Il “Pupo di zucchero” secondo Emma Dante. Celebrare i morti per imparare a vivere

Il “Pupo di zucchero” secondo Emma Dante. Celebrare i morti per imparare a vivere

L’ultimo spettacolo della regista palermitana, tratto da Giambattista Basile, è una coinvolgente riscoperta delle tradizioni meridionali, lontane dalla mercificazione di Halloween. Una coproduzione italo-francese, in tour per l’Europa, che apre la stagione dell’Argentina di Roma e sarà visibile in diversi teatri italiani

«Il 2 novembre è l’unico iuorno ca ce sta ‘nu poco ‘e vita dint’a ‘sta casa», confessa il vecchio “ ‘nzenziglio e spetacchiato” nel buio vuoto del palcoscenico. Sono morti tutti, ma in questo giorno speciale chi non c’è più può tornare a farci visita in immagini che sono ossa e carne, canti, passioni, giovinezza. Ricordi impressi nella nostra vita, nel nostro stesso corpo. Rilke l’aveva scritto così nel suo I quaderni di Malte Laurids Brigge, il romanzo diario-autobiografico che è tra le fonti ispirative di Pupo di zucchero, il nuovo spettacolo scritto e diretto da Emma Dante:

«Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso».

Coprodotto da Sud Costa Occidentale, diverse istituzioni francesi, Teatro di Napoli e il Biondo di Palermo, dopo diverse tappe estive tra cui il Festival di Avignone, ha appena aperto la stagione del Teatro Argentina di Roma e sarà presto in tournée in tutta Italia.  Lo diciamo subito, senza nulla togliere allo spettacolo che è un piccolo capolavoro di drammaturgia, emozioni, linguaggio, nonché un toccante omaggio al miglior teatro del Novecento: il Teatro stabile della capitale dovrebbe inaugurare la sua stagione con una produzione propria, ideata, finanziata e progettata secondo le linee guide della sua direzione artistica e non con le repliche di un allestimento che da mesi è in giro per l’Europa. Ma tant’è: Argentina, India e Lido, le tre sale che fanno capo al Teatro di Roma,  sono da quasi due anni senza direttori, in un patetico balletto di nomi, candidature, rinunce e pasticci che fa impallidire il miglior Beckett e getta nello sconforto cittadini e istituzioni.

 

 

 

 

Rilke, dicevamo, e Basile, a cui Emma Dante torna dopo La scortecata del 2017 mentre  annuncia di voler realizzare una trilogia. Questa volta lo spunto iniziale è Pinto Smauto (Smalto Splendente), il terzo racconto della quinta giornata de Lo cunto de li cunti in cui Betta impasta acqua di rose, zucchero di Palermo e mandorle per creare il pupo-marito che piace a lei. Riallacciandosi alle tradizioni del suo Sud e ai racconti del suo maestro Camilleri, il pupo di Emma Dante diventa qui il dolce antropomorfo che nel meridione si cuoce(va) per la festa dei defunti in cambio dei regali che i morti portavano (e ancora portano) ai bambini. Era, la notte tra Ognissanti e la commemorazione dei defunti, una cena di “patrofagia simbolica”: cibandosi di dolci con fattezze umane che raffiguravano l’anima dei propri cari, ci si nutriva del loro agire, del loro essere stati, proprio come indica Rilke. Siamo anni luce dall’esperienza sabbatica e mercificata di Halloween e anche solo per questo Pupo di zucchero dovrebbe andare in scena in tutte le scuole d’Italia.

 

Guarda il video di Pupo di Zucchero di Emma Dante 

 

Dal nero della sala, pochi rintocchi di campanelli come di un rito antico, ecco che evocata dall’attesa della lievitatura, la famiglia del Vecchio si materializza in tutta la sua travolgente vitalità. Le tre sorelle Viola, Primula e Rosa, «tre fiori che sanno di primavera» che lo accompagnano con le note di Luna nuova di Salvatore Di Giacomo e Mario Costa, che piroettano e danzano, amate e perdute; il padre disperso in mare; la mammina marsigliese dalle sonorità esotiche e il senso ultimo dell’attesa; il figlio adottivo Pasqualino, tuttofare affettuoso e mascalzone; la passione violenta e insopprimibile di zia Rita e zio Antonio che «s’abboffavano ‘e mazzate»…

La scena si anima, si popola, si mescola: farina e baci, zucchero e abbandoni, in una girandola che nell’acme della rievocazione, trasforma le figurine in gramaglie del passato in una giostra di attori da cabaret con tanto di lustrini e paillettes, pupazzi da lanterna magica che volteggiano e respirano, messaggeri dell’altrove.

 

Lo spunto iniziale di Pupo di Zucchero è un racconto tratto da Lo Cunto de li Cunti, la celebre opera di Giambattista Basile (Foto: Ivan Nucera)
Lo spunto iniziale di Pupo di Zucchero è un racconto tratto da Lo Cunto de li Cunti, la celebre opera di Giambattista Basile (Foto: Ivan Nucera)

 

Per il suo impasto Emma Dante ha scelto la lingua forbita, ricca e plastica del Seicento napoletano, protagonista assoluta insieme ai bravissimi attori del cast (Tiebeu Marc-Henry Brissy Ghadout, Sandro Maria Campagna, Martina Caracappa, Federica Greco, Giuseppe Lino, Carmine Maringola, Valter Sarzi Sartori, Maria Sgro, Stephanie Taillandier, Nancy Trabona) con l’intento di esplorare la linea d’ombra, il confine sottile e impalpabile dell’Alterità assoluta. Non più solo la memoria, i grovigli familiari, le ferite del sociale del suo teatro e del suo cinema, ma la frontiera con l’Irreale, in una celebrazione della morte come festa della vita che è anche una esaltazione del teatro e del suo senso profondo: essere messaggero di esperienze, di testimonianze, di trasformazioni. 

 

Il Pupo di Zucchero è il dolce antropomorfo che bel Sud Italia, ancora oggi, i morti portano ai bambini insieme ai regali in occasione di Ognissanti (Foto: Ivan Nucera)
Il Pupo di Zucchero è il dolce antropomorfo che bel Sud Italia, ancora oggi, i morti portano ai bambini insieme ai regali in occasione di Ognissanti (Foto: Ivan Nucera)

 

Per questo, nel buio della scena tagliato dalle luci di Cristian Zucaro, è bello riconoscere tra i tanti protagonisti invisibili dello spettacolo i dolenti fantasmi di Eduardo, la magica fine d’anno di Co’Stell’Azioni di Enzo Moscato, la grande letteratura mitteleuropea e, soprattutto, la poetica di Tadeusz Kantor e del suo capolavoro, La classe morta. A lui, maestro indiscusso, si ispira la toccante scena finale delle sculture-manichino realizzate da Cesare Inzerillo e ispirati alla Cripta dei Cappuccini di Palermo: dieci doppi mummificati  (uomini posticci li chiamava il Kantor pittore) che ciascuno dei personaggi ha appeso al gancio dell’esistenza, pronti a rinascere ogni 2 novembre, nella casa in cui i ricordi e la morte volteggiano e turbinano in passi di danza.

 

 

Oltre a Basile, da cui è tratto, il testo di Emma Dante si ispira a Rilke, Camilleri e Eduardo (Foto: Ivan Nucera)
Oltre a Basile, da cui è tratto, il testo di Emma Dante si ispira a Rilke, Camilleri e Eduardo (Foto: Ivan Nucera)

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Stefania Chinzari
Stefania Chinzari
Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico, counselor dell’età evolutiva e tutor dell’apprendimento. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti.
Svolge attività di formazione in tutta Italia sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione. E’ stata maestra di classe nella scuola steineriana “Il giardino dei cedri” per 13 anni e docente all’Università di Cassino. E’ membro del Gruppo di studio e ricerca sui DSA-BES, della SIAF e di Airipa Italia. E’ vice-presidente di Direttamente onlus con cui sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Giornalista professionista e scrittrice, ha lavorato nella redazione cultura e spettacoli dell’Unità per 12 anni e collaborato con numerose testate. Ha lavorato con l’Università di Roma “La Sapienza” all’archivio di Gerardo Guerrieri e pubblicato diversi libri tra cui Nuova scena italiana. Il teatro di fine millennio e Dove sta la frontiera. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Il suo ultimo libro è Le mani in movimento (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.

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