Dalla Patagonia al Molise, la transumanza: un antico patrimonio così attuale
Un’antica pratica pastorale riscoperta e valorizzata a cavallo tra due continenti. Un sapere culturale valutato con un approccio scientifico, recentemente raccontato al Festival della Letteratura di Viaggio, attraverso ciò che più lo caratterizza: le persone e i luoghi che vivono di pastorizia
Un esperimento condiviso di narrazione digitale partecipativa. Così il Festival della Letteratura di Viaggio 2021 definisce e introduce il talk Rutas PatagonAppenninicas, esperienza unica nel suo genere che il 20 settembre scorso ha affascinato i partecipanti all’evento. Si tratta di un progetto internazionale, una ricerca comparata tra pastoralismo estensivo e cammini di transumanza nell’Appennino centro-meridionale molisano e le rutas di transumanza e pascolo vagante della Patagonia argentina.
Trashumancia y pastoralismo. Elementos del patrimonio inmaterial, questo il titolo dello studio coordinato, per l’Italia, dal centro di ricerca Biocult dell’Università degli studi del Molise e, per l’Argentina, dall’ Universidad de Rio Negro en Bariloche.
Finanziato dal Cuia e dal Conicet, il progetto nasce per studiare a fondo una tradizione millenaria, tanto radicata nel territorio e nella cultura quanto in via progressiva di estinzione. Per questo, il tema centrale del progetto è il riconoscimento della transumanza come patrimonio immateriale dell’umanità da parte dell’Unesco. Un atto simbolico che però si spera contribuirà a conservare questa pratica pastorale. L’Unesco – che ha riconosciuto la transumanza patrimonio nel 2019 scrive :
«La transumanza consiste nella migrazione stagionale del bestiame nel Mediterraneo e nelle Alpi. Si tratta di una tradizione che affonda le radici nella preistoria e che si sviluppa in Italia anche tramite le vie erbose dei “tratturi” che testimoniano, oggi come ieri, un rapporto equilibrato tra uomo e natura e un uso sostenibile delle risorse naturali».
Dal Molise alla Patagonia
Ma, sebbene non specificato, la transumanza non è un’attività esclusiva del nostro continente, anzi, altrove è più viva che mai. Nella Patagonia argentina, ad esempio – non a caso selezionata come area di studio – è particolarmente rilevante: il caso patagonico è uno dei maggiori al mondo per numero di persone legate a forme di pastorizia mobile e transumante.
Il progetto presentato al Festival, nel dettaglio, si propone quindi di indagare sfumature e cambiamenti nelle pratiche di transumanza e pastorizia tradizionale in Argentina e in Italia, a partire dal XIX secolo. Una ricerca multidisciplinare su profonde trasformazioni, riformulazioni, strategie di conservazione e valorizzazione del patrimonio di territori e comunità pastorali.
Tutto questo, tra le altre cose, è stato sintetizzato in un video-documentario. Un breve reportage, proiettato durante il talk, che fa parlare le immagini, girato ai ritmi della transumanza, dove suoni e luoghi evocativi si alternano a testimonianze locali di chi vive la pratica pastorale in prima persona. Ha spiegato la professoressa Letizia Bindi, coordinatrice italiana del progetto:
«Non si tratta esclusivamente di un documentario etnografico. Prova invece ad andare oltre, ad asciugare gli assi della riflessione di modo da raccontarli anche per superare i limiti e le differenze tra i due continenti, cercando di accomunarli in un unico schema. Differenze dettate dall’enorme distanza che separa il Molise dalla Patagonia, ma non solo. Oltre 10mila chilometri che hanno reso questa avventura particolarmente rocambolesca e avvincente, ma anche per questo speciale».
Patrimonio immateriale dell’umanità versus egemonia liberista
La transumanza, così come ogni altra pratica agricola tradizionale, si fa custode di un patrimonio biologico e culturale unico, frutto di secoli di interazioni, coevoluzioni e trasformazioni. Ora come non mai, dovremmo tutelare la ruralità dei luoghi in un’ottica di conservazione, allo stesso tempo, proiettata ad un progresso sostenibile. Nonostante a livello globale si parli tanto di questi temi, i fatti vanno però in una direzione opposta.
Il liberismo, l’egemonia di grandi multinazionali e l’agricoltura intensiva minacciano direttamente questa ricchezza in nome di una sicurezza alimentare che solo ‘loro’ pensano di poter assicurare. Così le attività agricole tradizionali, e la stessa transumanza, per essere salvaguardate devono essere documentate e raccontate. Ma non basta. Ha commentato ancora Bindi:
«Un elemento forte emerso nei due casi studio è che non si può soltanto patrimonializzare l’immagine del pastoralismo per mantenere la pastorizia, bisogna continuare a fare pastorizia. Una pratica che è perfettamente in linea con la tanto decantata transizione ecologica, un pastoralismo sostenibile che non lede il paesaggio e i diritti al benessere animale. Un qualcosa di tanto antico, diventa quindi il cuore e la risposta di una domanda moderna, è possibile allevare in modo sostenibile?».
Probabilmente sì. Resta da capire se abbiamo il coraggio di accogliere questa sfida. La transumanza, secondo gli stereotipi, è inquadrata come una visione arcaica, ma in realtà, come abbiamo visto, rimane un modello attuale.
Un modello antico e straordinariamente moderno
«Un modello – ha aggiunto Lorenza Paoloni dell’equipe del progetto – che può portarci al miglioramento dello stato dei luoghi in cui viviamo, degli animali e delle persone».
«Non è una forma di decrescita, anzi, chi svolge questa attività ha un’elevata consapevolezza e competenza. I pastori non vanno considerati come soggetti marginali. Le loro abilità, invece, potrebbero essere la chiave per un futuro più sano. Nella transumanza si hanno così dei percorsi virtuosi e adeguati ai nuovi obiettivi che l’Europa si sta prefiggendo in termini di sicurezza alimentare e di tutela del territorio e della biodiversità».
Nessuna regressione quindi. Il patrimonio bio-culturale tradizionale in campo agricolo non va relegato al passato, va invece tutelato ed attualizzato. Non sarebbe possibile, e tantomeno utile, confinarlo in un museo. Piuttosto, l’impegno politico e collettivo dovrebbe trarvi ispirazione e sostenerlo affinché contribuisca ad una conversione sociale alla sostenibilità. Quella vera.
Saperenetwork è...
- Laureato presso l'Università degli studi di Roma "La Sapienza" in Scienze Ambientali prima, e in Ecobiologia poi. Attualmente frequenta, presso la medesima università, il corso di Dottorato in Scienze Ecologiche. Divulgare, informare e sensibilizzare per creare consapevolezza ecologica: fermamente convinto che sia il modo migliore per intraprendere la via della sostenibilità. Per questo, e soprattutto per passione, inizia a collaborare con diverse testate giornalistiche del settore, senza rinunciare mai ai viaggi con lo zaino in spalla e alle escursioni tra mare e montagna
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