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(Foto: Markus Spiske, pexels)

Climate change, che fare? Un’ipotesi di sequestro

Oltre a ridurre le emissioni da fonti fossili e ad adottare pratiche sostenibili, per contrastare il riscaldamento globale è necessario diminuire anche la quantità di gas climalteranti già presenti in atmosfera. Una rassegna delle possibili soluzioni
29 Settembre, 2023
6 minuti di lettura

In questa rubrica si è parlato solo di comportamenti più “sobri” in termini di consumo delle risorse per ridurre l’emissione di CO2 (o dovremmo meglio dire diossido di carbonio) in atmosfera. Ponendoci il problema opposto, cioè come ridurre la quantità di CO2 attualmente già presente, dobbiamo pensare al sequestro della CO2, cioè a qualcosa che sia un “pozzo di carbonio” (carbon sink) perché la CO2 da sola non se ne va.

Sequestro “tecnologico”

Ora le tecnologie per rimuovere la CO2 esistono, anche se non ancora mature e convenienti. Sono costose, richiedono l’uso di ulteriore energia, e non si ha una chiara valutazione dei costi/benefici e della durata di immagazzinamento. La rimozione della CO2 dall’atmosfera è un processo noto come “cattura e stoccaggio della carbonio” (CCS, Carbon Capture and Storage) o “cattura e utilizzo del carbonio” (CCU, Carbon Capture and Utilization). Si parla quindi di rimuovere la CO2 catturandola, trasportandola e iniettandola in pozzi petroliferi o metaniferi esausti che si trovano nei fondali marini (spesso si tratta dei giacimenti svuotati dalla stessa multinazionale che propone l’immagazzinamento) sperando di sigillarcela per sempre (?). È una tecnica finora dimostrata nei laboratori, in impianti pilota e nelle centrali elettriche e industriali del mondo. Ma questo procedimento implica assorbimento di energia:

quali sono i costi e le garanzie a lungo termine che la CO2 resti sottoterra? In questo modo, compagnie petrolifere e industrie sarebbero responsabili dello stoccaggio a tempo indeterminato.

Metano e altre catastrofi

Fra l’altro, in quella che si indica come “l’impronta di carbonio” dell’umanità, la CO2 non è l’unico gas serra da considerare. Ad esempio, il metano è un gas con un effetto climalterante fino a 84 volte superiore all’anidride carbonica anche se la sua permanenza nell’atmosfera è più breve in termini di anni. L’impronta di carbonio viene valutata in tonnellate di CO2 equivalente (prendendo come riferimento per tutti i gas serra l’effetto associato al biossido di carbonio, calcolato pari ad 1), calcolate lungo l’intero ciclo di vita del sistema in analisi e quindi includendo il metano (CH4), l’ossido nitroso (N2O), gli idrofluorocarburi (HFC), i perfluorocarburi (PFC), l’esafloruro di zolfo (SF6). Ad esempio, a ogni italiano è attribuita un’impronta di carbonio pro-capite pari a circa 7 tonnellate (2021), ad uno statunitense medio circa 14,3 t, a un cinese 8,7 t, ma i cinesi sono circa 1,4 miliardi e quindi la Cina è il paese che emette più CO2 al mondo.

 

Uno schema del sequestro di carbonio CCS – Carbon Capture and Storage (Immagine: Flickr)

Contrastare il problema a monte

A parte il pensare che la tecnologia ci salverà, il fatto che si stiano cercando soluzioni al sequestro della CO2 non autorizza a puntare solo su questa salvifica (!?) tecnologia per risolvere il problema del cambiamento climatico. È essenziale innanzitutto ridurre drasticamente le emissioni di CO2 provenienti da fonti fossili e adottare pratiche sostenibili per limitare ulteriori emissioni. In un contesto “risparmioso” la rimozione della CO2 può essere vista come un complemento, da valutare quanto significativo, per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni a lungo termine e gli obiettivi di mitigazione del cambiamento climatico.

Ancora prima, è assolutamente necessario smettere con la deforestazione delle foreste primarie (Amazzonia, Indonesia, Africa). Non ha senso da un lato abbattere le foreste e dall’altro riforestare!!!

Quindi, non approfondiamo l’argomento del sequestro di carbonio, anche perché è abbastanza controverso, implica l’uso di tecnologie importanti e non ci sono soluzioni valide per ogni stagione. Esiste però un metodo di “sequestro di CO2”, letteralmente terra terra, alla portata di tutti. In particolare, parlo di “Rimboschimento e afforestazione, o riforestazione, quando si ripristinano boschi abbattuti” poiché piantare alberi e realizzare boschi può essere un metodo efficace ed economico per catturare la CO2 atmosferica. Il costo varia a seconda delle condizioni e delle dimensioni del progetto, ma può essere relativamente basso rispetto ad altre tecnologie, e comunque è più facilmente realizzabile senza l’impiego di strumenti complessi, anzi, come vorrei mettere in evidenza in seguito, è alla portata di tutti i cittadini.

La formula chimica delle foreste

Gli alberi assorbono la CO2 durante il processo di fotosintesi. La fotosintesi clorofilliana è un processo biochimico: da 6 molecole di anidride carbonica + 6 molecole di acqua si ottiene 1 molecola di glucosio + 6 molecole di ossigeno, la formula è:

6 CO2 + 6 H2O → C6H12O6 + 6 O2

Durante la fotosintesi clorofilliana, le piante assorbono quindi sei molecole di anidride carbonica e sei molecole di acqua e le trasformano in una molecola di glucosio, che serve per la loro nutrizione, e in sei molecole di ossigeno, che viene rilasciato nell’atmosfera. Le sostanze nutritive servono per le funzioni della pianta, e per aumentarne le dimensioni, quindi costituire radici, tronco, rami, foglie. In tal modo, per effetto della fotosintesi, un metro cubo di legno deriva dall’assorbimento di 1 tonnellata di CO2. Questa quantità di CO2 viene sottratta all’atmosfera fino a quando il legno marcisce o viene bruciato, e in tal caso vi ritorna. 

 

Rimboschimento (Foto: Andreas, pexels)

 

Non è univoco calcolare quanta CO2 assorbe un albero. Dipende da molti parametri, tra cui specie, età, suolo, clima e contesto in cui vegeta (città, bosco, campagna). Dai dati che ho trovato, un’essenza arborea di medie dimensioni che ha raggiunto la propria maturità e che vegeta in un clima temperato in un contesto cittadino, quindi stressante, assorbe in media tra i 10 e i 20 kg CO2 all’anno. Se collocata invece in un bosco o comunque in un contesto più naturale e idoneo alla propria specie, assorbirà tra i 20 e i 50 kg CO2 all’anno. Inoltre, alcuni alberi crescono più velocemente e quindi assorbono CO2 più rapidamente, mentre altre specie di alberi crescono più lentamente ma vivono di più, e quindi assorbono più CO2 a lungo termine. È quindi difficile stimare quali alberi mediamente assorbono più CO2 anche se le foreste con varie specie (foreste miste) sono da privilegiare in termini di assorbimento.

230 alberi per italianə

La valutazione dell’assorbimento di CO2 da parte degli alberi è importante anche in tutte quelle operazioni di “compensazione delle emissioni”, che possono rappresentare anche (almeno in parte) delle operazioni di greenwashing da parte delle aziende, e quindi stimare l’assorbimento in 20 o in 30 kg/anno assorbiti ha un’importanza rilevante in termini di costi per la compensazione. Insomma, considerando anche una media di 30 kg/anno di CO2 assorbita per albero, per assorbire la CO2 che viene attribuita ad ogni italianə (7t/anno, ammettendo che questa impronta sia dovuta solo alla CO2) occorrerebbe avere circa 230 alberi che “lavorano” per ognuno di noi. Su scala globale, secondo la IEA (International Energy Agency) nel 2021 le emissioni totali di anidride carbonica sono arrivate a 36,3 miliardi di tonnellate, quindi pari a 4,5 t/abitante, includendo anche gli affamati poco energivori in Africa e altrove. Per cui, occorrerebbero circa 1200 miliardi di alberi, e anche detraendo quanto già gli alberi assorbono e riforestando tutte le aree libere del pianeta, non riusciremmo ad assorbirla. E quindi, è riforestare è inutile? Non è affatto detto, in ogni caso ogni albero è un contributo, anche se piccolo, al sequestro della CO2. Vediamo altri vantaggi delle riforestazione.

Il salvifico verde in città

A parte il discorso dell’assorbimento della CO2, la riforestazione ha un grande senso in particolare nelle zone urbane in quanto gli alberi forniscono servizi cosiddetti “ecosistemici”. Infatti, Inizio modulole aree verdi in città riescono a “migliorare il clima locale” riducendo l’effetto delle “isole di calore”, cioè l’aumento locale delle temperature rispetto alla campagna, dovuto alla cementificazione del territorio, al traffico ed alle emissioni inquinanti, e anche all’uso dell’aria condizionata, che raffredda l’interno delle abitazioni ma scarica il calore all’esterno, creando un circolo vizioso che aumenta ulteriormente la temperatura cittadina. Piantando molti alberi in città si creano zone d’ombra che abbassano le temperature, addirittura fino a 6 – 7 °C, migliorando il confort e riducendo l’uso dei condizionatori.

Oltre alla riduzione di temperature per l’ombreggiamento, gli alberi, per raffreddarsi, espellono acqua che, evaporando, assorbe calore dall’ambiente circostante, riducendo la temperatura anche fino a 7 – 8 °C.

Un ulteriore vantaggio risiede nell’assorbimento di sostanze inquinanti nocive come ossido e biossido di azoto e biossido di zolfo, oltre alle emissioni di particolato (ricordate i PM10 o PM2,5) da parte di alberi e arbusti, che “filtrano l’aria” riemettendo ossigeno nell’ambiente. Le piante agiscono anche sia come assorbimento delle acque piovane (quindi rallentando gli effetti di piogge forti) sia come depuratori delle acque superficiali perché sono in grado di filtrare alcune sostanze nocive contenute nelle acque piovane, restituendole più purificate. Aumentando il verde urbano si potrebbe quindi “migliorare” anche il lavoro dei sistemi di depurazione necessari in molte aree urbane. Una prossima pillola proverà a dare alcune indicazioni operative insieme a riferire su esperienze significative di riforestazione urbana.

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