Megafauna a rischio: salvare i grandi animali è vitale per il Pianeta

Megafauna a rischio: salvare i grandi animali è vitale per il Pianeta

La scomparsa della megafauna, composta da specie chiave e “ingegneri ecosistemici”, contribuisce alla perdita della biodiversità. L’estinzione di questi animali provoca quindi contraccolpi gravissimi sulla salute del Pianeta. Per evitarla è necessario pianificare azioni con un respiro più ampio rispetto ai precedenti progetti di conservazione

Il Living Planet Report  2020, il documento redatto e pubblicato dal Wwf in collaborazione con la Zoological Society of London che descrive lo stato di salute della biodiversità globale, non riporta buone notizie. Il rapporto di quest’anno rivela che, tra il 1970 e il 2016, c’è stato un decremento medio del 68% delle popolazioni monitorate di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci. Come riferisce un articolo pubblicato poche settimane fa dalla rivista scientifica Trends in Ecology & Evolution, uno dei più sorprendenti impatti dell’attività umana sulla biodiversità è la diminuzione di grandi vertebrati terrestri e acquatici. Essi costituiscono la megafauna e la loro perdita può influenzare gravemente i processi su grande scala del nostro Pianeta.

 

Guarda la Global Forest Watch, la mappa che mostra le regioni dove la biodiversità è più urgente

 

Cos’è la megafauna?

Non è così semplice dare una definizione di megafauna. Gli autori dell’articolo pubblicato su Trends in Ecology & Evolution si riferiscono a grandi animali con una massa che supera i 44,5 chilogrammi. Parliamo quindi di elefanti, rinoceronti, lupi, leoni ma anche di storioni, pesci gatto, delfini di fiume, lamantini, lontre, castori e ippopotami.In realtà il termine “megafauna”, come discusso in un’altra pubblicazione comparsa su Proceedings of the Royal Society B – Biological Sciences , ha anche un significato funzionale. Quelle che appartengono all’insieme della megafauna sono specie chiave, ossia specie che rivestono un ruolo ecologico strategico, o anche veri e propri ingegneri ecosistemici in grado di creare, modificare, mantenere o distruggere un habitat.

Questi animali possono disperdere semi su grandi distanze, modificare le comunità vegetali attraverso il pascolo o regolare le catene alimentari con la predazione. Sono coinvolti nei cicli biogeochimici: trasportano nutrienti come azoto e fosforo su aree estese attraverso urina e feci, e continuano a farlo anche dopo la morte, con la decomposizione del proprio corpo.

Cosa significherebbe la scomparsa della megafauna? Una prima risposta l’hanno data i paleontologi: nel Pleistocene si sono estinti mammut, bradipi terricoli e tante altre specie giganti, architetti del paesaggio la cui morte ha causato modificazioni irreversibili in alcuni ecosistemi.

C’era una volta il lupo di Yellowstone

Per comprendere l’influenza esercitata dalla presenza di un grande vertebrato su un territorio piuttosto vasto, vi raccontiamo la storia dei lupi di Yellowstone. L’ultimo branco di lupi nel Parco nazionale di Yellowstone era stato eliminato nel 1926, dopo una caccia che aveva avuto inizio negli anni Settanta del 1800. I lupi erano ritenuti un pericolo per l’uomo e per le sue attività, tra cui gli allevamenti. La loro assenza, però, modificò le caratteristiche dell’ecosistema di cui erano parte: i coyote non avevano concorrenza e la popolazione di alci era esplosa, portando al sovrapascolo di salici e pioppi. Senza quegli alberi non c’erano luoghi per gli uccelli per nidificare e i castori non avevano legno per le loro dighe. Anche le condizioni di umidità e temperatura e lo stesso paesaggio erano mutati. Nel 1995 l’Us Fish and Wildlife Service, in collaborazione con alcuni enti canadesi, reintrodusse nell’area di Yellowstone 41 lupi provenienti dal Jasper National Park. Il loro ritorno ridistribuì le carte in tavola, modificando nuovamente l’ecosistema del parco.

 

Lupi e biodiversità
I lupi riequilibrano l’ecosistema europeo. Schema degli effetti del ritorno del lupo in un ecosistema pubblicato dalla European Wilderness Society (Fonte: wilderness-society.org/)

 

Conservare la biodiversità su scale di grandezza maggiori

Se è vero che le sue dinamiche non sono così semplici da spiegare, d’altro canto questa vicenda dimostra l’influenza considerevole della megafauna su un ecosistema. L’area in cui i lupi sono stati reintrodotti è pari a circa 9000 chilometri quadrati ma, se pensiamo che solo l’Amazzonia copre oltre 5 milioni di chilometri quadrati, iniziamo a capire che dovremmo cambiare la scala di grandezza dei nostri interventi per renderli più efficaci, nell’ottica di preservare processi che interessano l’intero pianeta.

Fino a ora i progetti di conservazione della biodiversità si sono concentrati soprattutto sulla protezione di aree geografiche piccole e molto limitate: questa riflessione sulla megafauna è un invito a pianificare più in grande e, necessariamente, tramite accordi internazionali.

Come evidenziano gli autori dell’articolo su Trends in Ecology & Evolution, il mondo sta affrontando una pandemia globale, un avvertimento neanche tanto velato di quanto poco importi alla natura dei confini politici. Questa dovrebbe essere una lezione da imparare velocemente che ci permetta di comprendere che la conservazione e ripristino della megafauna deve essere una priorità non solo per il valore intrinseco della biodiversità, ma anche e soprattutto per mantenere in vita il Pianeta.

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Alessia Colaianni
Alessia Colaianni
Laureata in Scienza e Tecnologie per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali, dottore di ricerca in Geomorfologia e Dinamica Ambientale, è infine approdata sulle rive della comunicazione. Giornalista pubblicista dal 2014, ha raccontato storie di scienza, natura e arte per testate locali e nazionali. Ha collaborato come curatrice dei contenuti del sito della rivista di divulgazione scientifica Sapere e ha fatto parte del team della comunicazione del Festival della Divulgazione di Potenza. Ama gli animali, il disegno naturalistico e le serie tv.

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