere di qualcosa che ha causato dolore e sofferenza a chi l’ha prodotto?». Laing vive in Gran Bretagna, paradiso di residenze nobili con giardini favolosi che la stessa autrice, introdotta all’arte del giardinaggio dal padre, ha visitato e ammirato negli anni. Ma – ci ricorda nel testo e nell’ampia bibliografia – ogni metro di paesaggio accuratamente ridisegnato e abbellito, è impregnato del sudore dei contadini che le crudeli leggi delle enclosures (le recinzioni delle terre comuni per lo sfruttamento agricolo) privarono degli antichi diritti di pascolo e legnatico; come del sangue degli schiavi neri deportati a coltivare zucchero e riso in America dai sempre più ricchi coloni inglesi.
…come Eden
Mentre zappa e concima, sradica e pacciama per riportare in vita il suo giardino abbandonato appartenuto al celebre paesaggista Mark Rumary, Laing scava nell’etimologia della parola e del topos: giardino come Eden, Eden come paradiso, ossessione di ogni giardino, paradiso come quintessenza della fertilità e della felicità, irrimediabilmente perduti.
…come antidoto al tardo-capitalismo
Ecco allora Milton e le ponderose immagini del suo capolavoro, forse il filo rosso di tutto il libro, che aprono la strada alle tele Cranach e al giardino di sassi e salsedine di Derek Jarman, ai versi del poeta-giardiniere John Clare che s’addolora alla distruzione del paesaggio devastato dalla rivoluzione industriale, ai casali sparsi di Iris e Antonio Origo che in Val d’Orcia seppero, da aristocratici illuminati, aprire le porte della loro immensa proprietà ai soldati inglesi e ai partigiani in fuga.
«Il giardino – ha dichiarato Laing in un’intervista – è un antidoto al tardo capitalismo di lavoro e produttività inarrestabile in cui siamo rimasti intrappolati. Ci àncora al presente ma ci trasporta anche nel tempo ciclico, nel succedersi di fertilità, putrefazione, decadenza e ritorno all’abbondanza».
…come atto di cura.
Sullo sfondo della cronaca, mentre i lockdown scivolano nella guerra russo-ucraina, storie e volti del passato popolano i capitoli del libro come le decine di piante accuratamente selezionate fioriscono nelle aiuole e nelle serre che tornano in vita, fino all’ultimo capitolo. Il giardino è pronto, rigoglioso e profumato, progettato fino all’ultima iris, quando arriva la siccità: le piante sfioriscono, gli alberi seccano, la terra si screpola. Alla perfezione subentra l’accettazione, la rinuncia. Accogliere il pero che muore perché la decomposizione sarà habitat di molti insetti, evitare di innaffiare per non intaccare la riserva idrica, immaginare bordure più resistenti al nuovo clima. Se è vero che un giardino è in primo luogo un atto di amore, di cura, di pazienza e di rispetto che dobbiamo imparare a riversare sulla Terra intera, Laing ci offre un libro che è «un giardino aperto che trabocca dai suoi confini. Il paradiso comune, quel sogno eretico. Portatelo fuori – ci invita – e spargetene il seme».
Saperenetwork è...
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Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico, counselor dell’età evolutiva e tutor dell’apprendimento. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti.
Svolge attività di formazione in tutta Italia sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione. E’ stata maestra di classe nella scuola steineriana “Il giardino dei cedri” per 13 anni e docente all’Università di Cassino. E’ membro del Gruppo di studio e ricerca sui DSA-BES, della SIAF e di Airipa Italia. E’ vice-presidente di Direttamente onlus con cui sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Giornalista professionista e scrittrice, ha lavorato nella redazione cultura e spettacoli dell’Unità per 12 anni e collaborato con numerose testate. Ha lavorato con l’Università di Roma “La Sapienza” all’archivio di Gerardo Guerrieri e pubblicato diversi libri tra cui Nuova scena italiana. Il teatro di fine millennio e Dove sta la frontiera. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Il suo ultimo libro è Le mani in movimento (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.
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