Piazza degli Eroi, di Thomas Bernhard. Se il presente è una terra straniera

Gli alberi sradicati che incombono sulla scena di "Piazza degli eroi" che abbiamo visto al Teatro Argentina di Roma. L'opera fu scritta da Thomas Bernhard nel 1988 (Foto: Lia Pasqualino)

Piazza degli Eroi, di Thomas Bernhard. Se il presente è una terra straniera

All’indomani del giorno della memoria, una riflessione intorno a una delle opere più contestate del celebre drammaturgo e scrittore austriaco, presentata per la prima volta in Italia. Fra memoria rimossa, echi di populismo, schegge di un Novecento che fatica a tramontare nell’allestimento di Roberto Andò

Fece tremare la città la prima di Heldenplatz al Burgtheater di Vienna, il 4 novembre 1988. Fu uno scandalo di fischi, striscioni, urla e insulti, fuori e dentro il teatro. Erano diretti contro Thomas Bernhard, autore della pièce, che sarebbe morto pochi mesi dopo, il 12 febbraio 1989. Non fu certo una sorpresa per il Nestbeschmutzer ( lo “sporcatore di nido”, difficile da tradurre in italiano, e il ben più pacato “esterofilo” di certo non rende il concetto) più contestato d’Austria, che difatti reagì nella maniera più coerente possibile, la sua: dando disposizioni affinché nessuna delle sue opere venisse più pubblicata e rappresentata in patria.

 

Thomas Bernhard
Il drammaturgo austriaco Thomas Bernhard (1931-1989) è stato fra i massimi autori letterari del Novecento non solo di lingua tedesca (Foto: Comedia.cat)

Lineare fino all’ultimo con la sua vita spesa, come disse lui stesso, ad “irritare e disturbare”, non con trasgressioni, ma per la spietatezza intellettuale e la lucidità con cui raccontava il suo tempo, quello di chi sotterrava in fretta la propria sporcizia, il passato, per farla rivivere sotto mentite spoglie. Per questo “Piazza degli Eroi”, che abbiamo visto al Teatro Argentina di Roma, è considerato il testo-testamento di Bernhard.

A portarlo in scena dopo trent’anni in Italia, paese che ha più di una cosa in comune con l’Austria, incluso l’essere capostipite del nazional-socialismo, ci ha pensato Roberto Andò che, come ha recentemente dichiarato, ritiene che questo sia «il momento storico-politico adatto, tra populismo e nazionalismo».  Sul palco, allestito con spartana efficacia da Gianni Carluccio, è uno spettro il cuore della messa in scena, quello del professore Joseph Schuster, intellettuale ebreo tornato a Vienna dopo 50 anni di esilio. Si è appena ucciso nella sua casa, poco prima che questa fosse venduta, gettandosi da una finestra che dà su Piazza degli Eroi, il luogo dove Hitler, nel 1938 annunciò alla folla acclamante l’Anschluss, l’annessione dell’Austria al Reich nazista. È in questa casa spettrale come sanno esserlo certe case della borghesia novecentesca, che si alternano la signora Zittell (la governante interpretata da una bravissima Imma Villa), le figlie Anna e Olga, il fratello Robert (Renato Carpentieri: magistrale), i parenti, la moglie Hedwig, che in quella casa dove le urla naziste del ’38 la tormentano non sarebbe mai voluta tornare.

 

Roberto Carpientieri, nel ruolo di Joseph, durante la rappresentazione di "Piazza degli Eroi",
Renato Carpentieri, nel ruolo di Robert, durante la rappresentazione di “Piazza degli Eroi”, il dramma di Thomas Bernhard allestito per la prima volta in Italia

Sono loro che raccontano Schuster, “questo fantasma” muto e presente, in carne, ossa e ossessioni, che suona Beethoven e Mozart al piano e osserva le tante paia di scarpe sparse, chiaro richiamo all’Olocausto a cui, con la famiglia, era miracolosamente scampato.

Quando Bernhard scrive e porta in scena l’opera, con la regia di Claus Peymann, sono passati 50 anni dal marzo 1938 fatidico per i suoi personaggi alto-borghesi travolti dall’Anschluss. Piazza degli Eroi è ambientata nel presente storico di chi assistette alla prima nel Burgtheater, nel novembre 1988, un anno prima del crollo dei primi pezzi del muro di Berlino. I personaggi si muovono, parlano, ricordano, raccontano del revanscismo neonazista, dell’ antisemitismo che sentono essere tornato, e che forse non è mai davvero scomparso. È nel 1988 che qualcuno, in una delle eleganti strade di Vienna, riconosce Olga Schuster come ebrea e per questo le sputa addosso. È una critica feroce, un j’accuse lucidissimo e concreto, basato su fatti, constatazioni, quello che l’autore di “Perturbamento” fa all’Austria, «rovinata dal cattolicesimo» che mai ha fatto i conti con il passato. D’altronde proprio in quel periodo Jörg Haider, antesignano dei populisti di destra, fa la sua ascesa politica, dapprima nel partito liberale Fpö, scegliendo per il suo primo congresso Branau am Inn, paese natale di Hitler.

 

Guarda il trailer di “Piazza degli eroi”, con la regia di Roberto Andò

Bernhard aveva capito, ancor prima che le ideologie si dissolvessero insieme alla Guerra Fredda, che il germe di un certo populismo era ancora lì, e stava rinvigorendosi, flirtando con le paure, le insoddisfazioni, il nazionalismo stava riprendendo possesso d’Europa. Per questo fu insultato, respinto, oltraggiato: quella sera al Burgtheater erano presenti diversi esponenti politici.

Dramma d’impianto checoviano con echi pinteriani, rimandi a Bergman e persino ad Eduardo, “Piazza degli eroi” è un volteggiare di spettri che non trovano pace, intrappolati in un passato che si è frantumato in infiniti presenti dai quali non c’è cura e di cui sono ostaggio. Non c’è il nazismo, ma il suo fantasma, che volteggia, e ritorna, come i protagonisti, tutti. È dello spettro Schuster, il morto a cui si deve la riunione famigliare, che parlano continuamente i “vivi”, coloro che sono rimasti. Lo rievocano, ricordando, raccontando, mettendo a posto scarpe, lucidando, pulendo, cucinando. Ma il fantasma che vediamo vivo sul palco muoversi tra i suoi comprimari, girare per le fredde stanze della casa dagli alti soffitti, è la coscienza che non può essere rimossa, lamento e sgomento consapevole, e che pure per i suoi famigliari rimane soltanto ulteriore motivo di stasi.

 

 

E difatti non è tanto la memoria o la sua mancanza a finire ad sotto la lente d’ingrandimento, perché tutti ricordano e nessuno è anzi capace di dimenticare. Però è un ricordare che cammina su se stesso, rimbomba sugli alti soffitti decadenti per poi posarsi sulle teste e sulle vite dei protagonisti incapaci di agire concretamente. Non è l’incapacità e la volontà di occultare, andando avanti come treni accecati, non è quindi quel “la guerra è finita” a tutti i costi, che faceva infuriare Gennaro – Eduardo in “Napoli Milionaria”.

Per i protagonisti di “Piazza degli Eroi” la guerra non è mai finita. E lo dimostra l’ultima, potentissima scena, d’impatto cinematografico, il grido munchiano, muto di terrore di Hedwig con la testa “infestata” dalle urla dell’adunata nazista.

 

"Piazza degli eroi" di Thomas Bernhard
In “Piazza degli eroi” di Thomas Bernhard tutti ricordano, nessuno è capace di dimenticare. Ma allo stesso tempo nessuno è capace di agire. Qui sopra una scena dell’allestimento di Roberto Andò (Foto: Lia Pasqualino)

 

Ma siamo in un “Giardino dei ciliegi” destrutturato: contrariamente ai flemmatici aristocratici cechoviani prima della rivoluzione, a nessuno dei protagonisti di “Piazza degli Eroi” passa per la testa di mettersi a lottare per la loro condizione, tantomeno per le loro proprietà (la casa viennese, il giardino espropriato di Robert). Altri giochi d’ombra e spettri negli echi bergmaniani dei ricordi di Robert, il fratello che pensava di morire per primo, rimandano all’infanzia agiatamente malinconica alla “Fanny e Alexander” dei due fratelli Schuster («Da bambini facevamo il teatro, quello vero, nel padiglione di casa…»). Richiamano, questi fantasmi vivi, lo sguardo di Christian Petzold, che, diversi anni dopo Bernhard, sul grande schermo ha saputo dare vita agli spettri della sua Germania post unitaria, giocando con i generi del cinema classico. È esemplare la messa in scena di Roberto Andò, tesa a rispettare la “verità” del testo con una sobrietà che la rende ancora più efficace, anche grazie ad una scenografia netta, senza fronzoli, che evoca squarci domestici di una casa che fu, o avrebbe potuto essere grandiosa ma rimbomba di traumi e vuoto.

 

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Altrettanto efficace “fuori” dalla casa, il parco fatto di alberi spogli, che pendono dal soffitto: siamo sicuri che i “rami secchi si potano” come vuole la vulgata?

Tagliare, sotterrare, far finta di nulla, andare avanti come automi come niente fosse. Gli interpreti sono tutti all’altezza della situazione: dalla già citata Imma Villa al fantasma pianista Vincenzo Pasquariello, da Betty Pedrazzi (la Hedwig che vediamo solo nell’ultima scena) a Silvia Ajelli e Francesca Cutolo, Anna e Olga, fino allo strepitoso Roberto Carpentieri – Robert. Partito dal Teatro Mercadante di Napoli, poi bloccato dalla pandemia e trasmesso su Rai5, lo spettacolo ha fatto recentemente tappa all’Argentina di Roma per proseguire allo Stabile di Torino.

 


Prossime repliche

Torino, 25-30 gennaio, Genova, 1-6 febbraio, Palermo, 8-13 febbraio, Brescia, 16-20 febbraio, Firenze, 22-27 febbraio, Salerno, 3-6 marzo.

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Valentina Gentile
Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.

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