Nuclear forever, ovvero l’eredità dell’atomo sulle future generazioni
Un’inchiesta ambientale del 2020 rivela i rischi legati allo smantellamento delle centrali atomiche in Germania, dopo lo stop successivo all’incidente di Fukushima. A dirigerla il regista e produttore Carsten Rau, fra interviste e materiale d’archivio
Recensione di Federica Antonelli
Dopo Fukushima, in Germania il governo ha deciso di spegnere tutte le centrali nucleari. E mentre il personale altamente specializzato mette a rischio la propria incolumità durante le fasi di smantellamento, sempre più container di scorie iniziano ad accumularsi, richiedendo un’operazione infrastrutturale immensa per il loro smaltimento.
Questo lo scenario preoccupante alle porte di cui racconta Nuclear forever del regista tedesco Carsten Rau.
A Gorleben, facility temporanea per scorie radioattive in Bassa Sassonia, cinque container cilindrici hanno raggiunto la temperatura di 60 gradi C°. Nel giro di 40 anni, si potrebbe innescare una reazione a catena come teme e denuncia il movimento antinucleare tedesco “Ausgestrahlt”, attivo dal ’66. Serve maggiore trasparenza in ogni fase del processo verso il repository finale dei rifiuti radioattivi. Si prevede che saranno quattro milioni di tonnellate di scorie, da stoccare nei prossimi quattro decenni: 1900 container, per 17 centrali nucleari spente.
La riconversione tedesca, con il blocco al nucleare, porta poi in parte anche il ritorno al carbone. Per far fronte alla domanda di elettricità, infatti, si riattiva una vecchia centrale a carbone nella Saar.
Poco oltre il confine, la Francia invece produce i tre quarti del proprio fabbisogno di energia elettrica tramite il nucleare. Ancora non ci si pone il problema che sta già affrontando la Germania: la presa in carico e la gestione delle scorie, alla chiusura degli impianti nucleari. Un problema che si presenterà nel 2035 quando anche la Francia spegnerà 14 centrali.
I rifiuti contaminati andranno mezzo chilometro sotto terra, come stanno facendo i tedeschi? Se sì, dove?
I geologi chiamati in causa dal Bundestag per decidere come depositare le scorie dicono che entro un milione di anni ci saranno dieci glaciazioni. Ogni scenario è imprevedibile. Su 27 paesi membri, 13 hanno centrali operative e nei prossimi decenni il numero di centrali da smantellare nel mondo salirà. “Nuclear Forever” si inserisce in maniera irriverente all’interno del dibattito sulle paure legate alla vicenda del nucleare che in tante opere cinematografiche sono state raccontate, da “Hiroshima Mon Amour” (Resnais, ‘59), a “The Day After” (Meyer, ‘83), da “Rapsodia in agosto” (Kurosawa, ‘91) a “Chernobyl” (Mazin, 2019). Ma rappresenta una critica forte ai nostri stili di vita ponendo una questione di equità e giustizia ambientale fra le generazioni che non si può ignorare.
L’eredità che stiamo lasciando è estrema, come dovremmo ricordare a quanti di tanto in tanto ripropongono l’opzione nucleare in barba alle lezioni (e ai referendum) del passato.
Il film è stato visto nell’ambito del “Riviera International Film Festival” di Sestri Levante, maggio 2021. La recensione è stata prodotta nell’ambito del Corso di giornalismo ambientale e culturale di Sapereambiente
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