La natura selvatica del giardino, nessuno possiede il paesaggio
Il libro di Antonio Perazzi, pubblicato da Einaudi, è un omaggio alla biodiversità intrinseca del non coltivato e un invito a riconsiderare il rapporto dell’essere umano con la natura e con le specie che vi convivono, anche in considerazione dei cambiamenti climatici
«Finora le civiltà sono sempre state in rotta di collisione con la natura selvaggia; malgrado esista e sia molto vivace un nuovo movimento ambientalista internazionale, quelle più sviluppate continuano ad avere il potere insensato di distruggere interi processi della Terra: bisogna riuscire a formare una nuova civiltà capace di vivere in modo completo e creativo insieme con il mondo selvatico». Antonio Perazzi, paesaggista, botanico e scrittore, avventuroso cercatore di semi e instancabile osservatore della natura, torna a riflettere e a farci riflettere sul valore del giardino spontaneo in questo suo nuovo La natura selvatica del giardino. Elogio delle erbacce appena uscito per Einaudi. Come gli altri suoi titoli – Contro il giardino (2007), scritto insieme all’indimenticabile Pia Pera, Il paradiso è un giardino selvatico (2019) , I giardini invisibili (2022) – anche questo libro è un inno al mondo del vivente, un omaggio alla biodiversità intrinseca del non coltivato, un invito a riconsiderare le strade di convivenza con le altre specie a partire dal microcosmo-giardino.
Cos’è un giardino
Un giardino è un pezzo più o meno grande di terra strappato allo spontaneo, alle “erbacce” e all’incolto, e secoli di addomesticamento del paesaggio ci hanno abituato a pensarlo come un mondo concluso e rigidamente controllato, progettato nei minimi dettagli architettonici e botanici. I giardini testimoniano per definizione una “vittoria” culturale e storica sulla natura selvaggia che i dissesti dell’Antropocene in atto ci obbligano a ripensare:
degrado dei suoli, specie aliene, cambiamenti climatici, abbandono dei territori urbani chiedono urgentemente la capacità di trovare nuovi equilibri.
La strada, suggerisce Perazzi, ce la mostrano proprio le piante selvatiche, quelle che con ostinazione sradichiamo e stigmatizziamo perché selvatiche e invasive (dall’ailanto alle convolvulacee), ma che dovremmo invece cominciare ad ammirare per vitalità, spirito pionieristico e democratizzazione del territorio, perché nessuno possiede il paesaggio: «Le specie selvatiche sono parte imprescindibile della salute e della stabilità del suolo», scrive. E anche: «Il paesaggio selvatico non è una negazione dell’armonia, ma piuttosto una totalità di forme di vita eclettiche: è un sistema capace di contenere elementi in cui troviamo ispirazione e motivazioni che, se fossero frutto della nostra mano, alcuni definirebbero artistici, altri divini».
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Rigenerazioni e creatività
La strada, ammonisce Perazzi, è quella del giardino selvatico, ovvero di un ossimoro: può esistere un giardino senza il giardiniere? Può permettersi, il giardino moderno, di controllare tutta la natura di cui è composto senza preoccuparsi del suo impatto su sistemi più ampi, in termini di acqua, organismi viventi, processi dell’ecosistema?
Alcuni dei suoi importanti progetti di riqualificazione urbana come la Manifattura Tabacchi a Firenze e il quartier generale della Snam a Milano, mostrano che organicità, bellezza e sostenibilità possono convivere creando (ri)generazione.
L’impulso del suo lavoro e del suo pensiero affonda però nell’esperienze d’infanzia alla Piuca, l’ampio giardino selvaggio della villa di famiglia nel Chianti dove ogni estate Antonio bambino si perdeva a catalogare funghi e fiori. Sua zia Oriana Fallaci scriveva, ogni minimo rumore era bandito, non restava dunque che perdersi nel bosco: «I bambini insegnano che con il mondo selvatico si può avere un rapporto giocoso, perché la natura spontanea pungola costantemente la creatività».
Paesaggi e diritti
Con omaggi ai grandi paesaggisti del passato e del presente, da William Robinson e Gertrude Jekyll che hanno rivoluzionato nell’Ottocento l’arte del giardinaggio, a Olmsted, il paesaggista che ha ideato Central Park, e Ippolito Pizzetti, maestro del giardinaggio italiano e caro amico, passando per il teorico Gilles Clément padre del giardino in movimento, Perazzi condensa in quest’opera snella ma intensa, ricordi dei suoi molti viaggi e della fanciullezza, considerazioni filosofiche ed etiche, rimandi letterari e precise indicazioni botaniche, ma anche visioni strategiche di cui non si potrà non tener conto.
Bisognerà, ci esorta, garantire i diritti delle piante come patrimonio collettivo, e ripensare l’agricoltura ispirandosi agli ecosistemi del paesaggio Mediterraneo innestato dalle nuove specie arrivate con l’innalzamento della temperatura.
E ancora: rimodellare la funzione e il ruolo dell’Homo Sapiens, essere naturale e culturale che osserva il sistema vivente facendone parte, e prevenire e conservare, da italiani, la strada della biodiversità culturale e colturale. Le piante, che siano un giardino o un vaso sul davanzale, possono mostrarci la forza di uno spirito indomito che da millenni si adatta, emigra, trasforma. E il selvatico, assicura Perazzi, è «dichiarazione di indipendenza dall’omologazione».
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Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico, counselor dell’età evolutiva e tutor dell’apprendimento. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti.
Svolge attività di formazione in tutta Italia sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione. E’ stata maestra di classe nella scuola steineriana “Il giardino dei cedri” per 13 anni e docente all’Università di Cassino. E’ membro del Gruppo di studio e ricerca sui DSA-BES, della SIAF e di Airipa Italia. E’ vice-presidente di Direttamente onlus con cui sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Giornalista professionista e scrittrice, ha lavorato nella redazione cultura e spettacoli dell’Unità per 12 anni e collaborato con numerose testate. Ha lavorato con l’Università di Roma “La Sapienza” all’archivio di Gerardo Guerrieri e pubblicato diversi libri tra cui Nuova scena italiana. Il teatro di fine millennio e Dove sta la frontiera. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Il suo ultimo libro è Le mani in movimento (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.
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