Nuovo rapporto Ipcc, sempre più vulnerabili al cambiamento climatico. Intervista al climatologo Piero Lionello
Il secondo volume del Sesto report dell’Onu, appena pubblicato, sottolinea la vulnerabilità umana e la necessità di piani di adattamento. Chiarisce inoltre come le probabilità di successo nel ridurre i rischi siano compromesse se il riscaldamento globale andrà oltre valori elevati. Ne abbiamo parlato con uno degli autori, docente all’Università del Salento
Oltre il 40% della popolazione mondiale è già oggi “altamente vulnerabile”. Stravolgimenti pericolosi e diffusi nella natura stanno incidendo sulla vita di miliardi di persone in tutto il mondo, in particolare nei paesi più poveri che sono anche quelli più a rischio. Molte alterazioni si possono considerare irreversibili ma non è troppo tardi per migliorare la situazione.
Sono alcune delle indicazioni che emergono da Climate Change 2022: Impacts, Adaptation and Vulnerability, vale a dire il secondo volume del Sesto rapporto che il Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) ha presentato tre giorni fa, nel pieno di un conflitto che certo non aiuta ad affrontare una questione sempre più urgente.
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Il focus, questa volta, riguarda gli impatti del riscaldamento globale su ecosistemi, biodiversità e comunità umane a livello globale e regionale. Lo studio esamina inoltre le vulnerabilità e le capacità dell’ambiente e delle società umane di adattarsi alle conseguenze del riscaldamento globale. E il quadro è chiaro: cambiare rotta è sempre più un imperativo.
Ne abbiamo parlato con Piero Lionello, professore ordinario di Fisica dell’Atmosfera e Oceanografia presso l’Università del Salento, che del rapporto è uno degli autori.
Professor Lionello, secondo lei quali sono le evidenze più importanti emerse dal nuovo rapporto dell’Ipcc?
Il rapporto presenta le evidenze scientifiche prodotte negli otto anni trascorsi dal precedente sugli impatti del cambiamento climatico in atto, i rischi che ne conseguono e le strategie di adattamento per affrontarli. In questi otto anni la ricerca ha evidenziato in modo inequivocabile che il cambiamento sta già avendo effetti su ecosistemi terrestri e marini, settori produttivi e società. Il rapporto mostra come per affrontare i rischi che ne derivano sia importante un’azione urgente. Mostra anche come questi rischi aumentino con il livello del riscaldamento globale. Pertanto, il successo dell’adattamento è strettamente legato alla mitigazione del cambiamento climatico in atto e alla misura in cui vengono raggiunti gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Maggiore sarà il riscaldamento del pianeta, più limitata e costosa sarà la capacità di adattarvisi.
In sintesi: l’evidenza scientifica è inequivocabile, il cambiamento climatico pone a rischio il benessere umano e la salute del pianeta, azioni urgenti e concertate a livello globale sono fondamentali per garantire un futuro vivibile e sostenibile per tutti.
Per la prima volta è stato incluso il concetto di perdite e danni. Più nel dettaglio, a cosa andiamo incontro in questo senso?
Non è la prima volta che questi concetti vengono evidenziati. Gli impatti negativi del cambiamento in atto sono già menzionati nel rapporto precedente e documentati nella letteratura scientifica. In particolare, il precedente rapporto IPCC sugli effetti di un riscaldamento globale superiore a 1.5°C, pubblicato nel 2018, ha mostrato i vantaggi di contenerlo al di sotto di tale soglia e le conseguenze del suo superamento.
Nel sesto rapporto, quello appena pubblicato, l’Ipcc ha identificato però quattro categorie di rischi-chiave che l’Europa deve affrontare.
Vale a dire i rischi per popolazioni e ecosistemi prodotti dalle ondate di calore, quelli per la produzione agricola prodotti da una combinazione di caldo e siccità, i rischi legati alla scarsità di risorse idriche per le popolazioni prodotti dalla diminuzione delle precipitazioni in combinazione con un aumento dell’evapotraspirazione. Quindi i rischi per le persone e le infrastrutture derivanti dalle inondazioni costiere prodotte dal generale aumento del livello del mare più quelle fluviali e pluviali provocate dall’aumento di precipitazioni estreme in alcune aree. Le caratteristiche climatiche della regione Mediterranea e delle sue vulnerabilità la rendono particolarmente esposta nel contesto europeo a questi rischi.
La specie umana è quindi tra quelle particolarmente vulnerabili agli esiti più nefasti del cambiamento climatico. In numeri, quanto rischiamo?
Personalmente, questo concetto non mi sembra utile per caratterizzare e affrontare il problema. Mi sembra ovvio che esistono molte specie animali e vegetali che non hanno le modalità di adattarsi ai cambiamenti che hanno gli esseri umani e la società nel suo insieme e sono poste a rischio di estinzione o drammatiche riduzioni degli habitat disponibili. In numeri, in media nel Mediterraneo, ci si attende durante questo secolo un ulteriore aumento di temperatura compreso fra 0.9 e 5.6°C per le aree continentali e fra 0.6 e 4.5°C per la superficie del mare, un aumento del livello del mare compreso fra 0.3 e 1.1 m, una diminuzione delle precipitazioni che potrebbe superare il 20%. I valori effettivi all’interno di questi intervalli dipenderanno dall’efficacia con cui verrà realizzato il taglio delle emissioni.
Gli impatti dipenderanno dall’efficacia delle azioni di adattamento. Ad esempio, per un aumento della temperatura globale di 1,5°C e 2°C la scarsità idrica (sia pure in forma moderata) riguarderà il 18% e il 54% della popolazione dell’Europa meridionale, rispettivamente.
Per certi versi – scrivono nel rapporto – è troppo tardi. Per altri, cosa è necessario fare per invertire la rotta?
Il rapporto non evidenzia che sia troppo tardi. Il rapporto, nel suo insieme, indica che azioni urgenti consentono di contenere il riscaldamento globale al di sotto della soglia di 1.5°C con la tempestiva riduzione delle emissioni. Minore è il grado di riscaldamento globale, minore è la probabilità di non essere in grado di adattarsi e maggiore è il numero delle opzioni disponibili, cioè l’adattamento al cambiamento climatico è maggiormente fattibile. La riduzione delle emissioni è un elemento chiave per ridurre i rischi, così come lo sono; piani di adattamento tempestivi e adeguati, oltre il breve termine; soluzioni inclusive, eque e giuste; identificazione di opzioni fattibili ed efficaci nel loro contesto locale.
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C’è poi il Mediterraneo, hotspot di riscaldamento globale. Perché il nostro bacino è così vulnerabile?
Dal punto di vista climatico il ciclo idrologico del Mediterraneo è particolarmente sensibile al riscaldamento globale e implica un aumento delle aree aride e della frequenza e intensità delle siccità. Al pari di molte altre regioni è inoltre esposto all’aumento della temperatura e del livello del mare.
I rischi prodotti dal queste criticità climatiche vengono aumentati da condizioni specifiche di vulnerabilità.
Ovvero una popolazione urbana numerosa, in crescita, esposta e vulnerabile alle ondate di calore, un numero elevato e crescente di insediamenti colpiti dall’innalzamento del livello del mare, una grave e crescente carenza idrica, già sperimentata oggi da paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. E ancora, una crescente domanda di acqua da parte dell’agricoltura per l’irrigazione l’elevata dipendenza economica dal turismo, a rischio per l’aumento della temperatura e di politiche internazionali di riduzione delle emissioni di viaggi aerei e crociere). Infine, la perdita di ecosistemi marini, zone umide, fiumi o zone montane, posti in pericolo anche da pratiche non sostenibili.
In conclusione, quale ritiene sia lo scenario futuro più verosimile?
La mitigazione del cambiamento climatico sarà oggetto dell’ultima parte del rapporto Ipcc che chiarirà le opzioni disponibili e in quale misura l’Europa sia in grado di contribuire sostanzialmente a un’azione concertata globale di taglio delle emissioni. Il rapporto che è stato appena pubblicato chiarisce come in Europa rispetto ad altre regioni del mondo ci siano elevate capacità di adattamento al cambiamento climatico e indica i requisiti di un piano di adattamento efficace. Chiarisce anche come le probabilità di successo nel ridurre i rischi siano compromesse se il riscaldamento globale eccede valori elevati e sia importante contenerlo entro 1.5°C. In questo contesto lo scopo della ricerca scientifica è fornire informazioni a cittadini e decisori. Il futuro dipende dalle scelte di governi e cittadini, dalla misura con cui viene recepita l’urgenza e l’importanza di azioni di adattamento e mitigazione.
Saperenetwork è...
- Laureato presso l'Università degli studi di Roma "La Sapienza" in Scienze Ambientali prima, e in Ecobiologia poi. Attualmente frequenta, presso la medesima università, il corso di Dottorato in Scienze Ecologiche. Divulgare, informare e sensibilizzare per creare consapevolezza ecologica: fermamente convinto che sia il modo migliore per intraprendere la via della sostenibilità. Per questo, e soprattutto per passione, inizia a collaborare con diverse testate giornalistiche del settore, senza rinunciare mai ai viaggi con lo zaino in spalla e alle escursioni tra mare e montagna
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