Apriti scuola
La scuola riaprirà a settembre, ultima delle istituzioni pubbliche. Ma cosa verrà aperto e come è ancora da capire, e forse da cominciare a costruire
«Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo».
Paulo Freire
In questi mesi la scuola “chiusa” si è aperta – forzatamente – alla vista, anzi più spesso all’ascolto, delle famiglie, che sono state chiamate a partecipare all’impegno dei propri figli, dai più piccoli ai più grandi, sia “tecnologicamente” sia come sostegno all’impegno, psicologico e educativo, che la situazione richiedeva. Uno sforzo collettivo che ha messo in evidenza le tante “chiusure” esistenti tra scuola e società ma anche le tante aperture che si potrebbero realizzare.
Aprirsi alle emergenze
La scuola, gli insegnanti, sono stati costretti a mostrarsi “nudi”, sugli schermi, su WhatsApp, al telefono, fuori dai muri delle classi, nel bene – insegnanti creativi, che hanno inventato nuovi modi di comunicare, accoglienti e inclusivi, che hanno cercato di coinvolgere e supportare chi aveva più bisogno – e nel meno bene – i purtroppo tanti insegnanti che non sono usciti dalla routine di assegnare compiti, interrogare, dare voti, senza soffermarsi a chiedersi il perché degli errori commessi, riproponendo contenuti disciplinari, senza curare la motivazione e il dialogo. Due scuole quindi, a volte conviventi nello stesso Istituto: una scuola aperta ai bisogni, alle emergenze, alle trasformazioni che questo coronavirus ha richiesto, e una scuola chiusa nelle sue routine e nei suoi programmi.
Tornare ad incontrarsi
Molte scuole hanno chiuso l’anno così, con formalità virtuali – un colloquio di quindici minuti, un tema da svolgere, un problema da risolvere – preoccupandosi del voto e non del significato per un bambino, per uno studente, della chiusura di un anno difficile, a volte di un ciclo di studi. Scuole chiuse, e non solo fisicamente ma nell’animo, nella percezione del ruolo che svolgono nella vita dei ragazzi. C’è chi si è ribellato, soprattutto scuole elementari in cui il bisogno dei bambini di vedersi, di incontrarsi, è un bisogno fisico, non rimandabile, e durante il lockdown non risolubile in autonomia: almeno per un giorno, con l’aiuto e il supporto dei genitori, molte classi si sono incontrate, nei parchi, nei giardini, negli spazi aperti della città, per vedersi, gridare, cantare e giocare assieme, anche se a distanza.
Pubblica, popolare e diffusa
E allora, a settembre, lo sforzo da fare è quello di aprire veramente a scuola, di aiutarla a riappropriarsi di un ruolo – di guida e di sostegno per una cultura popolare diffusa – che la scuola pubblica dovrebbe avere. I dati – dati Ocse, dati Europei – ci lasciano agli ultimi posti, sia come numero di diplomati e laureati sia come alfabetizzazione – capacità di leggere e comprendere un testo – degli adulti dai 19 anni in su.
I tre scenari dell’Ocse
In una ricerca sul futuro della scuola, proposta dall’Ocse negli anni 2000, erano stati individuati e discussi tre scenari, ognuno articolato in due sottoscenari:
- Il mantenimento dello ‘status quo’:
- la scuola continua ad essere una istituzione burocratica;
- il lavoro degli insegnanti è sempre meno valorizzato (gli insegnanti di qualità se ne vanno).
- Il rinnovamento della scuola:
- le scuole si propongono come Core Social Centres, collaborando con famiglie, organizzazioni e istituzioni, e vengono riconosciute dalla Comunità locale come Centri di Cultura e Formazione Sociale;
- le scuole come Organizzazioni focalizzate sull’apprendimento esplorano forme di apprendimento e di valutazione alternative, imparano dalla propria esperienza, conciliano inclusione e qualità.
- La descolarizzazione:
- l’apprendimento si sposta in rete, e i contenuti vengono scelti dagli utenti in base ai valori personali e familiari;
- il modello di mercato si afferma, la scelta tra le varie offerte è lasciata alle famiglie, sulla base di indicatori e/o accreditamenti rilasciati da istituzioni pubbliche o private, con un conseguente aumento delle disuguaglianze sociali.
Quale futuro?
Tutti questi scenari sono ancora pericolosamente in piedi, e dipende non solo dalla scuola ma da tutta la comunità – tutti partecipiamo ai processi educativi – la loro realizzazione. Per muoversi nella direzione del secondo scenario, quello di rinnovamento, occorre che la scuola non solo si apra, ma prenda l’iniziativa. Che non si limiti alla socialità spontanea all’interno della scuola, tra chi condivide tempi e spazi e interagisce con persone di età diversa, ma che costruisca intenzionalmente socialità non solo al suo interno ma anche all’esterno, interagendo con la comunità in cui si trova. Le scuole aperte non solo ai genitori ma ai cittadini, non solo ad iniziative scolastiche ma ad iniziative di altre istituzioni e associazioni, non solo alla cultura rappresentata dalle discipline ma alla cultura in movimento, costruiscono una socialità diversa, una socialità di cui, in tempi di coronavirus abbiamo bisogno.
Aperti alla realtà e alla comunità
Una scuola aperta, è una scuola che non si ferma ai libri, a un passato codificato, ma che si rivolge, in primo luogo ed a qualsiasi età, alla realtà che ci circonda: dall’osservare gli alberi che mettono i primi germogli in primavera allo scontrarsi con le fake news, dall’impegnarsi per una mobilità sostenibile al riconoscere le specie aliene, piante e/o animali, ormai di casa nelle nostre regioni, dall’incontro con le diverse culture presenti nel nostro Paese all’analisi e discussione della Carta dei Diritti Umani. Una scuola che insegni ad essere liberi nel rispetto della libertà degli altri, ad essere autonomi ma capaci di chiedere ed offrire aiuto, ad essere orgogliosi di quello che si è e non di quello che si ha. Un luogo di pratiche condivise e di scambio, di discussione e approfondimento, di partecipazione e ricerca di soluzioni; un luogo aperto alla bellezza, alla creatività, all’innovazione. Una scuola che si apre per offrire di più, ma alla quale tutta la comunità deve essere pronta a dare di più non solo in termini di finanziamenti – siamo agli ultimi posti come percentuale del Pil investito nella scuola – ma soprattutto in termini di considerazione, di collaborazione, di sostegno.
Saperenetwork è...
- Michela Mayer, ricercatrice e formatrice, da più di 30 anni attiva nell’Educazione Ambientale e alla Sostenibilità, è attualmente responsabile per l’EAS presso la IASS – Italian Association for Sustainability Science – e Associato di ricerca presso l’Istituto per le Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali (IRPPS) del CNR. Ha seguito presso l’INVALSI ricerche Nazionali e Internazionali sull’Educazione Scientifica e Ambientale. In particolare ha seguito fino al 2015, come esperto Internazionale per le Competenze Scientifiche, il programma PISA –Programme for International Students Assessment - dell’OCSE, e il progetto ENSI – Environment and School Initiatives - nato nell’OCSE per poi trasformarsi in una rete Internazionale. In Italia, ha seguito fin dalla sua nascita il Sistema Nazionale INFEA – Informazione, Formazione e Educazione Ambientale –. Fa parte del Comitato Scientifico del CNESA (Comitato Nazionale Educazione alla Sostenibilità Agenda 2030) della Commissione Italiana UNESCO, del Comitato Scientifico di Legambiente, e di quello della Rivista Culture della Sostenibilità. In questi anni è impegnata nel progetto Erasmus+ RSP – a Rounder Sense of Purpose - coordinato da Francesca Farioli, Direttore della IASS, e rivolto allo sviluppo e alla valutazione delle competenze degli educatori, insegnanti e non, visti come importanti ‘agenti di cambiamento’. Esperta in valutazione educativa ma anche in valutazione di progetti, europei e nazionali, ha tra le sue pubblicazioni il libro: Imparare a vedersi. Una proposta di indicatori di qualità per i sistemi regionali di educazione ambientale, scritto insieme a Beccastrini, Borgarello e Lewanski per la Regione Toscana nel 2005, e la proposta ‘Criteri di Qualità per scuole per lo Sviluppo Sostenibile’, con Breiting e Mogensen, pubblicata sempre nel 2005 dalla rete ENSI.
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