Occhi spalancati che sembrano osservarci nel mormorio di sale di museo. Potrebbero essere quelli di un orango saggio, di una fiera tigre o di una maestosa aquila, che l’uomo ha tenuto in cattività e che al termine delle loro esistenze sono finiti lì, sul tavolo del tassidermista, per poi essere esposti. I preparati delle collezioni di storia naturale hanno ora una nuova opportunità, una seconda vita, per insegnarci che siamo tutti abitanti di un solo Pianeta, legati a un unico destino di sopravvivenza. È questo che ci racconta Davide Gambino, regista e autore di The Second Life (2020), documentario co-prodotto da Germania, Italia e Belgio con il supporto del Sicilia Film Commission, presentato al Dok.fest di Monaco di Baviera, che quest’anno si è tenuto online dal 6 al 24 maggio.
L’incontro con la tassidermia
La tassidermia è l’arte di preparare e conservare la pelle di animali che poi sarà montata su un supporto – ora si usano materiali plastici come il poliuretano espanso – per conferirne l’aspetto e l’atteggiamento che avevano in vita. È un mondo spesso sconosciuto alla maggior parte delle persone e Davide Gambino vi si è avvicinato in maniera piuttosto curiosa.
«Nel 2012 – racconta il regista – sono stato contattato per partecipare al New Cinema Network – Progetto Serra, un’iniziativa realizzata dal Ministero dell’Ambiente e dalla Fondazione Cinema per Roma. L’idea era di girare un breve cortometraggio, quasi uno spot pubblicitario, che parlasse di territorio e ambiente».
È così che nasce Still Life, cortometraggio prodotto nel 2013. «Io sono sempre stato interessato a temi in cui si intrecciano natura e cultura – spiega Gambino– mondi controversi o mai raccontati, che possano far scaturire un dibattito su cosa voglia dire essere umani, cosa voglia dire essere animali umani. È così che ho immaginato di costruire un’installazione nella zona Eur di Roma, di costellare quell’area di animali preparati. Dove trovarli? Naturalmente al Museo Civico di Zoologia di Roma, dove si occupava di loro Maurizio Gattabria. Un tassidermista ma anche un filosofo, un artigiano, uno zoologo, una persona che mi ha aperto le porte del suo laboratorio e mi ha permesso di portare fuori gli animali, proprio come già faceva lui. Gattabria, infatti, realizzava per il suo museo progetti che connettevano la società urbana con la fauna, coinvolgendo ad esempio non vedenti, pazienti di ospedale e detenuti. In questo modo è iniziato tutto».
Guarda “Still Life”, il cortometraggio di Davide Gambino
Dialogo tra uomo e ambiente
Partendo da Still Life, Gambino decide di continuare a sviluppare l’idea e di articolarla in un film più lungo. E così in The Second Life del 2020, lo spettatore ha modo di seguire da vicino il lavoro e la vita di Maurizio Gattabria del Museo Civico di Zoologia di Roma, e di altri due maestri della tassidermia europea: Robert Stein del Museum für Naturkunde di Berlino, e Christophe De Mey del Musée des Sciences Naturelles di Bruxelles. I preparati tassidermici, un tempo il fulcro dei musei di storia naturale, difficilmente lasciano indifferenti il pubblico. Andando al di là dell’erronea credenza che gli animali attualmente siano uccisi appositamente per le collezioni, il mettere in mostra la pelle di un animale che un tempo era vivo genera una serie di domande che poi sfociano in argomenti rilevanti, quali il nostro impatto sull’ambiente e il nostro rapporto con la morte. Davide Gambino ha scelto di porre al centro della sua opera il lavoro del tassidermista proprio perché fornisce una prospettiva unica che illumina temi universali: «Non svelerò nulla sul documentario però la sua prospettiva narrativa è molto particolare, perché è uno sguardo sulla tassidermia da un punto di vista unico. Potremmo quasi dire che venga data voce agli animali». E ancora:
«Lo si fa perché c’è la necessità di spostare lo sguardo fuori dal puro antropocentrismo, anche se – ed è questa la contraddizione – non c’è nulla di più antropocentrico della tassidermia: si prende la pelle dell’animale e la si ricompone come si vuole. È fondamentale sottolineare però che, chi fa ciò all’interno dei musei, svolge questo lavoro con grande consapevolezza e penetra in profondità nella biografia dell’animale stesso, con grande rispetto».
È proprio per questo che gli animali preparati dai protagonisti del documentario hanno in qualche modo una seconda vita, un messaggio da portare all’umanità. Osservare gli animali preparati in un museo, in cui la loro storia è raccontata con la considerazione che merita, ci mostra quanto gravi possano essere le conseguenze delle nostre attività sull’ambiente. Stiamo portando all’estinzione una buona parte della fauna globale, e ne paghiamo le conseguenze.
Quella linea di confine, monito per tutti
La nostra impronta sugli ecosistemi, le nostre mani sugli animali, il nostro rapporto con la morte. The Second Life sembra aver precorso i tempi: è stato ideato anni fa e girato molto prima che l’epidemia di Sars-CoV-2 cambiasse le nostre vite e accendesse i riflettori sulla ricaduta sull’umanità di scelte scellerate. Lo stesso regista è rimasto colpito da questa coincidenza: «Io credo sia quasi inconsciamente profetico. Quando ho iniziato a lavorare su questo progetto mai avrei immaginato di presentarlo in un momento in cui si fosse venuta a creare una situazione così inedita. Però il film parla proprio di questo. Il film parla del mettere le mani su un animale, ovunque esso sia, portarlo fuori contesto, non ascoltarne la voce e trasformarlo a uso e consumo dell’uomo. Questa è proprio la catena di azioni che ci ha condotti alla pandemia di Covid-19: abbiamo portato gli animali selvatici nei mercati, abbiamo distrutto i loro habitat e i virus, alla fine, hanno infettato noi».
Guarda le interviste ai protagonisti della produzione
Una coincidenza profetica, continua Gambino: «La locandina del film recita “The Second Life – If we die, you die”. Se noi animali moriamo, morite voi, perché anche voi siete animali. Sì, è decisamente profetico: io immaginavo già animali sapienti che ci parlavano, animali selvaggi che invadevano le nostre strade lasciate deserte dall’ingombrante presenza umana e un forte desiderio di contatto, che si riflette proprio nell’immagine della locandina, una mano umana e quella di un orango che quasi si sfiorano, riprendendo la celebre iconografia della Creazione di Adamo di Michelangelo Buonarroti. La tassidermia dà una seconda opportunità per veicolare un messaggio ma è chiaro che, se non riusciremo ad acquisire consapevolezza del nostro ruolo, non ci sarà una seconda vita per il Pianeta».
Saperenetwork è...
- Laureata in Scienza e Tecnologie per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali, dottore di ricerca in Geomorfologia e Dinamica Ambientale, è infine approdata sulle rive della comunicazione. Giornalista pubblicista dal 2014, ha raccontato storie di scienza, natura e arte per testate locali e nazionali. Ha collaborato come curatrice dei contenuti del sito della rivista di divulgazione scientifica Sapere e ha fatto parte del team della comunicazione del Festival della Divulgazione di Potenza. Ama gli animali, il disegno naturalistico e le serie tv.
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