Last Words: omaggio al cinema, atto sociale anche nel post-apocalisse

Last Words: omaggio al cinema, atto sociale anche nel post-apocalisse

In concorso per la Palma d’Oro a Cannes nel 2020, il film scritto e diretto da Jonathan Nossiter è ambientato nel 2086. All’indomani di grandi alluvioni, il pianeta che conosciamo non esiste più, ma l’ultimo uomo sulla Terra scopre la settima arte. Nelle sale italiane dal 15 giugno

Le poche città rimaste sono poco più di un ammasso di macerie, quei cumuli di mattoni e polveri che le immagini di guerra ci hanno insegnato così bene a riconoscere. Per il resto, l’Europa di Last Words, film scritto, diretto e montato da Jonathan Nossiter, non è che una distesa di rocce e sabbia: è sparita sia la flora che la fauna, fatto salvo un ultimo giovane uomo. La strada ha conservato traccia del passaggio del genere umano solo grazie a plastica e rottami di macchine accumulati ovunque. Verremo a sapere con l’avanzare della storia che a scorrere sul grande schermo è un apocalittico 2086, dopo che grandi alluvioni, seguite da carestie e conflitti, hanno distrutto completamente la Terra.

 

 

Il protagonista senza nome, che non ha conosciuto né genitori né scuola, è interpretato da Kalipha Touray, per la prima volta davanti alla macchina da presa: Nossiter l’ha scelto in un campo profughi a Palermo, dopo aver seguito i casting di centinaia di attori professionisti, per riuscire ad avere nel film qualcuno che sapesse davvero cosa significa essere dei sopravvissuti. Partito a 15 anni dal Gambia, paese tra i più poveri al mondo, ha attraversato il consueto percorso migratorio verso l’Italia come tanti prima e dopo di lui (nel 2016, infatti, sono stati 12mila i cittadini gambiani che hanno raggiunto le coste italiane ma molti di più sono quelli rimasti bloccati in Libia e finiti nei centri di detenzione). Ha spiegato in conferenza stampa, a Roma, il regista:

«Nel suo sguardo ho trovato quell’innocenza e quella consapevolezza che cercavo: Kalipha ha visto cose terribili, ma non ha perso la tenerezza. Il mio film aveva bisogno di un testimone, di qualcuno che avesse già visto la fine del mondo».

Guarda il trailar di Last Words

 

E come Kalipha, il giovane protagonista è costretto con la sorella a fuggire dall’Africa completamente sommersa, fino a Londra e poi a Parigi. Qui, scopre l’esistenza di misteriose strisce su cui sono impresse delle immagini. A guidarlo verso il tentativo di svelare il mistero di cosa siano è solo una scritta: Cineteca di Bologna. Tra le rovine di quello che fu il tempio bolognese della Settima Arte, è barricato un vecchio regista (Nick Nolte) che, sotto lo sguardo di Kubrick e Mastroianni, avanzi di locandine del passato, gli svela la magia del cinema e lo investe di una doppia missione:

costruire l’ultima cinepresa, con cui testimoniare la fine del mondo, e raggiungere Atene, inseguendo una fantomatica “Chiamata”.

Arriveranno insieme sull’Acropoli, dove uno sparuto gruppo di superstiti ha dato vita a una piccola pacifica comunità: Zyberski (Stellan Skarsgård) è un medico polacco, Batlk (Charlotte Rampling) è un’anziana tedesca («una scheggia impazzita che dimostra con il proprio corpo che benché sia arrivata l’apocalisse è ancora possibile fare qualcosa», come l’attrice ha descritto il personaggio) Anna (Alba Rohrwacher) è un’italiana determinata a coltivare piante commestibili come sollievo dai barattoli di cibo in polvere a cui l’umanità è stata ridotta, Dima è l’ermafrodita, un po’ folle e un po’ divina (Silvia Calderoni). Che la comunità sia destinata a essere decimata è detto sin dalle prime sequenze di Last Words, ma si lascia allo spettatore la scoperta del come.

 

Un momento del film Last Words
Un momento del film Last Words

 

Tratto da Mes Dernier Mots, romanzo del 2015 di Santiago Amigorena (che ha collaborato alla sceneggiatura del film insieme a Charlotte Rampling), il film vuole essere un omaggio al cinema e all’umanità.

«È una storia d’amore» ha detto Nossiter. «Nel libro, lo scrittore argentino dimostra come la letteratura riesca a dare dignità all’essere umano anche nelle situazioni più difficili. Nel film, invece, metto in scena la bellezza del cinema come atto sociale, spirituale e laico allo stesso tempo, che dà sollievo come farebbe uno psichiatra o un prete. Il cinema riporta la tenerezza tra di noi, ci restituisce la nostra dignità individuale e il nostro senso politico».

 

Jonathan Nossiter
Il regista Jonathan Nossiter

 

Gran Premio al Sundance per il film Sunday successivamente presentato a Un Certain Regard, in Concorso a Cannes con Mondovino e a Berlino con Resistenza naturale, Jonathan Nossiter, figlio di un corrispondente straniero del Washington Post e del New York Times, ha avuto la possibilità di crescere in diversi Paesi, compresa l’Italia. Nel belpaese dal 2016 gestisce l’Orto Vulcanico La Lupa, sulle rive del Lago di Bolsena, una tenuta in cui ha scommesso su varietà antiche. Ha deciso di recuperare semi ancestrali per dar vita a un progetto di ripristino della biodiversità attraverso l’applicazione di un’agricoltura rigenerativa, così da produrre verdure e ortaggi che possano soddisfare le necessità dell’uomo, cercando però di garantire il minor impatto ambientale possibile e nello stesso tempo rigenerare la fertilità del terreno.

Quanto di più lontano, dunque, dai deserti in cui è stata trasformata l’Europa o dai campi avvelenati che i sopravvissuti tentano di coltivare tra i templi dell’Acropoli ateniese.

Più affascinante nella prima che nella seconda parte, appesantito da una certa tendenza didascalica, impegnato come è dall’inizio alla fine a ricordare che il cinema è un rito in via d’estinzione in un momento storico in cui ogni giorno la natura sembra essere sempre di più sull’orlo di un baratro, il lungometraggio ha tuttavia il merito di aver riportato sul set un Nick Nolte potente e scanzonato, in un ruolo che soprattutto nelle prime battute sembra riecheggiare il Mago di Oz, e attorniato da un cast perfetto.

 

Kalipha nel deserto

 

Belle le ambientazioni, tra il Marocco, il Parco Archeologico di Paestum e la Bologna sotterranea (cinque gli scenografi accreditati: Matteo Monteduro, Francesco Bolognini, Massimiliano Petrini, Cristina Bartoletti, Valerio Romano), e la fotografia ora livida ora caldissima di Clarissa Cappellani.

Dei 126 minuti, resta alla fine il monito, ben espresso in conferenza da Charlotte Rampling: «Stiamo distruggendo il Pianeta, è vero, ma alla fine sarà molto più forte di noi e sarà lui che ci farà fuori se non facciamo qualcosa».

Il film è in sala, nei cinema italiani, distribuito da Cineteca di Bologna dal 15 giugno 2023.

 

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Francesca Romana Buffetti
Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.

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