Hybris, sfidare la natura è la nostra rovina
Alieno, irriverente, assolutamente singolare. L’ultimo spettacolo di Antonio Rezza e Flavia Mastrella parte da una porta, dogana mobile sull’arrogante meschinità umana. Dopo il debutto al Festival di Spoleto, in tour a Roma, Firenze, Cosenza e Genova
Una porta. Una porta che si apre. O si chiude. Che delimita un dentro e un fuori. Un noi e un voi. Io e tu. Una porta che è soglia, limen, confine. Gesto di accoglienza o di esclusione. È la porta il perno attorno a cui Antonio Rezza e Flavia Mastrella hanno costruito il loro ultimo spettacolo, Hybris, che ha debuttato al Festival di Spoleto ed è in tournée in tutta Italia (a Roma, al Teatro Vascello, fino al 22 gennaio e poi a Firenze, Cosenza e Genova). È quasi un omaggio quello che Roma sta tributando in questi giorni di festa alla coppia di artisti più singolare del nostro panorama teatrale e visivo, con la programmazione al Cinema Troisi del film di Rezza, Il Cristo in gola, fino a fine dicembre e quella del film di Mastrella, La Legge, ovvero la Costituzione letta da 150 animali, «nato dal senso di inutilità da cui mi sono sentita travolta come tanti». Il duo è così, prendere o lasciare: alieni, blasfemi, irriverenti, “involontari” come recitava il libro sul loro teatro uscito nel 2012, ogni anno più amati e ormai platealmente riconosciuti, premiati nel 2013 con gli Ubu e nel 2018 dalla Biennale teatro con il Leone d’oro alla carriera.
Questo Hybris viene alla luce dopo una lunga gestazione che ha coinvolto anche la pandemia, l’isolamento e la stigmatizzazione di tutte le voci-contro che hanno provato a raccontare la follia da Covid in modo diverso, per non dire di chi ha deciso, come i due artisti, di non passare dal vaccino: porte in faccia al lavoro, sui mezzi pubblici, persino al bar. Ma Hybris non parla di pandemia, anche se ne porta le conseguenze e produce uno spettacolo diverso, ancora più crudo, molto spesso sgradevole, a dispetto delle risate scroscianti della sala pienissima, un’occasione teatralmente sfruttata a metà, là dove la metafisica dell’idea iniziale e le potenzialità creative di quell’uscio mobile e onnipotente sono state sacrificate all’istrionismo di un performer a sua volta trafitto dall’hybris.
Guarda il trailer di Il Cristo in gola
«Hybris per me – ha detto Rezza – è la sfida dell’uomo alla natura, la convinzione umana di poter dominare la terra con le tecnologie che ci spingono alla rovina». Quella sfida arrogante agli dei o al Dio, quell’insolenza tutta umana che prevarica e distrugge e sta portandoci dritti dritti al transumanesimo, all’insostenibilità ambientale, alla prevaricazione economica dei sempre più ricchi, all’emarginazione dei sempre più numerosi. La porta di Hybris è stretta, mobile e pesante e Rezza la sposta e la posiziona convulsamente nello spazio-ring di una scena insolitamente brulla e fredda, un “habitat”, come lo chiama Mastrella, con due poltrone da ufficio rosse, un paio di attrezzi ginnici e stelle filanti tristemente e inutilmente appesi sullo sfondo, il trasportino umano per la desolante passeggiata che Rezza compie nel sottofinale dello spettacolo.
La porta si apre e si chiude di continuo. Lascia entrare o vieta l’ingresso e immediatamente segna una barriera, innerva un potere. È una dogana mobile che si trasforma, conforma lo spazio e il tempo e li deforma. È la porta che protegge i disastri e le violenze familiari qui portate al parossismo, il varco metal detector che costringe Rezza a spogliarsi nudo perché quel che suona sempre altro non è che l’uomo, il muro che permette a chi non passa, a chi resta al di là, di diventare non visto, non visibile e dunque inesistente.
«Aprire la porta sulle altrui incertezze, sull’insicurezza dell’essere e la meschinità dello stare – scrivono gli autori – Chiunque sta in un punto, detta legge»
Il matta(t)tore è sempre lui, Rezza, che è ormai un’icona, vestito di lamè arcobaleno, Pierrot scarnificato che fa ridere graffiando, denunciando. Iperbolico nel linguaggio che si deforma e crea nuovi sensi e nonsensi, nella vocalità pervasiva, nell’energia sincopata che riduce a pallidi fantasmi gli altri attori, insolitamente numerosi, figure da abusare, degradare, schernire, in una sarabanda di movimenti accelerati da film muto e situazioni sempre più iperboliche. Come nella scena dell’incontro delle famiglie dei due fidanzati o nel gran finale in cui persino la parola si annienta e diventa il fischiare penetrante di chi comanda e basta. E la porta si rivela per quel che è: un’arma ormai tangibile, inesorabile. Rezza la punta sul coro bistrattato come fosse un fucile e ad ogni “slam” che echeggia nella scena rossa gli attori si accasciano, morti. Hybris ha vinto tutto. Ma il piatto piange.
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Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico, counselor dell’età evolutiva e tutor dell’apprendimento. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti.
Svolge attività di formazione in tutta Italia sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione. E’ stata maestra di classe nella scuola steineriana “Il giardino dei cedri” per 13 anni e docente all’Università di Cassino. E’ membro del Gruppo di studio e ricerca sui DSA-BES, della SIAF e di Airipa Italia. E’ vice-presidente di Direttamente onlus con cui sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Giornalista professionista e scrittrice, ha lavorato nella redazione cultura e spettacoli dell’Unità per 12 anni e collaborato con numerose testate. Ha lavorato con l’Università di Roma “La Sapienza” all’archivio di Gerardo Guerrieri e pubblicato diversi libri tra cui Nuova scena italiana. Il teatro di fine millennio e Dove sta la frontiera. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Il suo ultimo libro è Le mani in movimento (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.
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