L’albergo dei poveri, spaccato di umanità perduta

L'Albergo dei poveri, per la regia di Massimo Popolizio, in scena al Teatro Argentina di Roma (Foto: Claudia Pajewski)

L’albergo dei poveri, spaccato di umanità perduta

L’opera di Maksim Gor’kij, sulle scene italiane dopo quarant’anni, ha la regia di Massimo Popolizio e la drammaturgia di Emanuele Trevi. All’Argentina di Roma fino al 3 marzo e poi in tournée al Piccolo di Milano, a Napoli e Bergamo

Archiviate le polemiche politiche sull’elezione del nuovo direttore, il Teatro di Roma riprende il cartellone e propone con successo all’Argentina fino al 3 marzo (poi in tournée al Piccolo di Milano che coproduce e a Napoli e Bergamo) uno spettacolo ambizioso nei numeri – sedici attori in scena, tutti lodevolissimi peraltro, non è evento consueto sui nostri palcoscenici – e negli intenti. Ha dichiarato infatti Massimo Popolizio, regista e co-protagonista di questo Albergo dei poveri di Maksim Gor’kij che torna sulle scene italiane dopo quarant’anni:

«Ho scelto quest’opera perché è emblematica: affrontando temi universali, sa esprimere una potenza epica»

 

 

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Fu infatti con un allestimento memorabile di questo testo che Strehler e Paolo Grassi inaugurarono nel 1947 il Piccolo Teatro a Milano, ribattezzandolo rispetto ai diversi titoli – “I bassifondi”, “Il dormitorio”, “Sul fondo” – pensati dall’autore, per poi riprenderlo nel 1973. Nessun altro, da allora, si è cimentato con questo spaccato di umanità perduta che già nel 1902 aveva indotto un nome del calibro di Stanislavskij a portarlo in scena al Teatro di Mosca e poi Renoir e Kurosawa a firmare due trascrizioni cinematografiche indimenticabili.

Denuncia e poesia

Sono state la miseria sociale, la violenza bellica e la disperazione di tanti uomini e donne del presente, molti di loro a un passo dall’abisso della povertà e della rinuncia, a convincere Popolizio a riproporre, nella riscrittura vibrante di Emanuele Trevi vivificata da citazioni da Cechov, Florenskij, Puskin e McCarthy, l’opera di poesia e di denuncia con cui Gor’kij portava alla ribalta il brulicare di ladri, prostitute, giocatori, falliti e malati di mente e dell’anima che affollavano i dormitori ghetto della sua città.

Lo spettacolo di Popolizio-Trevi ci ricorda che siamo immersi, oggi, in una povertà universale e un’ingiustizia dilagante, nuove ed immutate.

E che lo spaccato dell’Albergo, ambientato dallo scenografo Marco Rossi in un vasto scantinato sporco e buio, affollato di letti, pancali, materassi e praticabili, forato da porte e lucernai, è la fotografia impietosa di quel che avviene anche nel mondo di “sopra”: invidia e soprusi, menzogne e sopraffazioni, furti, beffe, rovina. Come api impazzite, entrano ed escono dal dormitorio dell’usuraio Kostylëv i rappresentanti ora dolenti e ingenui, ora laidi e cinici di una vita-alveare senza più morale e senza speranza. Unico filo rosso, il fiume di vodka che annebbia la mente, spegne il dolore e motiva ogni gesto, anche il più brutale.

 

Una scena de L’albergo dei poveri (Foto: Claudia Pajewski)

Api impazzite

C’è la prostituta che ancora s’illude di trovare l’amore (Silvia Pietta), la giovane tisica morente (Zoe Zolferino) e il suo losco marito, fabbro disoccupato (Michele Nani). C’è il ladro predestinato alla cattiva sorte Pepel (Raffaele Esposito), amante della crudele proprietaria (Sandra Toffolatti) ma innamorato dell’inerme sorella (Diamara Ferrero). C’è l’attore che ha evaporato nell’alcol la memoria (Luca Carbone) e il pellicciaio che ha perso, in un doppio tradimento, la moglie e la ditta (Giampiero Cicciò). C’è il baro Satin (Aldo Ottobrin) che cerca nelle parole un barlume di verità e di chiarezza, il nobile ormai pezzente, il gendarme corrotto e innamorato, la lettrice compulsiva intrappolata nei ricordi (Carolina Errero) e il Principe nero che prega il Profeta, personaggio comparso per questo adattamento e affidato allo zambiano Martin Chishimba.

Una guida per la redenzione?

Nel viavai di liti e pulsioni, fugacissimi incontri e sopraffazioni reciproche, arriva un giorno Luka, il pellegrino, il “santo bevitore”, il guru-cialtrone adornato di anelli e bracciali cui Popolizio dona fisicità e scaltrezza e alcune battute di assoluto lirismo:

«Siamo tutti pellegrini su questa terra … e ho sentito dire come anche la terra stessa sia pellegrina nel cielo».

Entra in scena, mentre la sua radiolina suona “Midnight, the stars and you” e subito dispensa consigli paterni che sembrano illuminare per alcuni la strada della redenzione. Al ladro intima di fuggire con l’amata, alla tisica di abbandonarsi al riposo eterno, all’attore di metter via il denaro per disintossicarsi all’albergo degli ubriaconi. Li ammaestra, nominando Dio e la verità, facendo appello alla coscienza, ventilando la fuga e la libertà.

 

(Foto: Claudia Pajewski)

 

Ma scompare, così com’era venuto, al culmine del terzo atto, quando tutto precipita e il futuro di tutti si ripiega su sé stesso, come un origami mal riuscito. Nessuno si alzerà in volo e il pugno dei derelitti superstiti illuminato nel sottofinale di taglio da un raggio di sole, è più un omaggio alle ombre di Caravaggio che al lieto fine di Miracolo a Milano. «Ha rovinato la canzone. Che idiota!» commenta infatti Satin, interrotto nella sua canzonaccia dalla notizia che l’attore s’è impiccato.

Là sotto, nell’Albergo dei poveri, non c’è riscatto. Forse, neppure nel mondo di sopra.

 

 

 

Saperenetwork è...

Stefania Chinzari
Stefania Chinzari
Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico, counselor dell’età evolutiva e tutor dell’apprendimento. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti.
Svolge attività di formazione in tutta Italia sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione. E’ stata maestra di classe nella scuola steineriana “Il giardino dei cedri” per 13 anni e docente all’Università di Cassino. E’ membro del Gruppo di studio e ricerca sui DSA-BES, della SIAF e di Airipa Italia. E’ vice-presidente di Direttamente onlus con cui sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Giornalista professionista e scrittrice, ha lavorato nella redazione cultura e spettacoli dell’Unità per 12 anni e collaborato con numerose testate. Ha lavorato con l’Università di Roma “La Sapienza” all’archivio di Gerardo Guerrieri e pubblicato diversi libri tra cui Nuova scena italiana. Il teatro di fine millennio e Dove sta la frontiera. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Il suo ultimo libro è Le mani in movimento (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.

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