En Abyme, discesa negli abissi dell’io

Un momento di En Abyme

Dopo la mise en lecture dello scorso anno, En Abyme di Tolja Djokovic, vincitrice del premio autori under 40 della Biennale Teatro, ha trovato la sua messinscena completa a Venezia in occasione dell’edizione numero 51 della Biennale stessa, grazie alla regia di Fabiana Iacozzilli. La nuova rassegna in Laguna, curata ancora una volta da Stefano Ricci e Gianni Forte, ha proposto 15 giorni (dal 15 giugno all’1 luglio 2023) ricchi di appuntamenti, laboratori, seminari, incontri. Eventi che, nelle intenzioni dei due curatori, dovevano essere all’insegna dell’Emerald e avere, come orizzonte simbolico, quello di «indicare il momento di un cambiamento profondo, di una trasformazione, di un passaggio a una nuova fase della vita: la rigenerazione dopo l’inverno, la rivitalizzazione, la resurrezione, la rinascita e la libertà dell’essere umano», nell’idea che

«è tempo che anche il Teatro faccia, nello spirito artistico che lo contraddistingue, un inventario delle nostre inquietudini e dei nostri impedimenti dinnanzi anche ai futuri cambiamenti ambientali, diventando cassa di risonanza di queste questioni urgenti e vitali».

 

Nella ricca Biennale, un evento accompagnato dalla cronaca

Così, dopo l’esemplare Leone d’oro alla carriera assegnato a Armando Punzo e al suo eccezionale lavoro nel carcere di Volterra (dove dal 28 luglio al 3 agosto ha presentato per il suo annuale appuntamento Atlantis, continuando il viaggio iniziato con Naturae a Venezia) e una serie di appuntamenti diversissimi, dai sortilegi sonori di Federica Rossellini, le malie di Giacomo Garaffoni, gli incanti di Boris Nikitin, le creazioni di Bashar Markus, Gaetano Palermo, Morana Novosel, Mattias Andersson, Valerio Leoni, Noemi Goudal e Maelle Poesy, per citare le cose principali, col finale affidato a Tiago Rodrigues,

En Abyme ha rappresentato un momento esemplare, complice anche la cronaca ancora fresca dell’implosione del sommergibile Titan durante una spedizione turistica alla volta del relitto del Titanic, a circa 3810 metri di profondità nell’Oceano Atlantico.

L’autrice, infatti, fa partire il suo racconto dalle esplorazioni negli abissi del regista James Cameron, nel punto più profondo della Fossa delle Marianne. I piani narrativi sono quattro e si intersecano tra di loro. Accanto a il “documentario”, incentrato sull’impresa del regista statunitense, c’è “Lei, Lui e La Bambina”, dedicato al racconto di un rapporto padre/figlia, “L’occhio”, ovvero la lente di una telecamera che, replicando metaforicamente l’operazione di Cameron, riprende la quotidianità di una donna, infine c’è “Marianne”, la voce femminile protagonista della vicenda che si contende con il “documentario” il ruolo di narratrice dell’abisso.

Potenza dell’impianto scenico

«Nel mio lavoro – spiega Tolja Djoković nelle note – fondamentale è il filo rosso della discesa negli abissi, una situazione esemplificativa di stati d’animo diversi, da un lato la paura di andare a fondo, dall’altro l’introduzione delle scoperte che può fare solo chi è pronto a correre il rischio di perdersi. Del resto, mi hanno sempre interessato i limiti che pone la pratica scenica e ho avvertito l’esigenza di comprendere e sperimentare sino a che punto ci si può spingere con l’immaginazione nella sfida a superarli».

 

 

A Fabiana Iacozzilli, regista romana che dal 2008 è alla guida della compagnia Lafabbrica, imponendosi all’attenzione nazionale attraverso un teatro sorretto da un fortissimo impianto visivo e scenotecnico (è attesa al RomaEuropaFestival con lo spettacolo La classe, previsto a novembre 2023), il compito dell’allestimento, studiato per la scena di Giuseppe Stellato alle Tese dei Soppalchi all’Arsenale con i costumi di Chiara Aversano e le luci di Omar Scala, accompagnato dal disegno sonoro di Tommy Grieco:

uno spazio scenico scarno e in bianco e nero, sovrastato da un telo dove vengono proiettati filmati ora del passato dei protagonisti, ora del pesce lumaca, il re degli abissi capace di nuotare fino a 8mila metri sotto il livello del mare.

È in questo luogo che si muovono i quattro interpreti (Simone Barraco, Oscar De Summa, Francesca Farcomeni ed Evelina Rosselli) e la giovanissima Aurora Occhiuzzi. Insieme hanno dato vita a uno spettacolo claustrofobico e conturbante, che secondo le parole della stessa Iacozzilli «si interroga sulla possibilità di cogliere in un fotogramma della nostra vita una connessione tra un dentro e un fuori, sulla possibilità di riemergere viv* dalla Fossa delle Marianne presente in ognun* di noi».

 

 

Riecheggia, insomma, più a livello concettuale che per la concreta messa in scena della regista, quello spazio semantico più volte bazzicato dalla poesia, non ultima (ma certo tra le più affascinanti) quella di Baudelaire che nello specchio del mare vedeva contemplarsi l’anima dell’uomo libero (“Homme libre, toujours tu chériras la mer! / La mer est ton miroir; tu contemples ton âme / Dans le déroulement infini de sa lame, / Et ton esprit n’est pas un gouffre moins amer”, da L’Homme et la Mer).

Emblematica la frase con cui il personaggio di Marianne chiude la pièce: «Respiro. Mi fermo un secondo a guardare quanto la Terra sia fatta ancora di mare».

Appuntamento ora a Napoli, dove En Abyme sarà riproposto al Teatro Bellini ad aprile 2024.

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Francesca Romana Buffetti
Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.

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