Le conseguenze dell’antropocene
Un neofilone distopico sembra essersi affacciato nel cinema nostrano. Complice (solo in parte, perché la tendenza era preesistente) la pandemia, si tratta di film che raccontano scenari post umani, legati spesso a catastrofi ambientali. Filo conduttore, bambini e adolescenti protagonisti di un destino che non hanno scelto
Fine anno: tempo di bilanci anche per il cinema italiano. Dopo anni di limbo il nostro cinema sembra aver ritrovato una nuova linfa espressiva. Non è che la via maestra della commedia sia stata abbandonata dai nostri filmmaker, ma finalmente si affaccia con forza una pluralità di temi, di generi e linguaggi che rompe i vecchi monopoli ed è caratterizzata dall’emergere di una nuova generazione di autori.
Quello dell’ambiente al cinema, per esempio, è un tema che si sta affermando sempre più prepotentemente come mainstream.
Lo certificano la presenza sempre più fitta di sezioni green all’interno di festival che prima erano per lo più generalisti (Riviera International Film Fest, Festival dei Popoli, Pordenone Docs Fest, Isola del Cinema solo per citarne alcuni) ma anche una ricca produzione, indipendente e non, di documentari e film di fiction. In quest’ultima famiglia va sottolineato il fatto che negli ultimi due anni il cinema di casa ha prodotto diversi film appartenenti ad un genere che fino ad oggi è stato ben poco perlustrato dai nostri autori, quello del cinema post apocalittico.
Vincitore del Premio Cial per l’ambiente al Giffoni 2020, La guerra di Cam, il nuovo film di Laura Muscardin, si muove in un futuro imprecisato. Il mondo, devastato da una guerra globale, da catastrofi naturali e da un non precisato blackout, si ritrova regredito ad uno stato selvaggio e i sopravissuti sono costretti a guardare con nostalgia quando la terra era tutta “tecnologia, cellulari, satelliti, auto, luci e plastica”.
Cam, con la sorella la sorella Dede e la madre, ha una sola speranza: quella di poter emigrare via mare.
Anche La terra dei figli, diretto da Claudio Cupellini e uscito in sala prima dell’estate, si muove in scenari non dissimili. Tratto dall’omonimo fumetto di Gipi, La terra dei figli ci mostra la fine della nostra civiltà.
Nella perfetta ambientazione del Delta del Po, un padre e suo figlio di quattordici anni, vivono su una palafitta in una area paludosa. Sono tra i pochi sopravvissuti di un indefinito disastro che condanna l’uomo ad una continua lotta per la sopravvivenza.
In Mondocane di Alessandro Celli l’ambientazione cambia. Tra fumi e polvere rossa, la location diventa reale. Siamo a Taranto, città tra le più inquinate al mondo e simbolo di un Paese segnato dal degrado ambientale, dove in un futuro prossimo, all’ombra della acciaieria, le periferie sono diventate delle pericolose favelas. Qui bande di ragazzini, a centinaia, seminano il terrore tra furti e omicidi.
Sono gli orfani di chi lavorava in fabbrica, tra questi anche Pietro o Mondocane come lo chiamano nella sua gang.
Troppo semplicistico però pensare solo alla pandemia e al coronavirus come motivo ispiratore del neofilone distopico tricolore in cui possiamo annoverare, nelle diverse cifre stilistiche, anche altri titoli come Virgo – i piedi freddi delle donne di Massimo Ivan Falsetta, Lumina di Samuele Sestieri o la serie tv di Niccolò Ammanniti Anna, tratta dal suo omonimo libro.
Quella del virus è una paura antica che da sempre attraversa il cinema e che con L’ultimo uomo sulla Terra, una pellicola girata da Ubaldo Ragona nel lontano 1964 a Roma, trova, per il cinema italiano, il suo capostipite.
Un film che all’estero ha fatto scuola (ci sono stati diversi remake come 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra del 1971 e il più recente Io sono leggenda con Will Smith) ma che in Italia non ha avuto seguito.
Occorre, invece, ammettere che il timore di un disastro ambientale, sulla scia anche dei ripetuti ammonimenti degli scienziati dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, e degli altri centri di ricerca, si è ormai fatto strada, anche sotterraneamente, nello statuto artistico molto prima di quanto stia accadendo nel mondo della politica e della finanza.
È il destino che temiamo. Il cinema e l’arte non hanno riserve nel mostrarcelo con storie forti e divinatorie.
Guarda il video di Io sono leggenda
Un filo comune attraversa questi film: lo sguardo sbigottito di un’infanzia tradita e disumanizzata. Il protagonista de la La terra dei figli non ha nemmeno un nome e con Cam, Anna, Mondocane dà vita ad una generazione di ragazzi il cui destino sarà forse quello di limitarsi a governare il caos se non si riuscirà ad invertire la rotta.
Il cinema italiano incamera cosi un filone post apocalittico e sempre più autori, interrogandosi sul futuro e sulla crisi ambientale che stiamo vivendo, ci daranno conto di un immaginario legato ad un mondo deprivato dove le condizioni di vita saranno necessariamente più complesse.
Sono film che denunciano l’antropocentrismo della nostra era e come confessano i protagonisti de La guerra di Cam riconoscono che “siamo cannibali e ci siamo mangiati il pianeta con le nostre mani”.
Saperenetwork è...
- Giornalista e studioso delle tematiche giuridiche agraristiche-ambientali, ha collaborato con alcuni importanti enti di ricerca (Ist. Cervi, INEA, CNR, IDAIC, ENEA, CREAA, Ismea, Univ. Sapienza, Univ. Tuscia di Viterbo). Come giornalista ha scritto per numerose testate, lavorato in uffici stampa, condotto trasmissioni radio e televisive. Ha insegnato “Diritto e legislazione dello spettacolo” presso il Conservatorio di Musica “V. Bellini” di Palermo ed è il direttore artistico del Green Movie Film Fest, festival di cinema ambientale.
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