Cop 26, addio. Ma come salvare il clima? L’opinione di Sergio Castellari
Il climatologo dell’Ingv in forze presso l’Agenzia europea dell’ambiente di Copenaghen: «Proprio in questo momento di discontinuità del nostro sistema socio economico si può trasformare il modello. E l’Europa realizzerà comunque il Green Deal»
La notizia è arrivata ieri. La Conferenza delle parti (Cop) sul clima numero 26, prevista a Glasgow dal prossimo 9 al 18 novembre, è stata rimandata a causa della pandemia in corso. Stessa sorte per la pre-Cop di Milano dal 2 al 4 ottobre. A quanto pare il luogo che avrebbe dovuto ospitare la Conferenza in Scozia sarà adibito ad ospedale da campo. Giusto per dare un’idea di quanto fosse impensabile proporre un evento del genere, che riunisce migliaia di persone provenienti da ogni parte del mondo.
La Cop, dunque, al momento è ferma per di più dopo il sostanziale fallimento della Conferenza spostata lo scorso anno da Santiago del Cile a Madrid. Ma gli sconvolgimenti climatici procedono, tanto che l’inverno appena concluso è stato quello con le temperature più elevate da quando si effettuano le misurazioni, vale a dire 3,4°C in più rispetto alla media secondo Copernicus, il programma satellitare europeo di osservazione della Terra.
Ne abbiamo parlato con Sergio Castellari, climatologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, attualmente distaccato presso l’Agenzia europea dell’ambiente di Copenaghen.
Il rinvio della Cop 26 era nell’aria e arriva in un momento particolare, durante una pandemia, durante l’inverno più caldo di sempre. Tutto questo non rischia di spazzare via gli impegni per l’ambiente, non meno strategici per la salute pubblica della lotta al Coronavirus?
Le Cop raggruppano come minimo migliaia di persone, la proposta del Segretariato per i cambiamenti climatici dell’Onu di rimandare l’appuntamento di novembre al 2021 è sicuramente la scelta giusta. Piuttosto la riduzione di CO2 riscontrata nella zona di Wuhan e in Lombardia grazie al lockdown di gran parte delle attività lavorative ci dovrebbe far capire ancora di più come tutte le attività legate ai combustibili fossili facciano aumentare le emissioni di gas serra. L’impegno dei paesi per affrontare l’emergenza dei cambiamenti climatici deve rimanere una priorità, assolutamente non negoziabile. Anzi, proprio in questo momento di discontinuità del nostro sistema socio economico si può attuare una trasformazione del modello, creando opportunità di lavoro nei nuovi campi. Ad esempio in quello delle strutture digitali, energetiche e della mobilità a basse o zero emissioni di carbonio.
Ma come si può sfruttare il tempo che ci separa dal momento in cui la Conferenza si potrà realizzare?
Le economie, in particolare quelle dei paesi industrializzati, cercheranno di riprendersi attraverso dei piani di recupero economico. Secondo me può essere un’opportunità: includendo in maniera seria nei piani i diciassette obiettivi di Sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. Per fare in modo che il nostro sostegno alla ripresa diventi davvero carbon neutral e climate resilient. Che si arrivi cioè ad una economia a zero impatto di carbonio, ad una società capace di adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici già in corso e che avverranno anche in futuro, a causa delle attuali e passate emissioni.
Guarda il video sullo stato del clima secondo Copernicus
Dopo la crisi del 2008 però le cose sono andate diversamente, i piani di rilancio hanno favorito soprattutto l’economia fossile…
Questo potrebbe accadere negli Stati Uniti. Sono di questi giorni le decisioni prese dall’amministrazione Trump per rivitalizzare il settore del petrolio. D’altronde gli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump si sono ritirati dall’Accordo di Parigi, l’uscita formale entrerà in vigore il 4 novembre di quest’anno, il giorno dopo le prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti, in cui Trump proverà a ottenere dagli elettori un secondo mandato. Questo è un grosso problema, sicuramente. Ed è una delle criticità dell’Accordo di Parigi, che già ha perso negli Stati Uniti il paese con le emissioni di CO2 pro capite più alte nel nostro mondo.
Ma la Commissione Europea a dicembre dello scorso anno ha lanciato il Green Deal, che ha come obiettivo quello di rendere l’Europa il primo continente carbon neutral entro il 2050. Doveva essere presentata proprio alla Cop 26, ma non importa se non sarà presentata, perché sicuramente l’Europa ha questa road-map, che verrà finanziata.
È una grande sfida, che riguarda tutti i settori del nostro sistema socio economico: fonti rinnovabili, economia circolare, edifici più efficienti, mobilità sostenibile e intelligente, un’agricoltura più sostenibile con la nuova Politica comune agricola. Il Green Deal europeo prevedeva che si lanciassero nuove strategie, come quella per la biodiversità, che partirà alla fine di aprile, invece che a marzo. Ci sarà la nuova strategia industriale, il piano d’azione per l’economia circolare, la nuova strategia sull’agricoltura “Farm to Fork” e la nuova strategia di adattamento ai cambiamenti climatici. Forse alcune saranno lanciate in ritardo. Però ormai il gioco è partito. Quindi io sono ottimista a livello europeo. Il rischio lo vedo nelle economie di quei paesi che sono sempre stati più refrattari…
Si riferisce, oltre che agli Stati Uniti, ad esempio al Brasile di Bolsonaro?
Direi Brasile, Russia, Cina, India. Basti pensare alla Cop 25. L’Europa con il Green Deal ha un obiettivo ambizioso, ma rappresenta solo circa il 10% delle emissioni globali. La parte più massiccia di emissioni viene prodotta dalla Cina e dagli Stati Uniti. Io spero che questi sei mesi, forse un anno di ritardo per la Cop, permetta ai paesi più refrattari di capire che è il momento giusto per riconvertire il proprio modello energetico.
Secondo lei la tragedia della pandemia che stiamo vivendo, ha fatto passare il concetto che tra le conseguenze dei cambiamenti climatici ci sono anche le epidemie?
Ai primi di marzo, prima dei Decreti emanati dal governo, mi sono posto il problema della gestione di un’emergenza sanitaria. Ho evidenziato due problemi: quella della comunicazione, della percezione del rischio, e quello problema dell’interfaccia fra “policy” e “science”, cioè fra la comunità degli scienziati, dei virologi che lavorano sul tema e la politica. Tutto questo porta al tema della governance. Come governare un’emergenza che non si sa quando finisce e che può avere dei grossi follow up socio economici? C’è un possibile link tra emergenza climatica e emergenza sanitaria.
Leggendo uno degli ultimi rapporti dell’Agenzia europea per l’ambiente pubblicato nel 2017, si vede che il cambiamento climatico in Europa può portare nei prossimi decenni a cambiamenti significativi nella distribuzione geografica e stagionale di malattie infettive trasmesse da vettori come zanzare, mosche e zecche.
L’Italia è in un’area dell’Europa a rischio per queste malattie a causa dei cambiamenti climatici. Sono questioni che gli scienziati già pongono da diversi anni. Quello che si sta facendo adesso per l’emergenza coronavirus, dal mio punto di vista, è un test per affrontare le emergenze sanitarie che nei prossimi decenni potranno colpire a causa dei cambiamenti climatici. Io non sono un esperto virologo, ma ci sono pubblicazioni scientifiche in questo campo. Quindi io vedo questa emergenza come una prova generale.
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Una prova generale anche nei confronti della crisi climatica, dunque. Come dovremo affrontarla proprio nei termini della governance?
Credo sia essenziale avere un coordinamento sovranazionale. A livello europeo, ma anche internazionale. Quindi più fondi alla ricerca scientifica, più investimenti nei sistemi di allerta e monitoraggio e una più efficace governance di queste nuove emergenze.
Saperenetwork è...
- Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.
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