Architecton, come abiteremo il mondo di domani

Le rovine dei tempi e il trilithon a Baalbek (Libano) in una scena di Architecton

Architecton, come abiteremo il mondo di domani

Un viaggio nell’architettura come specchio del nostro vivere, alla ricerca di una nuova bellezza. L’ultimo documentario di Victor Kossakovsky, presentato in anteprima alla 74esima edizione del Festival del cinema di Berlino, è passato alla Festa del Cinema di Roma 2024

“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi di antico”: serve lasciarsi trasportare dalle belle immagini di Architecton, il nuovo documentario di Victor Kossakovsky, per capire il perché della scelta di questi primi versi della lirica L’Aquilone di Giovanni Pascoli (del 1897) a esergo del film. Mano a mano che si avanti, dalle prime scene di palazzi aperti dalle bombe, appartamenti bruciati, strade deserte fino all’abbattimento di abeti secolari e alla devastazione provocata dalle cave, diventa sempre più chiaro che a guidare Kossakovsky sia il postulato di Lavoisier: “nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”. Si trasforma la pietra, strappata dalla montagna, in case e in templi, che lo scorrere del tempo lascia di nuovo alla mercé della natura.

Rovine parlanti

Nel prologo, mostra le rovine di un complesso residenziale in Ucraina, Paese che a lui, russo, è interdetto (ma il gigantesco telo calato su uno degli edifici che incita a firmare una petizione per escludere la Russia dall’ONU dimostra chiaramente la sua posizione riguardo la guerra): un drone si libra sopra la carneficina, rivelando sempre di più l’entità dei danni nei luoghi dove un tempo vivevano le persone.

 

Victor Kossakovsky (Foto: copyright Ivan Methfessel)
Il regista Victor Kossakovsky (Foto: copyright Ivan Methfessel)

 

«Come cittadino russo, non posso entrare in Ucraina – ha raccontato Kossakovsky in conferenza stampa in occasione del Festival di Berlino – Ho trovato persone che mi conoscono e hanno filmato alcune città. Secondo me, le rovine mostrano più dei documenti. Non puoi mentire. Non hai bisogno di parole. Vedi edifici che sono stati distrutti e vedi da quale lato del mondo provenivano i missili. E poi sai chi è colpevole… è ovvio». Eppure non è un discorso sulla guerra che interessa a Kossakovsky, ma in che modo l’essere umano è stato sulla Terra fino a oggi e come abiterà il mondo di domani.

Monoliti misteriosi e costruzioni simboliche

Quindi, senza soluzione di continuità passa dalle rovine di Baalbek in Libano, a poca distanza da Beirut (uno dei siti archeologici più importanti al mondo, inserito nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO nel 1984), dove accanto ai templi giganteggia il trilithon, un enorme blocco di pietra di circa 1200 tonnellate che a tutt’oggi gli studiosi non sanno spiegare come sia stato spostato dai Romani. A guardarlo, immenso e squadrato, richiama alla mente il più piccolo ma altrettanto inquietante monolite che appare lungo il racconto di 2001: Odissea nello spazio, uno dei film di Stanley Kubrick più aperto a interpretazioni personali e speculazioni filosofiche. Qua, invece, quello che sapremo nel corso del documentario di Kossakovsky essere l’architetto italiano Michele De Lucchi (a cui si deve, tra le tante opere, la celeberrima lampada di Artemide Tolomeo) si aggira tra le rovine e tra i blocchi di pietra in una sorta di estasi che par echeggiare quella di Michelangelo, messo in scena da un altro regista russo, Andrei Konchalovsky in Il peccato e il furore, del 2019. Lo rivedremo, da lì a poco, nel giardino della sua casa intento a far costruire un cerchio di pietre, una costruzione tutta simbolica dentro la quale nessun essere umano potrà entrare una volta finito.

Uso del colore

Il regista sceglie di volta in volta il colore per raccontare la natura e i suoi vari elementi o il bianco e nero per mostrare le opere dell’ingegno architettonico umano non più abitate, dai templi in Libano a paesi di pietra abbandonati o scheletri di edifici industriali, fino alla devastazione che ha investito alcune città in Turchia dopo il terremoto di magnitudo 7,8 all’inizio del 2023. Se i lunghi piani sequenza in bianco e nero, spesso realizzati con un drone, sono di una bellezza lirica, che ricordano alcuni degli scatti più belli di Gabriele Basilico, da sempre attento alle città e all’architettura, i dettagli e poi le panoramiche dedicate ad alcuni elementi naturali riescono a incantare lo spettatore.

 

 

A partire dall’affascinante ballo delle pietre che sa essere ipnotico come solo certa danza contemporanea: sembra essere di fronte a uno spettacolo di Sasha Waltz nel vedere massi, sassi e ghiaia di diverse dimensioni saltellare al ritmo della musica quanto mai coinvolgente e puntuale del compositore francese, di origini russe e ucraine, Evgueni Galperine. Inutile stare a sottolineare che alcune scene, minacciose e angoscianti, come l’enorme valanga di rocce e detriti che segue all’esplosione mirata in una cava, ripresa dalla telecamera del drone di Ben Bernhard tanto vicina alla parete rocciosa da travolgere anche chi guarda, dovrebbero essere viste rigorosamente su grande schermo.

Il contemporaneo in occidente: inquinante e noioso

Alla pietra, però, l’architettura occidentale ha presto preferito il calcestruzzo: belle pietre di tutti i colori, forme e dimensioni, vengono fuse in un fango grigio e miserabile. «È brutto e inquinante oltre che velocemente deperibile, poiché non supera in media i 40 anni», dice De Lucchi nell’epilogo del film, in cui discute con Kossakovsky sul futuro dell’abitare.

«Perché costruiamo edifici brutti e noiosi quando sappiamo come realizzarne di belli?», chiede il regista.

Se il film precedente Gunda (che gli era valso nel 2023 il Premio Stella della Mole al Festival CinemaAmbiente di Torino) indagava il rapporto tra essere umano e animali dal punto di vista di una scrofa, mostrando come solo per presunzione ne ignoriamo la sensibilità considerandoli soltanto mere risorse, Architecton – il cui titolo, ha spiegato lui stesso, fa riferimento a una frase pronunciata da Pierre Bezuchov, uno dei protagonisti di Guerra e Pace di Lev Tolstoj, “Grande Architetto della Natura, ti prego, aiutami a uscire da questo labirinto di menzogne” – si pone e ci pone la domanda su cosa lasceremo alle generazioni future dopo tutte queste guerre e i cambiamenti climatici.

 

 

Michele De Lucchi, pur condannando molte delle sue opere fatte di cemento armato, certo che l’architettura sia «un modo per pensare a come viviamo, a come ci comportiamo», indica una delle soluzioni possibili:

ricercare un nuovo ideale di bellezza.

Appena proiettato alla Festa del Cinema di Roma, lo splendido documentario di Victor Kossakovsky sarà distribuito in Italia nel 2025 da Be Water Film in collaborazione con Medusa Film.

 

Saperenetwork è...

Francesca Romana Buffetti
Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.

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