Stoccolma, 50 anni dopo. Quale giornalismo per l’ecotransizione
Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, la sintesi dell’intervento introduttivo al convegno “Quale giornalismo per la transizione ecologica” che si terrà il 4 giugno a Gaeta nell’ambito del “Symposium on Social Transition and Climate Change” promosso dall’Università di Cassino e del Lazio Meridionale
La recente “costituzionalizzazione” della tutela ambientale come principio fondamentale della Repubblica a necessario supplemento degli Articoli 9 e 41 della nostra Carta, ha posto sotto i riflettori la centralità di un tema per troppo tempo relegato ai margini dell’agenda setting. A valle dell’emergenza pandemica, e nella prospettiva di un inderogabile “ottimismo della volontà e della ragione”, si impone dunque all’attenzione degli studiosi, ma anche dei movimenti interessati alle tematiche ecologiche, la necessità di rilanciare un dibattito pubblico di alto profilo.
Questo implica partire dalla cultura dei dati, in particolare quelli connessi ai cambiamenti di comportamento comunicativo e culturale durante e dopo il Covid, che hanno certificato un innegabile ritorno alla mediazione giornalistica[1].
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Solo su questa solida base sarà possibile individuare la strada di una ripresa economica, ma soprattutto di una rinascita sociale ispirate al principio-cardine della sostenibilità. Un concetto al centro dell’Agenda 2030 [2] come del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e di ogni progetto preoccupato di un “presente futuro” in cui sia finalmente licenziata la stagione dei conflitti e delle contrapposizioni generazionali, in nome di un patrimonio dibeni comuni da valorizzare e preservare.
In questa cornice, non c’è dubbio che a tenere le fila di un’indispensabile regia operativa e culturale sia chiamata la comunicazione, da intendersi come “infrastruttura sensibile” [3] votata alla mediazione dei contenuti e in grado di archiviare definitivamente la retorica deformante e distorsiva dell’emergenza.
Dal primo riferimento ufficiale al concetto di sostenibilità contenuto nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, pubblicata a conclusione del Concilio Vaticano II nel 1965, fino a quello di sviluppo sostenibile introdotto per la prima volta dal Rapporto Bundtland della Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo nel 1987, passando per la Conferenza sull’ambiente di Stoccolma del 1972, molta strada è stata percorsa a livello di consapevolezza e sensibilità individuale e collettiva.
Guarda il video delle Nazioni Unite sulla genesi della Conferenza di Stoccolma
Tuttavia, i lodevoli sforzi profusi non hanno ancora centrato l’obiettivo di una necessaria sostituzione di paradigma capace di orientare donne e uomini di oggi lungo i tornanti di una transizione storica che ha assunto tutte le caratteristiche di un autentico passaggio d’epoca. È evidente, in questo scenario, che qualunque deficit o ritardo entro una strategia di accompagnamento che assicuri trasparenza rispetto alle varie fasi di questo processo, rischia di diventare un danno in grado di compromettere quelle risorse di speranza e coesione già oggi drammaticamente ridotte al minimo, non solo nel nostro paese.
Scarica il report ufficiale dell’Onu sulla Conferenza di Stoccolma (pdf, in inglese)
In questo contesto, un argomento da sottoporre alla riflessione, anche nel senso di una nuova tematizzazione dello spazio pubblico, è quello della sostenibilità nella sua più ampia portata di processo di cambiamento accuratamente scelto in termini di plausibile raccordo tra obiettivi politici e risorse disponibili. Già di per sé, si tratterebbe di un contributo ad una nuova concretezza della comunicazione sociale, protesa a rendere meno ideologica la gerarchia degli obiettivi di sviluppo di una comunità e di un Paese, sollecitando tutti ad accompagnare sistematicamente il versante delle richieste e dei bisogni verso un riscontro fondato sui dati e sulla verifica delle risorse disponibili.
In altri termini, si tratta di incoraggiare sempre più un’attenta motivazione delle scelte di politica non solo economica, sia in carico alle istituzioni che nella legittima richiesta dei cittadini, poiché indicare con chiarezza gli obiettivi, ma anche metodi, tempi e risorse necessarie, rende più semplice verificare i risultati e persino ispezionare i percorsi che ad essi conducono.
Del resto, la sostenibilità ha il vantaggio di collegarsi a issues diverse dalla contrapposizione di parte, condivise in buona misura dalle generazioni nuove, semplificando un loro ritorno alla partecipazione.
Ciò consentirebbe di connettersi ad un dibattito sulle mete sociali condivise, piuttosto che alla liturgia dello scontro ideologico. Un percorso poggiante sul concetto fondamentale di bene comune[4], da intendersi non come dato culturalmente acquisito, ma piuttosto come traguardo di processi ancora in fieri, orientati alla riconquista di spazi pubblici autenticamente democratici e radicalmente alternativi rispetto alla visione riduttiva di un declinante homo oeconomicus.
NOTE
[1] Cfr. M. Morcellini, “Mediacovid. Ritorno alla mediazione”, in Formiche, n.170, giugno 2021.
[2] Su questi temi è di estremo interesse la recente Ricerca di Paola Springhetti e Maria Paola Piccini “Pensare il futuro. I 17 obiettivi dell’Agenda 2030 visti dai giovani e raccontati dai giornalisti” (Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Pontificia Salesiana, in collaborazione con UCSI, Unione Cattolica della Stampa Italiana).
[3] Sono intervenuto più volte su questi temi e sulla necessità di un’efficace strategia di comunicazione per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Si veda a tal proposito il mio contributo nella Rubrica che firmo per la Rivista Formiche: “Trasparenza contro derive tecnocratiche”, Formiche, n.176, gennaio 2022.
[4] Su questi temi il riferimento va ancora a S. Rodotà, “Il diritto di avere diritti”, Laterza, Bari 2013; ma si veda anche U. Mattei, “Beni comuni. Un manifesto”, Laterza, Bari 2011.
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- Mario Morcellini è Presidente del Consiglio scientifico di Fondazione Roma Sapienza. Professore Emerito di “Sociologia dei Processi culturali e comunicativi e direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della «Sapienza» Università di Roma, ha ricoperto il ruolo di commissario Agcom e rappresentato l’Interconferenza dei Presidi presso il CUN. Tra le sue pubblicazioni: "Perché la sinistra ha perso le elezioni?" (curatela con M. Prospero, Milano 2009); "Neogiornalismo. Tra crisi e Rete, come cambia il sistema dell’informazione" (curatela, Milano 2011); "Comunicazione e media" (Milano 2013).