Quel giorno tu sarai. Solo la memoria rende liberi
È in sala l’ultimo film del regista Kornél Mundruczó e della sceneggiatrice Kata Wéber. I due autori ungheresi, dopo aver conquistato Venezia con Pieces of Woman, hanno affascinato il pubblico a Cannes con una nuova storia sul trauma e sulla sua elaborazione
Evolution, tradotto in italiano col titolo Quel giorno tu sarai, nel tentativo di rendere nella nostra lingua il senso di cambiamento insito nel sostantivo inglese, conferma l’abilità di Kornél Mundruczó e Kata Wéber – lui alla regia, lei alla sceneggiatura – nel raccontare piccole grandi storie di forte impatto emotivo. E non a caso Martin Scorsese figura ancora una volta, dopo il bel Pieces of a woman, che è valso alla sua protagonista, Vanessa Kirby, una Coppa Volpi a Venezia e una candidatura agli Oscar, come produttore esecutivo del film.
«Ogni nuovo film di Mundruczó e Wéber arriva come un salutare shock per gli spettatori e per chi fa cinema: si tratta di due autori che non smettono mai di avventurarsi in territori inesplorati. Con Quel giorno tu sarai riescono a drammatizzare il movimento stesso del tempo, il modo in cui ricordiamo e il modo in cui dimentichiamo»,
ha spiegato il regista italo-americano. Merito della scrittura di Wéber e degli ormai celebri movimenti di macchina scelti da Mundruczó che si cimenta ancora, supportato da Yorick Le Saux (autore della fotografia celebre per le sue collaborazioni con François Ozon, Olivier Assayas e Luca Guadagnino), in lunghi piani sequenza ai limiti del virtuosismo.
Guarda il video di “Quel giorno tu sarai”
Diviso in tre episodi, Quel giorno tu sarai affronta temi come l’identità, il legame tra la propria storia personale e la Storia, la sopravvivenza e l’Olocausto, ma soprattutto il trauma e la sua elaborazione. «Era importante per me ricordare che c’è una generazione che stiamo perdendo – ha detto Kata Wéber – una generazione che è stata testimone di quegli eventi. È la nostra ultima occasione per parlare con queste persone del loro passato».
Il primo episodio, Éva, prende spunto da un romanzo di Imre Kertész, scrittore ungherese premio Nobel per la letteratura 2002 sopravvissuto ad Auschwitz e Buchenwald, in cui si racconta dei tanti bambini ritrovati nei campi dalla Croce Rossa polacca, incaricata dall’esercito russo di ripulire le baracche e, soprattutto, le camere a gas. Attraverso un unico piano sequenza, senza mai staccare l’obiettivo dalla messa in scena, il regista accompagna l’occhio dello spettatore nella sempre più febbrile pulizia della “doccia”, fino al fortuito ritrovamento della piccola Eva.
Guarda il video di “Pieces of a woman”
Il risultato di quel trauma è il cuore del secondo episodio, Léna, anche stavolta girato in un’unica inquadratura: un piano sequenza di 36 minuti, a cui è stata cucita solo la parte finale, quando l’appartamento viene inondato. Quell’acqua che insperatamente ha salvato Éva, ora, una volta anziana e sulla strada della demenza, inonda il suo appartamento, i suoi ricordi, e schiaccia sua figlia Léna. Qua Wéber, per sua stessa ammissione, ha attinto alla propria esperienza personale, figlia di madre ebrea ungherese, morta durante la lavorazione del film.
«Il fatto che mia madre abbia davvero cinque certificati di nascita e siano tutti falsi mi ha sempre causato molti interrogativi e il nostro trasloco in Germania ha comportato domande ulteriori, trattandosi di temi considerati ancora delicati nella società tedesca», ha chiosato la sceneggiatrice.
Allo stesso tempo, l’episodio allude alla decisione di Budapest di bloccare le restituzioni e le indennità di compensazione ai sopravvissuti della Shoah per cavilli burocratici. Echeggia qui il confronto superbo tra Olivia Colman e Anthony Hopkins in The Father, diretto daFlorian Zeller: Lili Monori e Annamária Láng, madre e figlia, non sono da meno dei colleghi britannici, regalando al pubblico una scena a due di potente commozione e, allo stesso tempo, offrendo il là per riflettere sul persistere di un trauma attraverso le generazioni.
Strascichi che arrivano fino a Jonas, l’adolescente figlio di Léna, protagonista del terzo episodio, e fino a Berlino, dove i due si sono trasferiti: qui, atti di bullismo a suo carico celano in realtà un mai sopito antisemitismo.
Di contro, il ragazzo fatica a rimanere coinvolto dalle tradizioni cristiane tedesche e trova invece in Yasmin, di origini turche, la compagna ideale. Sulle rive della Sprea, i due ragazzi si scambiano il primo bacio: stavolta l’acqua non scroscia, non lava e non incombe, ma scorre placida, attraversando generosa diverse regioni.
E allora, se è vero che, come scriveva Primo Levi (in uno degli articoli datati tra il ’55 e l’87 (raccolti prima in Opere, del ’97, e poi nel volume L’asimmetria e la vita del 2002, sempre per Einaudi), «Auschwitz è fuori di noi, ma è intono a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia», è altrettanto vero, come sembra voler suggerire Quel giorno tu sarai, che l’Europa può liberarsi del veleno che ha contagiato il suo passato solo attraverso un’alleanza tra le etnie. Malgrado le difficoltà insite nell’integrazione, è sempre più urgente un confronto tra diverse culture, cullato magari dai sogni e dalle speranze che solo la giovinezza possiede.
Saperenetwork è...
- Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.
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