Con Bernard-Henry Lévy, cercando un’altra idea di mondo
Dalla Nigeria di Boko Haram all’Afghanistan poco prima della resa occidentale ai talebani. Une Autre Idée du Monde, documentario del filosofo francese insieme al regista Marc Roussel, è un’indagine sul mondo: pensarne uno diverso è possibile o è solo un’utopia?
«La civetta di Minerva inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo», scrive Hegel in Lineamenti di filosofia del diritto, a intendere che alla filosofia spetta spiegare la realtà solo al suo termine e non le è concesso trasformarla. Concezione a cui si ribella Bernard-Henri Lévy, il filosofo francese che ormai da 50 anni si imbarca verso territori in guerra per far sì che la civetta di Minerva arrivi finalmente all’alba. Une Autre Idée du Monde (The Will to See) documentario co-diretto con Marc Roussel parte da qui, per indagare se un altro mondo è possibile o il solo pensarlo sia un’utopia.
«Oggi c’è un’idea del mondo incarnata da populisti, nazionalisti, dall’ultradestra, che cresce in Europa – ha detto Lévy in conferenza stampa, lo scorso 21 ottobre – Qui presentiamo un’idea del mondo diversa, aperta agli altri, che rifiuta l’egoismo, che pratica la fratellanza, la solidarietà, l’internazionalismo. Questo film è un manifesto dell’internazionalismo».
Le molte strade degli uomini senza nome
Presentato in anteprima alla 16esima edizione della Festa del Cinema di Roma, il documentario è tratto dal libro Sulla strada degli uomini senza nome, edito da La Nave di Teseo, che raccoglie una serie di saggi e otto reportage: dalla Nigeria di Boko Haram, dove i cristiani continuano a essere massacrati, all’Ucraina, sul fronte dove russi e ucraini ancora combattono (in una “Verdun sospesa, raggelata e terribilmente arcaica”), dal Kurdistan siriano, in mezzo alle “guerriere sposate con il Rojava come le suore con Cristo”, a quello iracheno, in una scena degna de Il deserto dei tartari; e poi nella Somalia abbandonata alle bande islamiste, in Libia, dove lo attende un’imboscata, tra i dannati del Bangladesh e quelli di Moria, il campo profughi di Lesbo, il più grande d’Europa, dove dignità e diritti umani non trovano albergo, fino all’Afghanistan, poco prima del ritorno dei talebani. Così ha spiegato ai giornalisti:
«L’obiettivo del film è arrivare sul campo di battaglia prima che sia troppo tardi, per denunciare ed evitare altre morti. È un modo per dire al pubblico: c’è un grande massacro in Nigeria contro i cristiani e non è finito. Possiamo intervenire: c’è ancora tempo. Vorrei che lo vedessero in Vaticano, perché non so se siano davvero al corrente di cosa avviene lì. Eppure gli islamisti possono essere fermati».
Guarda il video di Une Autre Idée du Monde
L’impegno sul campo
Reporter di guerra in completo scuro e camicia bianca, ormai sua divisa d’ordinanza da quasi mezzo secolo, finanziato dall’amico di famiglia François Pinault (il multimiliardario francese fondatore del gruppo Kering, che raccoglie molti dei brand del lusso), Levy ha lasciato l’Occidente, che si andava sbarrando in casa terrorizzato da un virus ancora sconosciuto, e si è recato sul campo per incontrare le vittime di guerra, della fame e della povertà, e raccontare il loro dramma. «Ci sono due tipi di scrittori, entrambi rispettabili, quelli chiusi nella loro torre d’avorio e quelli che guardano fuori e si buttano tra le persone. Io sono tra questi ultimi e non cambierò mai»: si sente dire nel documentario mentre spiega ai giovani studenti francesi cosa significa essere un intellettuale militante impegnato a cambiare le sorti del mondo, in nome – appunto – di un’altra idea di mondo.
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Saperenetwork è...
- Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.
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Non è un’altra idea possibile, ma l’unica possibilità di evitare la catastrofe ambientale, climatica, umanitaria. Le risorse per una crescita dei profitti all’infinito non ci sono, quelle per salvare il pianeta e viverci bene, in collaborazione, condivisione, solidarietà, sì. E da subito può migliorare la qualità della vita di molti, anche qui da noi, con magari qualche consumo nevrotico in meno e più serenità quotidiana in più.