Anno perso, anno salvo… Ma è davvero un regalo per i ragazzi?
Cos’è un anno perso? A scuola si usa questa espressione. Perso. Un anno passa comunque, indipendentemente da come riempiamo i suoi 365 giorni. Eppure nella scuola ci insegnano fin da bambini che se non riusciamo a riempire la nostra testa di una serie d’informazioni, troppo spesso solo nozioni, previste dal Ministero della Pubblica Istruzione, allora quell’anno lo abbiamo perso.
L’opportunità di approfondire
E la percezione che si ha davanti all’opportunità di poter tornare ad approfondire concetti rimasti poco chiari è quella di essere puniti per aver usato male il tempo che avevamo a disposizione. Poco importa se magari in quell’anno eravamo così felicemente innamorati da non aver notato quanto fosse positivo il pensiero di Auguste Comte e quanto i numeri complessi con vettori e matrici non fossero poi così incomprensibilmente complessi. O magari eravamo presi dalla crisi di un’adolescenza tanto densa da farci precipitare in una tempesta del dubbio che in confronto, se ci fossimo soffermati a leggerla, quella di Mazzini ci sarebbe apparsa come una leggera brezza. Non sono certo persi gli anni degli amori sui banchi di scuola e nemmeno quelli degli strilli con i genitori e le porte sbattute. Eppure quando ci viene data la possibilità di tornare ad approfondire argomenti e magari scoprire che quella porta sbattuta ha la stessa energia di uno Sturm und Drang e quell’amore così totalizzante lo aveva provato anche Catullo andando oltre il rosa rosae, quello continuiamo a definirlo un anno perso.
La pubblica salvezza
E allora visto che, indubbiamente i giovani studenti dalle elementari alla scuola superiore, sono stati i primi ad essere fermati in nome della salute della nazione, beh, allora il nostro ministro della Pubblica istruzione non desidera proprio punirli ulteriormente. Quindi l’anno sarà salvo. Così ha dichiarato. Tutti promossi. Tutti scaraventati all’anno successivo indipendentemente da quanto, attraverso la didattica a distanza, siano riusciti ad apprendere. I nodi verranno al pettine in futuro e allora saranno solo responsabilità dei ragazzi.
Anno salvo, un’assoluzione in nome del mercato
L’anno salvo dà allo Stato un potere che ricorda quello dei papi, una sorta di anno santo con assoluzione da tutti i peccati e volo diretto nel paradiso dell’anno successivo. È un’azione che svuota di senso lo sforzo dell’apprendimento. E se già l’andare a scuola è uno sforzo verso il quale i ragazzi chiedono continue motivazioni: «A che serve saper fare i prodotti notevoli?! Ditemi a che mi servirà nella vita l’aoristo greco, quando mai lo userò?!», ecco, ora sanno che allo Stato italiano poco importa che loro conoscano il greco o la matematica. La frase che si sente più spesso è diventata: «Tanto studiare è inutile: passiamo lo stesso…». Ciò che interessa allo Stato è che la maggior parte dei suoi giovani arrivi sul mercato europeo del lavoro nei tempi stabiliti. Solo in questo modo l’anno sarà salvo. Non si capisce ancora bene a chi gioverà questa salvezza e in quale modo. Ma questo fa parte dell’incertezza del momento.
Il coraggio del rispetto
Se lo Stato avesse il coraggio di rispettare davvero i nostri ragazzi un anno glielo dovrebbe restituire e permettere a tutti di recuperare ciò che non hanno potuto fare e quindi che effettivamente hanno perso. Permettere ai bambini di prima elementare di tornare il prossimo anno in prima elementare e riprendere i mille lavoretti che sicuramente sono rimasti appesi nelle loro aule.
Permettere ai ragazzi dell’ultimo anno del liceo di stare insieme e approfondire gli studi, così belli e formativi, per arrivare sereni e preparati alla loro maturità.
Tre mesi e mezzo senza scuola, perché la didattica a distanza nelle sue forme più riuscite forse è didattica, ma non sarà mai scuola, dovrebbero permetterci di riflettere sul valore umano dell’apprendere insieme. La scuola non è didattica, ma un luogo in cui attraverso la didattica s’impara a stare insieme, a guardare il mondo riflettendo su ciò che è stato e immaginando ciò che sarà.
Niente è peggio del ritorno alla normalità
Non sbagliano i molti che continuano a dire che niente sarà più come prima. Come ha scritto Arundhaty Roy:
«La rottura esiste. E nel mezzo di questa terribile angoscia, ci offre un’opportunità per ripensare la macchina apocalittica che ci siamo costruiti. Niente potrebbe essere peggio di un ritorno alla normalità».
Eppure ai nostri giovani, che dovrebbero essere i più pronti ad accogliere il cambiamento, questo nuovo sguardo non riusciamo neanche a proporlo. Lo temiamo. Abbiamo fermato per mesi il treno del nostro sistema economico e sociale e ora immaginiamo di poter ripartire esattamente dal punto in cui ci saremmo trovati se tutto questo non fosse mai accaduto.
Chi doveva passare in terza elementare passerà in terza elementare, chi avrebbe dovuto frequentare il quarto liceo scientifico frequenterà il quarto liceo scientifico e via dicendo. Tutto esattamente come sarebbe dovuto essere. Come se questa quarantena non l’avessimo mai vissuta. Senza darci nemmeno il permesso di immaginare un’alternativa diversa all’anno salvo. Senza rispettare il valore catartico di questa sofferenza.
Vivere il cambiamento in lentezza e solidarietà
Questa quarantena segna sicuramente uno spartiacque tra ciò che era prima e ciò che sarà dopo. Vivendola ci ha costretti, con risultati sicuramente diversi, a confrontarci con due atteggiamenti imposti per decreto: la lentezza e la solidarietà. Tutti abbiamo rallentato. E i giovani, per primi, portatori sani, sono stati costretti a sperimentare nel profondo delle loro cellule sprizzanti vitalità, il significato del rispetto dei più deboli.
Possiamo scegliere di uscire con questo bagaglio e considerarlo una ricchezza. Oppure far finta di niente e immaginare di ritrovare il mondo come l’avevamo lasciato.
Possiamo vivere il cambiamento come reazione a una nuova situazione, o scegliere di mettere in atto una azione libera dettata dal nostro sguardo consapevole, un’azione che non sia reattiva ma attiva.
L’importanza della lentezza
Con così poca fiducia nell’essere umano non ci è neanche venuto in mente che forse siamo pronti a rallentare senza spaventarci, a proporre ai nostri ragazzi di tornare ad approfondire e gustare argomenti lasciati a metà. Possiamo portare con noi il significato della solidarietà riconoscendo che la didattica a distanza non è arrivata a tutti nello stesso modo. Invece di cercare di rimettere tutto com’era secondo le leggi del prima, possiamo onestamente ammettere che forse non era poi così perfetto il sistema che avevamo creato e senza temere la lentezza e la solidarietà ripartire proprio dai giovani.
Saperenetwork è...
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Dafne Crocella è antropologa e curatrice di mostre d’arte contemporanea. Dal 2010 è rappresentante italiana del Movimento Internazionale di Slow Art con cui ha guidato percorsi di mindfulness in musei e gallerie, carceri e scuole collaborando in diversi progetti. Insegnante di yoga kundalini ha incentrato il suo lavoro sulle relazioni tra creatività e fisicità, arte e yoga.
Da sempre attiva su tematiche ambientali e diritti umani, convinta che il rispetto del proprio essere e del Pianeta passi anche dalla conoscenza, ha sviluppato il progetto di Critica d’Arte Popolare, come stimolo e strumento per una riflessione attiva e consapevole tra essere umano, contemporaneità e territorio. È ideatrice e curatrice di ArtPlatform.it, piattaforma d’incontro tra creativi randagi.