“Il Lupo” di Garry Marvin. Una scoperta oltre il pregiudizio
Da simbolo del male, pericolo da abbattere, a icona di una nuova visione della Natura, da recuperare e idealizzare. Il nostro atteggiamento nei confronti del celebre canide è cambiato più volte nel corso della storia. L’antropologo Marvin, in questo libro, pone l’accento sulla voce solitaria dell’animale invitandoci ad andare oltre il nostro immaginario culturale
Nella collana di monografie Animalia, edita dalla casa editrice Nottetempo, è arrivato Il Lupo di Garry Marvin, un incontro con l’icona della wilderness e con l’immaginario che l’accompagna. Garry Marvin è professore di Human-Animal Studies all’Università di Roehampton a Londra. Dalla sua ricerca è nata, in collaborazione con Rebecca Cassidy, la collana MultiSpecies Anthropology: New Ethographies, un invito ad approfondire lo sguardo antropologico sul multispecismo e sul transumanesimo. Con quest’opera Marvin ci conduce lungo un percorso che dalla lupofobia, passando per il lupicidio, arriva alla lupofilia.
In questo processo che va dalla paura all’amore possiamo individuare, a livello simbolico, il rapporto umano con il mondo selvaggio. Mondo di cui il lupo in molti contesti culturali è indiscusso rappresentante. L’opera è accompagnata da 96 tavole illustrate con immagini che sostengono con inequivocabile chiarezza le tesi dell’autore.
Simbolo della “Wilderness”
Nel mondo occidentale, preso in esame dall’opera di Marvin, la narrazione prodotta dall’essere umano sull’immagine del lupo ha origini antichissime. Da Gilgamesh a Cristo, dalle fiabe di Esopo a Cappuccetto Rosso. L’immagine del lupo emerge come simbolo di cattiveria, ferocia, brama… cui si contrappone la docile calma della pecora.
Questa visione è facilmente ascrivibile al contesto culturale della pastorizia e più in generale dell’allevamento. Da un’ovvia osservazione è facile dedurre come il lupo predatore possa rappresentare un effettivo pericolo economico per gli allevatori e le loro famiglie.
Muovendosi, invece, a livello simbolico la contrapposizione tra greggi di pecore e branchi di lupi rappresenta una contrapposizione tra società organizzata e mondo selvaggio, da domare. In quest’ottica è comprensibile anche la riabilitazione. Nel mondo contemporaneo, infatti, il lupo sta assumendo un’aura di potere e mistero collegata a una visione romantica della saggezza della Natura selvaggia.
La paura
«Temi e fuggi il lupo; perché c’è dell’altro: quel che sembra del lupo non può essere tutto». Partendo da questa frase di Angela Carter affidata alla voce narrante del racconto La Compagnia dei Lupi, Garry Marvin mette in luce il seme di ogni paura: la convinzione più o meno cosciente che l’oggetto della nostra paura sia in realtà molto più grande di quanto possiamo percepirlo. E questo è particolarmente vero quando l’oggetto della paura prende il valore di simbolo.
Così, il lupo, da predatore di greggi si è trasformato in simbolo di ferocia incontrollata, distruttore del lavoro dell’essere umano e quindi antagonista del bene. Create e alimentate dalla paura si sono venute a formare le immagini dei licantropi, alle quali Marvin dedica buona parte del secondo capitolo.
A partire dalle Bucoliche di Virgilio si è andata muovendo una letteratura fantastica con l’implicita condanna di ogni azione considerata contro natura. Ai licantropi, dunque, è spettata la stessa sorte di streghe ed eretici: le loro trasformazioni non potevano che essere opera del demonio.
La morte
Come venivano uccisi i licantropi, stesso destino spettava ai lupi. Carlo Magno, con la fondazione della Louveterie nell’812, fu probabilmente il primo sovrano a ordinare il controllo sistematico dei lupi predisponendone un massiccio abbattimento nelle sue tenute. Chi uccideva i lupi divenne presto una sorta di paladino della società. Così un secolo dopo, nella Britannia anglosassone, le autorità commutarono alcune forme di detenzione in pene pecuniarie da corrispondersi in lingue di lupo.
L’uccisione del lupo si trasformò quindi in una forma di eroismo da esibire sulla pubblica piazza. Con la colonizzazione del Continente Nord Americano i pionieri “portatori di civiltà” esportarono oltre oceano queste forme di dominazione della natura e la prima taglia sulla pelle del lupo fu disposta dalla Court of Assistants di Boston nel 1630.
Ovviamente l’appello era indirizzato a “tutti gli inglesi” in quanto ben altro rapporto avevano i nativi locali con questi animali. La morte crudele e le torture che gli esseri umani infliggevano ai lupi erano simbolo del controllo e del dominio di ciò che veniva definita civiltà sul mondo selvaggio e animale. Eppure forse proprio in questa violenza estrema possiamo iniziare a vedere i primi semi di un capovolgimento dei valori e la conseguente idealizzazione dell’immagine del lupo.
L’amore
Nel corso del XX secolo il mondo selvaggio è andato perdendo la sua connotazione negativa ponendosi come alternativa sana a una società malata. Lo spirito del lupo ha iniziato dunque a incarnare questa visione assumendo una rappresentazione mistica, idealizzata e nostalgica.
Il lupo divenne il simbolo di una natura selvaggia e incontaminata portatrice di valori che la civiltà aveva devastato e che ora andavano recuperati. Una volta scomparso fisicamente, limitato sul piano geografico, tanto che in Italia negli Anni Settanta se ne contavano circa 100 esemplari, il lupo ha iniziato ad assumere una nuova visione che si reggeva anche su nuove conoscenze scientifiche.
«Il lupo scientifico moderno non era più l’essere repellente dei primi testi di storia naturale, bensì una creatura sociale complessa e intelligentissima che non rappresentava una minaccia agli ecosistemi, ma influiva anzi in maniera benefica su quelli in cui resisteva o dove era possibile reintrodurlo».
Passando da pericoloso portatore di morte a simbolo di nuova vita il lupo continua a portare su di sé un’immagine tutta culturale fatta di proiezioni umane e «(…) di istanze morali, sociali, economiche, politiche, estetiche ed emotive. E proprio queste istanze continueranno a decidere, come è avvenuto per secoli, il diritto di sopravvivenza dei lupi nonché delle modalità e degli spazi della loro esistenza».
Saperenetwork è...
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Dafne Crocella è antropologa e curatrice di mostre d’arte contemporanea. Dal 2010 è rappresentante italiana del Movimento Internazionale di Slow Art con cui ha guidato percorsi di mindfulness in musei e gallerie, carceri e scuole collaborando in diversi progetti. Insegnante di yoga kundalini ha incentrato il suo lavoro sulle relazioni tra creatività e fisicità, arte e yoga.
Da sempre attiva su tematiche ambientali e diritti umani, convinta che il rispetto del proprio essere e del Pianeta passi anche dalla conoscenza, ha sviluppato il progetto di Critica d’Arte Popolare, come stimolo e strumento per una riflessione attiva e consapevole tra essere umano, contemporaneità e territorio. È ideatrice e curatrice di ArtPlatform.it, piattaforma d’incontro tra creativi randagi.
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