Open Arms. La legge del mare
La fotografia del corpo senza vita di Alan Kurdi, il bambino siriano di tre anni annegato il 2 settembre 2015 a largo della spiaggia di Bodrum, in Turchia, è entrata nella memoria collettiva, simbolo della crisi umanitaria, immagine indelebile dell’inanità dell’Unione Europea. In tanti continuiamo a sentirne il peso della vergogna, crogiolandoci nella nostra umanissima commozione. Qualcuno, invece, ha deciso che quella morte non solo è inaccettabile ma non deve ripetersi. Mediterráneo, in inglese Mediterraneo: The Law of the Sea, in italiano Open Arms. La legge del mare, è la storia di alcuni di loro, primo fra tutti Oscar Camps, il fondatore di Open Arms, la Ong che per prima si è occupata di proteggere in mare le persone che cercano di raggiungere l’Europa.
Oscar e il suo collega, Gerard, decidono di recarsi nell’isola di Lesbo, dove scoprono che ogni giorno migliaia di persone rischiano la vita cercando di solcare il mare con imbarcazioni precarie e nessuno sta svolgendo attività di salvataggio. Insieme a Esther, Nico e agli altri membri della loro squadra, lotteranno per compiere il lavoro disatteso dalle autorità e per portare a migliaia di persone l’aiuto di cui hanno bisogno.
Il murale di 120 metri quadrati che raffigura Aylan Kurdi, il bambino siriano morto su una spiaggia turca nel settembre del 2015. Si trova sulle rive del fiume Meno, a Francoforte
Il murale di 120 metri quadrati che raffigura Aylan Kurdi, il bambino siriano morto su una spiaggia turca nel settembre del 2015. Si trova sulle rive del fiume Meno, a Francoforte (Foto: Wikipedia)

Dalla parte giusta

Il film, presentato in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma 2021 (ancora senza una data di uscita nel nostro Paese), come era facilmente prevedibile ha già sollevato diverse critiche, sabotaggi compresi da parte dell’estrema destra spagnola.
«Il nostro non è una film politico – ha detto il regista Marcel Barrena ai giornalisti in occasione della conferenza stampa– ma se i fascisti si sono arrabbiati, significa che siamo dalla parte giusta».

La parte di quelli che non accettano si lascino esseri umani ad affogare per dissuadere altri esseri umani a intraprendere la traversata. «Non spetta a noi trovare soluzioni, a noi spetta salvare vite umane. Sono i politici che devono trovare soluzioni, ma ci vorranno almeno vent’anni perché ci siano politici, intellettuali, statisti non mediocri come quelli di adesso», ha tuonato Oscar Camps, il bagnino di Badalona che ha sempre protetto la vita delle persone, che fosse dall’irritazione di una medusa o da un’insolazione; ha sempre rispettato la legge del mare: non si lascia morire nessuno in acqua. È seguendo quella legge antica, codificata nel 1982 dall’art. 98 della Convenzione della Nazioni Unite sui diritti del mare (sottoscritta da 155 Stati, stabilisce l’obbligo di prestare soccorso a chiunque sia in mare in condizioni di pericolo), che Camps decide di andare a Lesbo, l’isola greca a pochi chilometri dalla costa turca in cui nel 2015 sono sbarcati la metà dei 856.723 migranti arrivati nell’intera Grecia.

 

Un gommone con dei migranti in alto mare
Un’immagine del film dello spagnolo Marcel Barrena, che è stato oggetto di attacchi e polemiche da parte dell’estrema destra

Numeri e persone

Si conosce il numero di quanti toccano terra, non di quelli in fondo al mare: una crisi umanitaria senza precedenti.
«L’Unione Europea sta trasformando il Mediterraneo in una fossa comune», denuncia il Camps del film, interpretato da un gigantesco Eduard Fernandez, nella prima intervista che decide di rilasciare per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione; intervista in cui continua a ripetere di non essere un politico, di non avere una soluzione, ma di essere certo che non ci si può tirare indietro se c’è da allungare una mano a qualcuno che sta affogando.
Quello che a terra, in un’altra isola, Lampedusa, ha fatto un medico, Pietro Bartolo, prestando il primo soccorso ai migranti, tra cui quelli del tragicamente celebre naufragio del 3 ottobre 2013, in cui persero la vita 368 persone delle 500 presenti su un peschereccio partito dal porto libico di Misurata. Quello che per Camps è la legge del mare, per Bartolo, finito in Fuocoammare, documentario di Gianfranco Rosi candidato agli Oscar nel 2017, è il giuramento d’Ippocrate. L’operazione di salvataggio italiana Mare Nostrum, interrotta alla fine del 2014, ha lasciato dietro di sé un vuoto mortale. Le Ong di soccorso sono nate per colmare questa lacuna. È bastato poco che fossero criminalizzate e ostacolate. Non ultimo, il fermo amministrativo della nave Open Arms, a Pozzallo, nell’aprile 2021.
                   Guarda il video di “Open Arms. La legge del mare”

Responsabilità e emozioni

A breve è previsto invece il processo a Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona per non aver fatto sbarcare, nell’agosto del 2019, quando era Ministro dell’Interno, 147 migranti salvati dalla Ong spagnola per giorni (all’udienza, in calendario a Palermo il 23 ottobre, è stato chiamato a testimoniare anche Richard Gere).
«Ci auguriamo si faccia giustizia – ha commentato Camps durante la conferenza romana – perché è stata inflitta dell’inutile sofferenza a gente che aveva sofferto già abbastanza per violenze, fame, stupri, umiliazioni, solo per la propria personale campagna elettorale».
Mediterráneo arriva adesso per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle migrazioni: «La cosa importante – ha proseguito il fondatore di Open Arms – era essere certo ci sarebbero stati delicatezza e rispetto nei confronti della mia e della vita dei profughi, che hanno potuto lavorare come comparse e raccontare qualcosa di loro». Gli ha fatto eco il regista: «È stato un film di enormi responsabilità, infinite emozioni, prima, durante e dopo le riprese. Ci sono storie e storie. E ce ne sono alcune che si devono raccontare sia per commuovere il pubblico sia per dare voce a chi una voce non ce l’ha. Da quando ho incontrato Oscar e ho messo piede a Lesbo, ho capito che questa storia doveva essere raccontata nella maniera più realistica possibile».
Due protagonisti del film, seduti in riva al mare
Un’altra scena del film. Secondo la legge del mare, non si lascia morire nessuno in acqua. Codificata nel 1982 dall’art. 98 della Convenzione della Nazioni Unite sui diritti del mare e sottoscritta da 155 Stati, la legge stabilisce l’obbligo di prestare soccorso a chiunque sia in mare in condizioni di pericolo

Per non dimenticare

Il film, che dovrebbe essere fatto vedere in tutte le scuole, in tutte le bocciofile, in tutte le piazze dell’Unione Europea, è dedicato a chi è morto in mare, a chi ce l’ha fatta e agli abitanti di Lesbo.

Sono stati in tanti, pur guardando con iniziale timore e sospetto sia i profughi sia i loro salvatori, a non indugiare neanche un attimo quando c’è stato da mettere in acqua barche e pescherecci per scongiurare una tragedia pari a quella di Lampedusa (ma anche al tristemente noto naufragio della Katër i Radës, del 1997, in cui persero la vita almeno 90 albanesi in rotta di collisione con una corvetta della Marina Militare italiana).

In tanti ad allungare una coperta o un pezzo di pane ai sopravvissuti. Erano stati candidati al Nobel per la Pace, nel 2016, dopo che l’immagine di un’anziana che allatta un neonato siriano aveva fatto il giro del mondo. Oslo, però, ha preferito il presidente della Colombia Juan Manuel Santos, che ha guidato il Paese verso il processo di pace con i guerriglieri Farc. Ora, c’è un piccolo riscatto per tutti loro: «Mi auguro che il messaggio arrivi a quanta più gente possibile – ha detto Barrena – Né il film né io abbiamo la pretesa di avere delle risposte: ci facciamo solo da tramite e raccontiamo affinché nessuno dimentichi».

 

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Francesca Romana Buffetti
Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.

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