La scomparsa dei riti e il nostro narcisismo globalizzato

La scomparsa dei riti e il nostro narcisismo globalizzato

Sono fondamentali per “chiudere”, strutturare tempo e spazio, per la trasformazione individuale. I riti collettivi sono stati aboliti dalla società contemporanea. Soppiantati da  piccoli rituali personali, illusione di una inesistente singolarità in un mondo sempre più uniforme. Il filosofo coreano Byung-Chul Han, lungi da inutili nostalgie, riflette sul narcisismo collettivo per costruire nuova consapevolezza

Paolo che intinge il suo biscotto con poetica precisione e Marta che non lo assaggia se prima non ne ha spremuto fuori la crema, sono quest’anno i protagonisti della campagna pubblicitaria della più famosa marca dolciaria del paese. Ognuno ad avviare la giornata nella consacrazione di quei quotidiani, imperdibili rituali, così personali e nostri da darci la piena illusione di una straordinaria singolarità. L’illusione che mangiare quel dolcetto, uscito dalla fabbrica insieme a miliardi di altri assolutamente uguali, in un modo che è solo mio, mi renda unico e specialissimo. 

Si potrebbe cominciare anche da qui a parlare di La scomparsa dei riti, il nuovo libro del filosofo coreano naturalizzato tedesco Byung-Chul Han che in questo 2021 ha pubblicato anche La società senza dolore (Einaudi), un breve saggio ispirato alla paura della sofferenza che il Covid ha reso così pervasiva da spingerci a rinunciare persino alla libertà pur di non doverla affrontare.

Che fine hanno fatto i simboli

Nato a Seul nel 1959 e docente alla Università der Künst di Berlino, da diversi anni Byung-Chul Han decostruisce con prolifica puntualità il sistema neoliberale e la sua retorica, attestandosi come uno dei pensatori più interessanti, attenti e impietosi della contemporaneità. La violenza e la pornografia, la depressione e la politica, il narcisismo e la guerra sono stati negli ultimi anni oggetto dei suoi saggi sul presente e questo nuovo libro sembra compendiare e riassumerne il senso complessivo.

 

il filosofo Byung-Chul-Han
Byung-Chul Han insegna Filosofia e Studi Culturali alla Universität der Künste di Berlino

 

Uno sguardo panoramico sulla società dell’oggi che consuma tutto, dalle merendine ai sentimenti, dall’amicizia alla libertà, dal gioco al tempo. Che atomizza e ammala, sfrutta e deumanizza. È la società senza profondità che ha rinunciato ai riti e alla ritualità, alle azioni simboliche che tramandano e rappresentano i valori in grado di sorreggere le comunità.

Globalità, l’inferno a cui ci siamo assuefatti

I riti «creano una comunità senza comunicazione mentre oggi domina una comunicazione senza comunità» è l’incipit del saggio, che vede nella totale perdita della percezione simbolica e dei segni di riconoscimento (dal greco symbolon, la tavoletta d’argilla che si dava all’ospite come pegno di appartenenza) il senso di contingenza e inafferrabilità del tempo attuale, un tempo fuggevole, inquieto, inabitabile.

Il tempo dei bambini iperattivi e dis-attenti, del consumo “24/7” che elimina nel riposo la possibilità di “fare festa con gli dèi” (Hölderlin). Dei massacri senza scrupoli che uccidono, insieme ai bersagli, ogni spazio per la politica. Il tempo dell’iperproduzione che divora la terra a cui non ci sentiamo più legati perché la comunità rituale ha lasciato posto all’inferno dell’Uguale della globalità, prima fonte di ogni fondamentalismo.

abiti
In preda alla coazione a produrre, è come consumatori che guardiamo le cose e il mondo. Nel rito, invece, le cose non vengono consumate ma usate, e possono anche invecchiare, scrive Han

Il tempo abitabile dei riti

Sono i riti a rendere abitabile il tempo così come la casa e gli oggetti rendono abitabile lo spazio, cita l’autore prendendo a prestito il Saint-Exupéry della Cittadella. Ma gli oggetti, dice Harendt, devono essere durevoli, reali e resistenti, il punto fermo davanti a cui il nostro sé si differenzia e indugia.

Che dire, dunque, dello smartphone che consultiamo una media di 150 volte al giorno, con pagine, informazioni e dati che cambiano continuamente? Il cellulare non indugia mai, anzi. Consuma e ci consuma, perché insieme alle cose la coazione a produrre ci ha insegnato a consumare anche le emozioni, ovvero noi stessi, all’infinito.

Ciascuno si promuove, si esibisce, “se produit” in una società sempre più narcisistica, esasperata dai like e dall’evocazione patetica e bugiarda delle community fino al burn-out e alla depressione, le malattie dell’autoreferenzialità.

 

selfie
La società, secondo Byung-Chul Han, è sempre piú atomizzante, e il soggetto “si produce” girando intorno a se stesso a vuoto, senza rapporti e interazioni reali

Chiusure che trasformano

Nei riti di iniziazione e di cortesia, nel rito del lutto e dell’accademia, così come nei rituali della seduzione o del duello sono (erano?) inscritte “chiusure” fondamentali della vita. Forme che strutturano lo spazio e il tempo e rendono possibile l’esperienza dell’ordine, l’incorporazione fisica e socio-culturale. Sono queste soglie che trasformano.

Nei riti si tace, vige il silenzio del risuonare insieme in cui è insita la dimensione dell’Altro, oggi assordata dall’informazione e dalla circolazione additive: «Le informazioni e le merci preferiscono un mondo senza soglie. La liscezza che non oppone resistenza accelera la loro circolazione. I passaggi temporalmente intensi si disintegrano divenendo transiti rapidi, link continui e clic senza fine».

Iper produzione di sé e narcisismo collettivo

E non si tratta di invocare il ritorno alla ritualità arcaica, avvisa Byung-Chul Han, ma di riflettere sull’erosione della comunità per liberare la società dal narcisismo collettivo innescato dalla modernità.

Festa delle lanterne, rito che chiude il capodanno cinese
Solo i riti collettivi, e il loro simbolismo, possono restituire alla società il senso di una vera connessione con l’Altro, scrive Byung-Chul Han. Nell’immagine, la festa delle lanterne che chiude il capodanno cinese

 

Quando prima Kant e poi Marx sottomettono il gioco, il diritto all’otium, al lavoro come essenza dell’uomo, ecco che anche il pensiero si allontana dal piacere ludico che la trasmissione della conoscenza ha sfoggiato per secoli, a cominciare dal carattere agonistico inscenato dai grandi filosofi greci. Oggi tutto è lavoro, nel senso tragico di una battaglia di produzione distruttiva che non risparmia nessuno: l’arte, la salute, le relazioni, il sacro, persino la guerra asimmetrica dei droni.

Negli sconfinati territori degli algoritmi

Con una prosa al limite del lapidario e il sostegno di illustri filosofi, scrittori e pensatori (da Baudrillard a Barthes, da Agamben a Bataille, da Sennett a Heidegger) Byung-Chul Han ci prospetta in chiusura l’ultimo cambio di paradigma.

Si tratta della “svolta dataistica” che detronizza l’essere umano dall’essere soggetto e autore della conoscenza per insediarvi il sapere prodotto con le macchine. È il pericolo di Big Data: trasformare ogni cosa in dati, in informazioni all’insegna di una trasparenza che non libera gli esseri umani, ma solo il calcolo degli algoritmi.

«È un’efficiente forma di dominio in cui comunicazione totale e sorveglianza totale finiscono per coincidere e questo dominio si spaccia per libertà». Ogni interpretazione non rituale sulle recenti misure politico-sanitarie è volutamente casuale.

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Stefania Chinzari
Stefania Chinzari
Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico, counselor dell’età evolutiva e tutor dell’apprendimento. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti.
Svolge attività di formazione in tutta Italia sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione. E’ stata maestra di classe nella scuola steineriana “Il giardino dei cedri” per 13 anni e docente all’Università di Cassino. E’ membro del Gruppo di studio e ricerca sui DSA-BES, della SIAF e di Airipa Italia. E’ vice-presidente di Direttamente onlus con cui sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Giornalista professionista e scrittrice, ha lavorato nella redazione cultura e spettacoli dell’Unità per 12 anni e collaborato con numerose testate. Ha lavorato con l’Università di Roma “La Sapienza” all’archivio di Gerardo Guerrieri e pubblicato diversi libri tra cui Nuova scena italiana. Il teatro di fine millennio e Dove sta la frontiera. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Il suo ultimo libro è Le mani in movimento (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.

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1 thoughts on “La scomparsa dei riti e il nostro narcisismo globalizzato

    Argomenti centrali oggi, e non è “nostalgia” (come non lo è la mia richiesta d’attenzione allo spreco sistematico oggi di tecnologia e memoria, che cerco di indurre nei miei articoli di educazione ai media). Importante però è, anche nella critica, non farci abbagliare dalle narrazioni correnti. Oggi la globalizzazione potrebbe rappresentare una occasione di scambio e condivisione senza precedenti nella storia, tra tutti gli abitanti del pianeta,se semplicemente i mezzi imparassimo a usarli, invece che solo consumarli. Il narcisismo, la vecchia etica del lavoro spinta oltre ogni logica umana, il “dataismo” spesso malamente gestito da ignoranti ai danni di analfabeti, sono anche l’effetto del corto circuito indotto dallo sviluppo rapidissimo di una tecnologia che, per la prima volta alla portata di tutti, ha reso all’improvviso potenzialmente possibile una democrazia orizzontale e paritaria, in un mondo abituato ad essere verticale e competitivo. Ieri c’erano i riti, oggi non c’è comunicazione, ma solo la mercificazione e il bombardamento di una informazione totale e ridondante, impossibile da gestire per cittadini abituati all’individualismo e alla passività. La mia esperienza soprattutto coni bambini, da decenni mi conferma che basterebbe in realtà molto poco per invertire la tendenza. Però di questa possibilità di volgere le cose in positivo mi sembra che ne parliamo insieme troppo poco.

Parliamone ;-)