Lo sviluppo sostenibile per il bene comune
Dalla Conferenza di Stoccolma del 1972 all’Agenda 2030. Il percorso, i traguardi e l’evoluzione del diritto ambientale
Apriamo questa rubrica trattando, senza pretese di esaustività, un tema di cui si sente sempre più spesso parlare e che costituisce uno dei concetti cardine del diritto ambientale; quello dello sviluppo sostenibile. Prima di tutto, quali sono i fondamenti di questo principio da un punto di vista giuridico? Soprattutto dagli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso si è iniziato a prendere coscienza dei costi – ambientali e sociali – della crescita economica. Per rispondere alle problematiche ambientali si è dunque sviluppato un sistema normativo – il diritto ambientale – organizzato su più livelli (non solo il livello nazionale, bensì anche quelli comunitario ed internazionale). Un passo fondamentale nella affermazione dello sviluppo sostenibile si ha con la Conferenza sull’Ambiente Umano indetta dall’ONU a Stoccolma nel 1972: prima di questa data manca infatti, a livello internazionale, la piena consapevolezza di una crisi ambientale globale.
Nello stesso anno, il Rapporto del Club di Roma afferma che una crescita illimitata non è possibile, data la finitezza delle risorse. Nell’edizione del 2004 si legge:
«I costi dei disastri naturali vanno aumentando, come pure le difficoltà, e perfino i conflitti, comportati dall’allocazione di risorse (come l’acqua dolce o i combustibili fossili) tra domande alternative».
Successivamente, nel 1987 il “rapporto Brundtland” introduce una prima definizione di sviluppo sostenibile: «(…) lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri». Come può notarsi, e come si dirà nel proseguo, la definizione ruota intorno ad una prospettiva intra-generazionale e inter-generazionale, nonché al concetto dei limiti.
Va menzionata poi una ulteriore tappa decisiva, ossia la Conferenza su ambiente e sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992: la “Dichiarazione di Rio”, articolata in 27 principi, ha come colonna portante proprio lo sviluppo sostenibile, anche se ancora con un approccio antropocentrico. A livello comunitario, sempre nel 1992, deve ricordarsi anche il Trattato di Maastricht: la politica ambientale diventa una politica strutturale dell’Unione Europea (tra gli obiettivi, una crescita sostenibile che rispetti l’ambiente). Successivamente, il Quinto Programma di Azione in Materia Ambientale (1993-2000) collega la protezione dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile, con una contestualizzazione in sede comunitaria dei principi di cui alla Conferenza di Rio del 1992.
A seguito del Trattato di Lisbona del 2007, lo sviluppo sostenibile è attualmente menzionato come principio cardine delle politiche dell’Unione Europea all’art. 3 Trattato sull’Unione Europea (TUE):, secondo cui l’Unione «(…) si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente», nonché all’art. 11 del Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE), già peraltro presente nel Trattato di Amsterdam del 1997:
«Le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile».
Ancora a livello comunitario, va citata poi la Carta di Nizza, che è parte integrante dei trattati. Tuttavia, l’art. 37 della Carta sulla tutela dell’ambiente «(…) un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità̀ devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile» è un principio e non un diritto individuale azionabile. Vi è dunque la necessità di adozione di atti da parte dell’Unione Europea e degli Stati membri nell’ambito delle rispettive competenze. Infine, nel nostro Paese lo sviluppo sostenibile è incluso nel cosiddetto Codice dell’Ambiente (articolo 3-quater del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152). Posto che il contenuto dello sviluppo sostenibile è stato variamente ricostruito dalla dottrina, si può sinteticamente affermare che esso sia composto da quattro elementi:
- Equità inter-generazionale (che significa che occorre tenere conto dei bisogni delle generazioni future)
- Equità intra-generazionale (occorre altresì tenere conto delle esigenze degli altri stati e popoli della Terra nel medesimo momento storico)
- Necessità di assicurare un livello elevato di tutela dell’ambiente
- Necessità di integrazione tra politiche economiche, sociali e ambientali
Pochi dubbi vi sono ormai che, preso atto dei limiti allo sviluppo, si debbano rendere (maggiormente) sostenibili le attività umane, nella consapevolezza che, per usare le parole di Vandana Shiva:
«(…) i cambiamenti introdotti a livello locale comportano anche un impatto globale, mentre quelli introdotti a livello globale coinvolgono anche le economie, le culture e le democrazie locali».
Occorre guardare infatti alle sfide che l’attualità ci pone dinnanzi: desertificazione, cambiamenti climatici, “land grabbing” e “razzismo ambientale”, solo per menzionarne alcune. Se il cibo può costituire un elemento di coesione sociale, anche i problemi ambientali e alimentari possono causare conflitti e rifugiati ambientali. Tali problematiche sono interconnesse tra loro e comportano – ma ne sono al tempo stesso anche l’effetto – una violazione del principio di uguaglianza, inteso come parità di diritti, di risorse, di opportunità, a livello sia intra-generazionale che inter-generazionale. D’altra parte, la disuguaglianza costituisce un freno allo sviluppo sostenibile.
Cinque sono le transizioni fondamentali che dobbiamo affrontare: una trasformazione economica, una trasformazione ecologica ed energetica, un’ampia trasformazione sociale, una trasformazione democratica e partecipativa ed una transizione geopolitica nelle relazioni internazionali (come affermato nella relazione Il ruolo dei CES nello sviluppo sostenibile e nell’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali del Comitato Economico e Sociale Europeo del giugno 2019). A tal proposito, occorre qui menzionare l’Agenda 2030, adottata dalle Nazioni Unite il 25 settembre 2015, che pone 17 obiettivi di sviluppo sostenibile e 169 traguardi. Queste sono le cosiddette “5P” dello sviluppo sostenibile proposte dall’Agenda 2030: Persone, Pianeta, Prosperità, Pace e Partnership, in considerazione – tra l’altro – che “il pianeta Terra e i suoi ecosistemi sono la nostra casa e che l’espressione “Madre Terra” è comune a molti paesi e regioni”.
Guarda il video dell’Asvis sull’Agenda 2030
Gli obiettivi di sviluppo sostenibile posti dall’Agenda evidenziano chiaramente la visione (finalmente) integrata necessaria per il raggiungimento di uno sviluppo che possa dirsi sostenibile nei termini di cui sopra. Vale la pena dunque ricordare che tra gli obiettivi vi sono i seguenti: sconfiggere la fame; salute e benessere; acqua pulita e servizi igienico-sanitari; ridurre le disuguaglianze; città e comunità sostenibili; consumo e produzione responsabili; lotta al cambiamento climatico; pace, giustizia e istituzioni solide; partnership per gli obiettivi. Diversi sono gli strumenti che, anche a livello normativo, sono già stati previsti a livello europeo per l’attuazione del principio dello sviluppo sostenibile. Da questo punto di vista, il diritto ambientale soccorre nel tentativo di ridurre gli impatti delle attività umane, si pensi ad esempio alla Valutazione di Impatto Ambientale. Diversi sono anche gli spazi per un perfezionamento dei predetti strumenti, anche a livello nazionale. Non bisogna dimenticare che, secondo quanto previsto proprio dall’Agenda 2030, tutti i Paesi sono chiamati a contribuire allo sforzo di portare il mondo su un sentiero sostenibile e per quanto riguarda l’Unione Europea, questo richiede un approccio trasversale. L’attuazione dell’Agenda richiede un forte coinvolgimento di tutte le componenti della società, dalle imprese al settore pubblico, dalla società civile al terzo settore, dalle università e centri di ricerca agli operatori dell’informazione e della cultura.
Spunti di lettura
- Bagliani M. – Dansero E. (2011), Politiche per l’ambiente, Novara
- Cavanna V. (2015), Uguaglianza intra- e inter- generazionale: ambiente, cibo ed energia nell’ottica dello sviluppo sostenibile, in L. R. Corrado (a cura di), Le uguaglianze: diritti, risorse, sfide per il futuro, Milano
- Consiglio dell’Unione Europea (2019), conclusioni dal titolo Verso un’Unione sempre più sostenibile entro il 2030, adottate dal Consiglio nella sua 3685a sessione tenutasi il 9 aprile 2019
- Meadows D.H. – Meadows D. – Randers J. (2006), I nuovi limiti dello sviluppo. La salute del pianeta nel terzo millennio, Milano
- Montini M. (2012), Profili di Diritto Internazionale, in P. Dell’Anno – E. Picozza (a cura di), Trattato di Diritto dell’Ambiente, vol. 1, Padova
- Montini M. (2015), Investimenti internazionali, protezione dell’ambiente e sviluppo sostenibile, Milano
- Organizzazione delle Nazioni Unite (2015), Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale il 25 settembre 2015 dal titolo Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile
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Valentina Cavanna si è laureata cum laude e dignità di stampa in Giurisprudenza con una tesi in Diritto Amministrativo dal titolo “Profili giuridico-amministrativi delle Valutazioni di Impatto Ambientale e Ambientale Strategica”.
Ha ottenuto altresì la laurea cum laude e dignità di stampa in Scienze Internazionali e Diplomatiche , con una tesi in Storia delle Dottrine Internazionalistiche dal titolo “Ecologismo e femminismo nel pensiero di Petra Kelly”.
Esercita la professione di avvocato, svolgendo attività di assistenza legale e "due diligence" legale in materia di Diritto dell’Ambiente e Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro; è autrice di numerose pubblicazioni sulle principali Riviste del settore.
È dottoranda di ricerca presso la Scuola di Dottorato dell’Università degli Studi di Torino, Corso di Dottorato in Diritti e Istituzioni (XXXV ciclo). Il suo progetto di ricerca principale è “Environment and technological progress: l’esigenza di nuovi principi e di una nuova normativa comunitaria e nazionale per garantire la sostenibilità ambientale” (supervisor: Prof.ssa Anna Maria Poggi).
È Cultrice della Materia in Istituzioni di Diritto Pubblico presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Genova.
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