L’amore e la cura. Fatica e poesia di un ritorno alla terra madre
L’unicità dei compagni animali, le risorse di terreni recuperati, le azioni quotidiane per garantire sostenibilità e rispetto della natura. Il documentario di Joseph Péaquin, racconta un piccolo mondo al femminile che affronta con passione e dedizione le sfide di un’attività agro-pastorale
«Dove non arrivano le macchine, gli strumenti e la tecnologia, l’unica cosa che può dare di più a un prodotto è l’amore e la cura».
Così le due sorelle Marta e Matilde descrivono l’essenza del duro lavoro che le vede impegnate in montagna. A raccontarne la vita, con la telecamera che indugia sui loro volti e sui loro gesti mostrandone la poesia, la fatica e la bellezza, è il documentario L’amore e la cura di Joseph Péaquin, regista che la montagna la conosce bene.
Joseph Péaquin, laureato in Scienze della Comunicazione con indirizzo in regia audiovisiva all’Università di Grenoble, vive infatti in Valle d’Aosta e si dedica al documentario dal 1997. I suoi film – tra i quali In un altro mondo (2009), Tra terra e cielo (2010), La Suisse d’Emilio (2012), Jelie (2014) e Anima (2019) – sono selezionati in vari festival internazionali e trasmessi su televisioni europee.
Vite controcorrente
L’amore e la cura è stato prodotto da Premio “Ça tourne” Film Commission Vallée d’Aoste in collaborazione con il Centre d’Etudes Les Anciens Remèdes e presentato anche lo scorso ottobre nell’edizione 2021 di Cinemambiente a Torino. Il film segue le due sorelle lungo diciotto mesi della loro vita, in una baita sulle montagne di Gressoney-Saint-Jean, paese dove sono nate e cresciute. La loro è una storia di scelte, spesso ancora considerate controcorrente.
Dopo gli studi universitari, le due ragazze decidono di intraprendere una attività agro-pastorale su alcuni terreni di famiglia, nel rispetto della natura e della sostenibilità. Autonome, forti e indipendenti, le due sorelle vivono una vita scandita dal ritmo delle stagioni e dai bisogni degli animali, trattati con grande amore e rispetto.
Guarda il trailer de L’amore e la cura
Gli uomini, che generalmente nella suggestione iconografica tradizionale della montagna predominano, qui volutamente non appaiono, anche se evidentemente esistono, come testimonia la gravidanza di una delle due protagoniste. Quello che quindi viene mostrato è un piccolo mondo tutto al femminile, che incarna l’essenza stessa di una terra che è madre.
Un mondo ancestrale, che si nutre di conoscenza, costanza e impegno, ma anche profondamente attuale e contemporaneo, a cavallo tra tradizioni e presente.
Uno sguardo che ama e valorizza
Girato nell’arco degli ultimi due anni intercetta anche l’irrompere dell’emergenza sanitaria, mostrando la centralità dell’agricoltura nel modello contemporaneo e la necessità di una riflessione sulla sua sostenibilità. Una ricerca che Marta e Matilde hanno scelto di rendere concreta attraverso un modello diverso di coltivazione, incentrato sulla rinascita di terreni collocati in un luogo impervio e abbandonato. In un passaggio del film, una delle due protagoniste dice di amare le cose semplici. Eppure qui parlare di semplicità, in una vita così intessuta di impegno, passione e dedizione, è quasi riduttivo.
E ciò nonostante, quella portata avanti dalle due sorelle non è una sfida nell’accezione che di solito si dà a scelte come questa, ma si intuisce rappresentare qualcosa di molto più profondo:
la consapevolezza di ritornare a un qualcosa che appartiene loro da sempre e la riscoperta di un ritmo connesso alla natura radicato e mai completamente abbandonato.
Il racconto della vita di Marta e Matilde è anche una narrazione, riuscita dal punto di vista visivo, del contesto naturalistico che le circonda: animali, cose e la stessa casa hanno una storia individuale che emerge grazie allo sguardo delle due sorelle, intercettato da quello del regista, a loro accomunato dalla frequentazione di queste montagne. L’amore e la cura apre questo sguardo al pubblico, mostrando il conforto di una visione alternativa.
Saperenetwork è...
- Giornalista e cacciatrice di storie, ho fatto delle mie passioni il mio mestiere. Scrivo da sempre, fin da quando, appena diciassettenne, un mattino telefonai alla redazione de Il Monferrato e chiesi di parlare con l'allora direttore Marco Giorcelli per propormi nelle vesti di apprendista reporter. Lì è nata una scintilla che mi ha accompagnato durante l'università, mentre frequentavo la facoltà di Giurisprudenza, e negli anni successivi, fino a quando ho deciso di farne un lavoro a tempo pieno. La curiosità è la mia bussola ed oggi punta sui nuovi processi di comunicazione. Responsabile dell'ufficio stampa di una prestigiosa orchestra torinese, l'OFT, scrivo come freelance per alcune testate, tra cui La Stampa.
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