“Embodying Pasolini”. Tilda Swinton dà nuova vita al cinema e ai nostri corpi

Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia ed Elsa Morante a Roma nel 1962 (Foto: Agenzia Dufoto, Courtesy Collezione Giuseppe Garrera)

“Embodying Pasolini”. Tilda Swinton dà nuova vita al cinema e ai nostri corpi

La grande attrice britannica ha presentato insieme a Oliver Saillard la performance dedicata a Pier Paolo Pasolini. Gli abiti disegnati da Danilo Donati per i film del grande intellettuale sono rinati sotto gli occhi degli spettatori. Una nuova vita per il grande cinema, la grande sartoria e la nostra fisicità

A Tilda Swinton, al Mattatoio di Roma la sera di venerdì 25 giugno, si deve un piccolo grande miracolo. Non solo e non tanto di aver riportato in vita, con un rituale magico di cui è capace il corpo dell’attore, i personaggi e le storie di Pier Paolo Pasolini attraverso le trame dei costumi disegnati da Danilo Donati. Con Embodying Pasolini, performance realizzata insieme a Olivier Saillard (storico della moda ed ex direttore del Musée de la Mode de la Ville de Paris, o Galliéra, molto conosciuto negli ambienti del fashion internazionale), la Swinton ha riconnesso – nello spazio delle lunghe quattro ore in cui si è dipanato il suo racconto – anche il corpo del pubblico.

 

 

Complici gli spazi ariosi del Padiglione 9 degli ex mattatoi capitolini, le mascherine, la campagna vaccinale (un incredibile successo del Lazio, soprattutto nella fascia meno anziana che in maggior numero assisteva ieri all’evento), quell’Altro, per mesi ipotetico untore, è stato riscoperto come un po’ meno nemico, solidale nell’emozione di partecipare al rito artistico officiato dall’attrice britannica, altrettanto eccitata nel contatto con quelle vestigia cinematografiche che attraverso il suo tatto hanno ripreso vita.

 

L'attrice inglese Tilda Swinton insieme al designer francese Olivier Saillard
L’attrice inglese Tilda Swinton insieme al designer francese Olivier Saillard

I tesori preziosi delle sartorie romane

Gli archivi di molte sartorie cine-teatrali romane conservano, opportunamente preservati, tesori sconosciuti ai non addetti ai lavori, costumi che si sono impressi nell’immaginario collettivo in maniera profonda. Su tutte, la sartoria Tirelli, dove sono nati molti dei capolavori di Visconti e un numero impossibile da elencare tutto di pellicole da 50 anni a questa parte, e la sartoria Farani a cui si devono quasi tutti i costumi di Danilo Donati, costumista premiato con due Oscar per Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli e per Il Casanova di Federico Fellini, rispettivamente nel 1969 e nel 1977. A Donati, come ha ricordato Olivier Saillard, siamo debitori. Così il designer ha definito infatti la sua arte:
«Una sperimentazione estrema e raffinata attraverso l’uso di materiali come la lana, il cotone, le fibre naturali, tra citazioni pittoriche e tripudi di velluti e frange, o forme a cartucciera come per i soldati di Porcile».

 

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Camminare nei magazzini di quelle storiche sartorie, tra le grucce che innumerevoli tengono sollevati quei costumi, provoca vigorosa commozione in chiunque sia anche solo un appassionato di cinema: il crocchiare del taffetà, il frusciare della seta, il tintinnare di decori antichi è roba da feticisti della moda, cultori del Bello con spiccata tendenza al decadentismo. Eppure, protetti da carta velina, su quelle stampelle restano inanimati. Ammirarli su manichini mitiga poco il sentimento mortifero che assale quei tessuti privati del calore dei corpi per cui sono stati concepiti.

I nostri corpi, di nuovo vivi

Swinton, a Roma, in questa città che ha definito “senza inizio e senza fine”, con l’aiuto caparbio di Clara Tosi Pamphili, vicepresidente di Palaexpo e mente di Romaison (il progetto iniziato con una mostra all’Ara Pacis nel novembre 2020 volto a evidenziare il ruolo delle più prestigiose sartorie romane di costume), ha spazzato via il tempo e ha ridato energia ai costumi di DecameronI racconti di CanterburyIl fiore delle Mille e una notte, fino a Salò o le 120 giornate di Sodoma. Ha raccontato alla stampa in conferenza l’attrice:

 

«Pasolini, poeta politico senza tempo e per questo moderno. È l’archetipo dell’artista moderno, un artista sociale, il cui tema fondamentale è la dignità dell’essere umano. Credo sia molto importante che le nuove generazioni lo conoscano. Nei suoi film non c’è gender, ma fluidità. Le persone mangiano, fanno sesso, vivono. Pasolini cerca eternamente l’armonia tra la solitudine, la dignità dell’essere umano e la società. Per me è un grande onore lavorare su qualunque cosa lo riguardi. È supersonico e intergalattico».
Attraverso 40 costumi dei suoi film, l’attrice ha creato una drammaturgia inedita, “svuotata” dagli attori e colmata invece dalla sua carne, provando e riprovando mantelli, abiti, tuniche, cappelli. Ha esplorato l’assenza e l’ha riempita di nuova fisicità.

 

Guarda un frammento dello spettacolo (video a cura di Eurocomunicazione)

Rivestire il passato, per un nuovo presente

Un racconto che dall’abito verde di Geoffrey Chaucer, padre della letteratura inglese, indossato dallo stesso Pasolini ne I racconti di Canterbury, arriva all’abito anni Trenta di raso bianco della Signora Vaccari, indossato da Hélène Surgère in Salò o le 120 giornate di Sodoma, fino alla giacca di Totò in Uccellacci e uccellini.Attorno, lo spettatore in piedi ha partecipato in carne e ossa, dopo mesi di riunioni su zoom, spettacoli in streaming, film su piattaforme, aperitivi su skype, a una sorta di palingenesi laica. Potere del cinema, potere del teatro, potere dell’arte tutta.

 

 

Da sfondo, scenografia silenziosa ma presente, le forme di legno dei cappelli del Laboratorio Pieroni, celebre azienda artigianale che dagli anni Quaranta realizza cappelli, copricapo e corazze per cinema e teatro di tutto il mondo. Già perché Pieroni, come Farani, Tirelli, ma anche Annamode, Peruzzi, Rancati, lavorano non solo e non tanto col cinema italiano, ma sono conosciuti, apprezzati, ricercati in tutto il mondo: porzione importante di quell’eccellenza italiana che nei materiali e nella manifattura artigianale trova da sempre la sua cifra stilistica. Romaison, voluta da Clara Tosi Pamphili, è loro che vuole omaggiare:
«Con Embodying Pasolini – ha aggiunto la curatrice – l’archivio diventa opera d’arte, in una visione di Roma per un’arte contemporanea, legata all’artigianato e alla tradizione, ma che guarda all’avamposto». Roma, senza inizio e senza fine, dove per una sera un’attrice inglese, nello “stabilimento di mattazione” in disuso, ha riconnesso il passato con il presente e ridato fiducia al corpo.

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Francesca Romana Buffetti
Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.

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