Gillian Hobart, l’imprevedibile arte del movimento
Relazione, ritmo, contatto. Un’estetica della danza per una nuova etica delle relazioni: vita ed espressione corporea s’intrecciano nel percorso della grande artista inglese. Un metodo che è “una chiave d’accesso alla nostra umanità”, per riconciliarla con il nostro corpo, con la disabilità, ma anche con l’ambiente e con gli animali
È una protagonista di spicco della danza, a livello internazionale. Incarna tutta la bellezza e lo spessore di una vita fatta di studio, piena d’inesauribile passione per la danza. Una vita dedicata alla sperimentazione, disseminata di coup de foudre, impegno sociale e politico per i diritti umani e contro le discriminazioni. Incontrare Gillian Hobart è un onore.
Sono stata accolta nella sua casa di Bracciano (Rm) assieme a Claudio Gasparotto, danzatore e coreografo, responsabile artistico del centro di formazione Movimento centrale danza&teatro di Rimini. Appena scesi dal treno ci sorprende una grandinata, con chicchi grossi come piccole uova. Sembra il preludio all’incontro con una donna straordinaria, artista, danzatrice e maestra eccezionale.
La vita di Gillian Hobart è un percorso suggestivo, in cui la danza ha avuto un ruolo centrale. Partendo dai principi di Rudolf Laban, Mary Anthony, Carl Rogers, Hobart ha tracciato una strada autonoma di conoscenza nella danza, a sostegno del mondo interiore, per farne emergere la bellezza.
La sua metodologia è una pratica educativa – una sorta di maieutica – che propone un percorso teorico e corporeo basato sull’arte del movimento. L’obiettivo primario è guidare a una comunicazione legata al linguaggio non verbale. Le parole chiave sono relazione, rispetto, ritmo, contatto.
Per fare una sintesi felice, potremmo dire che la danza è la vita e, al contempo, che la vita è una danza. Un intreccio fatale per la Hobart, che già da studentessa aveva un’idea molto precisa della danza: « La danza, se avessi lavorato duro, avrebbe significato il cercare e trovare qualcosa di me stessa a cui aggrapparmi e che nessuno avrebbe potuto togliermi, e così è stato. Quando avevo 14 anni, la mia decisione di lasciare la scuola tradizionale scandalizzò il preside, ma mia madre acconsentì per amore verso di me e rispetto verso la mia scelta».
Dopo la seconda guerra mondiale, l’Inghilterra attraversa un periodo difficile di stenti e austerity e i teatri vengono chiusi per contribuire alle necessità economiche primarie. Le possibilità di lavorare nel mondo dell’arte e di trovare impiego come danzatrice erano praticamente inesistenti e fu allora, in quella situazione disperata, che emerse per lei la possibilità di un contratto sul Continente.
«Mi sono proposta, assieme ad altre dieci danzatrici, rispondendo a un’offerta di lavoro per una tournée in Italia. Questa scelta mi ha legata e radicata alla cultura italiana orientandomi all’arte come nutrimento per la danza. Poi sono iniziate anche le tournée in Europa nel campo del jazz e del contemporary style. Avevo sposato un giovane italiano che aveva vinto una borsa di studio di giornalismo all’University of Wisconsin–Madison, quindi ci trasferimmo negli USA. La mia formazione americana passò attraverso gli incontri artistici con Merce Cunningham, padre del post modern, e Mary Anthony, la mia mentore. Questo background ha determinato la mia particolarità come insegnante e soprattutto come performer, una qualità distintiva che ha favorito l’incontro artistico con Amedeo Amodio e la nostra collaborazione nella coreografia Escursioni sulla musica di Luciano Berio per il Festival dei Due Mondi a Spoleto».
In seguito Gillian Hobart elegge l’Italia come sua residenza, trasferendosi a Roma dove era stata invitata dall’Accademia Nazionale di danza come insegnante di modern dance.
Da quanto tempo vive in Italia e quali sono i progetti più importanti che ha realizzato nel nostro Paese e che sta portando avanti?
Vivo in Italia dagli anni ’70, anche se la mia frequentazione con il Bel Paese è iniziata negli anni ’50. Ricordo che la Rai invitò Mary Anthony, coreografa di seconda generazione della modern dance americana, per realizzare una serie di coreografie. Mi trovai così investita del ruolo di principal dancer, perché avevo già lavorato con lei a New York. Fu in quell’occasione che Gino Landi iniziò la sua carriera di coreografo, proprio subentrando a Mary, che, da vera americana e impeccabile professionista, non riuscì ad accettare i concetti del quarto d’ora accademico e del pittoresco genio e sregolatezza… I miei progetti più importanti in ambito teatrale e performativo sono stati con il Festival dei Due Mondi di Spoleto, con La Scala di Milano, la collaborazione con Sylvano Bussotti e con Jannis Kounellis; nell’insegnamento, le docenze all’Accademia nazionale della danza e allo IALS (Istituto addestramento lavoratori dello spettacolo) di Roma e al Centro regionale della danza di Reggio Emilia. Attualmente mi dedico alla formazione e alla divulgazione del Metodo Hobart in stretta collaborazione con Claudio Gasparotto e con un team di formatori. Il progetto ha un focus sulla disabilità e posiziona il corpo al centro dell’educazione.
Che cos’è la danza per lei e cosa significa danzare oggi?
La danza, per me, è uno stato di grazia, in un certo senso vuol dire prendere un rischio e fare l’imprevedibile con il corpo/mente, farne la scelta della propria vita risvegliando tutti i desideri psicofisici insinuati nelle profondità del corpo, per sviluppare frasi di movimento nello spazio, legate al ritmo e guidate dall’energia. Il passaggio del tempo e la decelerazione della guida dell’energia ha determinato il cambiamento della mia visione del danzare: solo un cambio di prospettiva, perché attraversare il precedente senso della bellezza e cambiare abito è stata una transizione assai facile. È iniziata così una nuova avventura, un nuovo modo di danzare. Questo è stato l’inizio del metodo Hobart e della mia relazione con le persone diversamente abili: io ho danzato per loro e anche loro hanno danzato per me.
Alcune riflessioni sul legame tra danza e ambiente, ecologia e danza
Il pianeta sta scalciando per il modo in cui noi lo stiamo torturando. La condizione umana è in contrasto con se stessa, cerca disperatamente il progresso tecnologico e il facile automatismo lasciando dietro di sé un mare di detriti, ecologicamente scorretti. Una corsa per conquistare leadership che lascia poco spazio alle persone per riflettere, pensare alle loro più profonde contraddizioni per scoprire così le proprie nuove abilità. Proprio per rispondere a questa urgenza con Claudio e il team stiamo indagando sul senso di bellezza del movimento a favore delle persone diversamente abili, in questa direzione umanistica emerge la multidisciplinarietà del metodo che si realizza attraverso la condivisione dei codici comunicativi per una nuova estetica in danza.
Come pensa o desidera sia lo sviluppo del suo progetto nel futuro?
La relazione con la natura rischia di diventare virtuale, la popolazione in Europa sta invecchiando e non c’è modo di tornare indietro, ma certo diventa necessario pensare come andare avanti. Desidero contribuire a una riconciliazione con l’ambiente, con gli animali, con il corpo per non perdere il nostro soul. Il metodo offre una chiave d’accesso alla nostra umanità, per questo motivo vorrei che questa pratica di movimento danzato diventasse una materia di studio nella scuola e nell’università, per guidare i giovani all’autodeterminazione e alla capacità di scelta. Per concludere: la parola è divina, il corpo è il miracolo.
Saperenetwork è...
- Riminese, di formazione giuridica, ha collaborato con l’Università di Bologna e di Buenos Aires, si è occupata a lungo di editoria e comunicazione. Attualmente scrive per diverse testate giornalistiche,cartacee e on line. Si occupa di comunicazione e eventi in campo ambientale, culturale e artistico nel settore privato.
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