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Un bambino in una classe
Quando si parla di merito, la scuola italiana tiene conto delle condizioni di partenza dei singoli alunni? Ci sono le condizioni, economiche e strutturali, per rimuovere davvero gli ostacoli che portano ad un pieno sviluppo, come previsto dalla Costituzione?

Istruzione e merito

Il governo Meloni ha dato un nuovo nome al Ministero dell'Istruzione, che si chiamerà dell'istruzione e del merito. Ma che significa "merito" in un contesto che non solo non rimuove gli ostacoli, ma non tiene conto delle condizioni di partenza, delle diversità, delle attitudini, e quindi delle differenti risorse?
17 Novembre, 2022
5 minuti di lettura

Fra i nuovi nomi dei Ministeri questo è – mi sembra – quello che ha ricevuto più critiche, puntualizzazioni, riflessioni. Sul ‘Merito’ ovviamente, non sul nome Ministero dell’Istruzione a cui siamo da anni abituati. Ma quando si ragiona sui nomi da dare, a istituzioni come a persone, è bene analizzarli assieme. Istruzione quindi anzi Pubblica Istruzione fino a qualche anno fa, quando Letizia Moratti e Silvio  Berlusconi abolirono il riferimento al pubblico. Eppure a livello internazionale il nostro ministero si presenta come Ministry of Education, e in Spagna abbiamo il Ministerio de l’Educaciòn, in Francia de l’Education, e così in diverse parti del mondo.

 

Valditara
Giuseppe Valditara, a capo del nuovo Ministero dell’Istruzione e del Merito del Governo Meloni (Foto: Wikipedia)

Educare, istruire

Ma se il linguaggio dà forma al mondo che si vuole costruire, le due parole non sono intercambiabili, anche se spesso non ce ne accorgiamo, e fanno riferimento a processi diversi:

Istruire – nel vocabolario Zanichelli: in-struere, (costruire sopra) far acquisire le nozioni di una disciplina, di un’arte, di un’attività) prevede un ‘istruttore’ (di guida, di sci, di uso dei programmi informatici), che insegni le basi tecniche, basi di cui è facile ‘valutare (non misurare!) la ‘padronanza’, non il merito. Così la patente di guida si ottiene rispondendo ai quiz – con risposte assolutamente definite – e dimostrando in pratica che si sa guidare, mentre si passa da una classe all’altra di sci, o di nuoto, dimostrando che si sanno usare le tecniche apprese. Il campione di Formula Uno, o di sci o di nuoto, deve superare altre prove, dimostrare di ‘meritare’ la medaglia o il riconoscimento. . 

Educare (da e-ducere, condurre, portare; guidare e formare qualcuno sviluppandone le facoltà e le qualità … in base a determinati principi) ha tutt’altro significato e richiede altre competenze, non solo negli educandi ma soprattutto negli educatori.  Le educazioni – scientifica, ambientale, artistica, civica … – non hanno come obiettivo solo quello di insegnare una tecnica o un insieme di nozioni ma di scoprire, anche attraverso le nozioni e le tecniche, nuovi modi di vedere il mondo, di analizzarne la complessità, di apprezzarne la bellezza. 

 

Letizia Moratti
Letizia Moratti, ex sindaca di Milano ed ex Presidente della Rai, ora candidata Presidente alla Regione Lombardia con la nuova destra-centro di Renzi e Calenda. È stata Ministra dell’Istruzione, da allora non più “pubblica”, nel governo Berlusconi II (Foto:Wikipedia)

Il linguaggio dà forma al mondo e alla Storia

Educare, diversamente da istruire, richiede di aprire la strada al nuovo, al diverso, al possibile, utilizzando anche gli strumenti che l’istruzione fornisce, ognuno a suo modo, secondo le proprie possibilità e i propri interessi. Educare vuol dire allora anche ‘seminare interessi e competenze’ e ‘curarne la crescita’. E allora, perché per anni abbiamo avuto un Ministero della Pubblica Istruzione? Non sono una storica della scuola, ma mi interessa soprattutto il ‘pubblica’, che penso sia nato agli inizi del’900, quando il finanziamento della scuola dell’obbligo  è stato assunto dallo Stato per poterla rivolgere a tutti – senza differenza di ceto o di credo religioso. Un’istruzione quindi, rivolta al ‘leggere, scrivere e far di conto’ che tutti i cittadini della nuova Nazione dovevano padroneggiare, e per le quali – come per la patente di guida – era abbastanza facile ‘valutare’ la padronanza. Durante il fascismo – dal 1929 – il Ministero divenne il Ministero dell’Educazione Nazionale, e questa volta la parola ‘nazionale’ chiarisce di quale educazione si tratti: non sono più tecniche da padroneggiare ma condivisione di valori, soprattutto ‘esibiti’ e, obbligatoriamente, condivisi. Forse per questo la nostra Costituzione Repubblicana ritornò al più neutro, e meno ambizioso,” Istruzione”, in un contesto, quello del dopoguerra, in cui l’analfabetismo era ancora diffuso e la scuola un lusso per molti. Istruzione Pubblica, quindi, pagata dallo stato, e obbligatoria. 

 

 

Il Ministero della Pubblica Istruzione a Viale Trastevere a Roma
La sede del Ministero della (un tempo) Pubblica Istruzione, a Roma, in Viale Trastevere

Il merito, un punto di partenza

E il merito? Sempre dal Vocabolario Zanichelli abbiamo: «essere degno di avere, ottenere, ricevere …., in senso positivo ma anche negativo». Ma, allora, per giudicare se ‘si è degni’ non basta il raggiungimento di conoscenze e abilità chiaramente definite ma occorre tener conto del punto di partenza. È come se in una maratona alcuni dovessero correre i 42 km ma per altri ne bastassero 10 o 20. Ed è proprio quello che accade nella scuola: non solo non sono uguali le condizioni iniziali, ma anche l’allenamento e il sostegno durante la corsa possono essere diversi. Che questa sia la situazione non solo della scuola ma della Società Italiana, non ci sono dubbi: basta guardare ai ‘meriti’ delle persone che hanno raggiunto il successo – almeno quello mediatico – o ai numeri dei nostri ‘cervelli in fuga’, visto che, anche quando Scuola e Università li formano e li premiano, è la nostra società che non fa posto ‘a chi merita’.  

 

Un gruppo di ragazzi studiano insieme
Introdurre il concetto di merito, inserendolo nella dicitura del Ministero dell’istruzione, pone dei quesiti. Chi e come giudica chi è meritevole? Tenendo conto di quali punti di partenza?

Nord, Sud, ostacoli e differenze

Ma rimanendo all’interno della Scuola, come la Scuola in Italia tiene conto del punto di partenza? Delle condizioni iniziali? Come cura l’applicazione dell’articolo 3 della Costituzione che impone di rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della personalità? Se si analizza la distribuzione degli asili nido, ci si rende conto che già ‘in partenza la scuola non è uguale per tutti. Da un recente rapporto presentato dall’associazione Con i bambini:

«A fronte di un centro-nord che ha quasi raggiunto l’obiettivo europeo (32%) e dove in media 2/3 dei comuni offrono il servizio, nel Mezzogiorno i posti ogni 100 bambini sono solo 13,5, e il servizio è garantito in meno della metà dei comuni (47,6%). La differenza è di 18,5 punti. A Bolzano quasi 7 posti ogni 10 bambini. A Catania e Crotone quasi 5 su 100 bambini».

E le differenze si aggravano con gli anni: mentre nelle prove internazionali Iea la differenza di risultati tra Nord e Sud nella scuola primaria è contenuta, le differenze aumentano andando avanti negli studi, come mostrano le prove Iea di terza media e quelle Pisa rivolte ai quindicenni. Interessante, parlando di ‘merito’ riconosciuto dal nostro Sistema dell’Istruzione, come questo dato sembra essere in contrasto con i dati relativi ai voti di Maturità: in questo caso infatti sono gli studenti del Sud ad essere giudicati ‘più meritevoli’ dalle Commissioni d’Esame;  con differenze nelle percentuali dei 100 e dei 100 e Lode molto elevate. E questo da anni. 

 

Diversità, evoluzione

E allora chi e come valuta il merito? Anche perché le differenze nei voti di Maturità assegnati nelle diverse Regioni, non si registrano tra gli studenti di scuole professionali che raccolgono ragazzi spesso con difficoltà culturali ed economiche, ma tra gli studenti dei Licei con alle spalle famiglie che – grazie al 100 o al 100 e Lode – potranno ottenere i vantaggi ‘riservati ai meritevoli’ previsti dalle Università.  Per un prossimo cambiamento di nome – speriamo a breve – si potrebbe suggerire Ministero dell’Educazione Planetaria  (come suggerisce Edgar Morin) e delle Pari Opportunità. E cominciare a prendere in considerazione le tante differenze tra i nostri bambini e tra i nostri giovani, non per eliminarne alcune, ma per riflettere sul loro valore, e sul contributo che ogni ‘diversità’ – fisica o intellettuale – può dare all’evoluzione verso un futuro abitato da un’umanità in equilibrio con il proprio Pianeta. 

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