Smart working e ambiente. Quanto inquina il web?
Non siamo soliti pensarlo, proprio perché è “immateriale”, ma anche il web ha un impatto ambientale. Un impatto difficile da calcolare, perché dipende da diversi fattori. In tempi di smart working da quarantena, una rapida panoramica con dati scientifici può aiutare a comprendere meglio
Quanto inquino usando il web? Quant’è l’impatto in termini di CO2 di una mail, di un’ora di navigazione o della visione di un film in streaming?
«Inviare otto email produce CO2 come percorrere un chilometro in automobile». Lo ha affermato uno studio pubblicato nel 2015 dall’Agenzia francese per il dispendio e la gestione dell’energia. I fattori coinvolti sono sia il dispendio energetico dovuto all’utilizzo del pc, sia l’energia utilizzata dal server per lo scambio di dati. Nel concreto, una email da 1 megabyte produrrebbe circa 19 grammi di CO2.
Traffico dati e impronta di carbonio
Le emissioni dell’Ict (lnformation & Communication Technology) lungo l’intero ciclo di produzione e consumo (cioè dalla costruzione dei dispositivi al loro utilizzo fino allo smaltimento) rappresentano l‘1,4% di quelle globali. Non crescono in proporzione al consumo. Anzi, non crescono affatto. Tra il 2010 e il 2020, il traffico dati si è decuplicato (superando i 2500 milioni di terabyte), con una crescita verticale negli ultimi cinque anni.
L’impronta ambientale dell’Ict, invece, è rimasta stabile. La carbon footprint del ciclo di vita totale del comparto ICT è pari a circa 730 milioni di tonnellate di CO2 (Mt CO2-eq), che corrispondono all’1,4% delle emissioni totali di gas serra. Nel 2015 le emissioni prodotte dalla combustione di carburante nell’aeronautica sono state di circa 800 milioni di tonnellate di CO2. L’ICT potrebbe essere paragonato all’aviazione, ma solo per il consumo di carburante (senza tener conto delle emissioni generate da altre attività, come la fabbricazione di aeroplani, il funzionamento degli aeroporti, lo smaltimento dei velivoli…).
Guarda il video sul Carbon Footprint
Web e aereo
In realtà, le emissioni di carbonio di un viaggio transatlantico andata e ritorno sono pari a quelle generate dall’utilizzo di uno smartphone per oltre 50 anni. Inoltre, si stima che prodotti e soluzioni ICT siano utilizzate dal 70% della popolazione, mentre solo il 10% si sposta in aereo ogni anno. Quindi, se anche la carbon footprint dei due settori fosse uguale, l’impatto sulla popolazione sarebbe diverso.
Lo streaming
Quanto consuma un video in streaming? Uno studio di Ericsson afferma che per raggiungere il consumo annuo di un frigorifero, una famiglia dovrebbe vedere in streaming circa 400 film tramite laptop collegato con un cavo al televisore. Più di uno al giorno. Se si usasse lo smartphone, i film sarebbero 2900.
Confrontando il dispendio energetico con altre attività: guardare un paio d’ore di streaming sul portatile consuma più o meno quanto un’auto elettrica in 600 metri. Per navigare su smartphone per 5 minuti (rete e data center inclusi) serve un centesimo dell’energia che un bollitore elettrico impiega per portare a cento gradi un litro d’acqua.
Questi ultimi dati sono stati diffusi da BitMAT Edizioni, casa editrice milanese con una copertura a 360° per quanto riguarda la comunicazione online ed offline rivolta agli specialisti dell’lnformation & Communication Technology
Video online. I dati meno ottimisti
Forbes, invece, appare meno ottimista e citando uno studio realizzato da The Shift Project, think tank francese che lavora per un’economia libera dalle emissioni di carbonio, sostiene che il traffico video online ha rappresentato l’60% del totale dei flussi di dati mondiali divenendo responsabile di oltre 300 milioni di tonnellate di CO2 emesse nell’atmosfera, l’equivalente di quello che l’economia di un paese delle dimensioni della Spagna rilascia in un anno.
L’impact énerg. et les émissions des technos numériques viennent certes de l’#utilisation mais aussi de la #production de tout ce qui fait notre monde ‘virtuel’: smartphone, ordinateurs, tablettes mais aussi antennes 4G, centres de données, câbles sous-marins, fibre optique… https://t.co/QEjtB2EoAK pic.twitter.com/6EnYITF9pS
— The Shift Project (@theShiftPR0JECT) February 21, 2020
All’interno del traffico video online complessivo, sono principalmente quattro le tipologie che impattano in maniera negativa sul clima per via del massiccio utilizzo da parte degli utenti di tutto il mondo: al primo posto i ricercatori collocano i video on demand (Netflix, Amazon Prime, ecc.) che contribuiscono al totale del traffico video per il 34%, seguono le piattaforme di video per adulti (Pornhub, YouPorn, XVideo, ecc.) per il 27%, i video tube (YouTube, Daily Motion, Youku Tudou, ecc.) per il 21% e, infine, i video presenti sulle piattaforme di social network e altri (Facebook, Instagram, Tik Tok, Snapchat, Twitter, ecc.) che contribuiscono per il 18%.
Da Despacito a Fridays For Future. Le fake news che inquinano
Tempo fa era circolata la notizia che i circa 5 miliardi di download della famosa canzone Despacito avevano richiesto un quantitativo di elettricità paragonabile al consumo annuale di Ciad, Guinea-Bissau, Somalia, Sierra Leone e Repubblica Centrafricana messi insieme. Ericsson ha scoperto che, includendo anche le componenti di reti e data center, i download della celebre hit su uno smartphone hanno richiesto circa 0,005TWh. In genere, il download di un brano richiede 0,001 kWh. Il consumo di elettricità paesi citati, invece, è stato di circa 1TWh nel 2017 (1TWh = 1 miliardo di kWh).
Quindi occhio alle bufale e alle prese di posizione per motivi ideologici, come quelle che rinfacciano al movimento Fridays for Future un utilizzo massiccio di Internet che comporterebbe, secondo un non meglio precisato articolo scientifico uscito a gennaio 2019, danni all’ambiente circa cinque volte superiori al consumo medio di una macchina in tutto il suo ciclo di vita.
School strike week 84. #climatestrikeonline #fridaysforfuture #schoolstrike4climate #flattenthecurve #StayAtHome pic.twitter.com/t93WQKO5mU
— Greta Thunberg (@GretaThunberg) March 27, 2020
Non demonizzare, ma maneggiare con cautela
Chi cerca di demonizzare il web, non tiene conto dei vantaggi che ne derivano. Massimo Nava, inviato a Parigi del Corriere della sera nell’articolo La vittoria del web e la fine dell’urbanesimo al tempo del coronavirus ci ricorda che
«(…) Senza la rivoluzione tecnologica oggi saremmo ancora più soli e indifesi di fronte all’epidemia, vagheremmo fra le macerie, scriveremmo ai familiari lontani lettere che forse mai arriveranno, non vedremmo più niente e nessuno, non potremmo nemmeno distrarci con un film», ma mette anche in guardia contri i pericoli reali: «Nonostante la presunta sacralità della privacy, siamo laboriosi operai di una catena di montaggio virtuale, illusi di padroneggiare notizie e informazioni quando invece le regaliamo».
La vittoria del web e la fine dell’urbanesimo al tempo del coronavirus https://t.co/WshGvXAylg
— Massimo Nava (@massimonava50) March 21, 2020
Saperenetwork è...
- Giornalista da sempre, professionista dal 1996. Ha lavorato in radio e periodici locali, ma soprattutto per giornali eriviste di spettacolo fino al 2000. Direttore responsabile di alcune testate giornalistiche online, principalmente dedicate allo sport, fino al 2010, quando ha iniziato a interessarsi di energie rinnovabili ed efficienza energetica. Si considera uno Spirito libero e nel 2012 si è autoprodotto il libro inchiesta ENEL BLACK POWER Chi tocca muore! Tra le sue passioni l’Inter e il motociclismo. Recentemente ha pubblicato il diario Poi è arrivato Mou!
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