Cop16, passi avanti su aree marine e comunità indigene, ma poche risorse

Il momento in cui è stata approvata la costituzione di un organismo permanente dei popoli indigeni alla Cop16 di Cali (Foto: YouTube, @aljazeeraenglish)

Cop16, passi avanti su aree marine e comunità indigene, ma poche risorse

La 16esima Conferenza delle parti della Convenzione sulla Biodiversità si è conclusa con alcuni accordi significativi ma senza deliberare le modalità di finanziamento per proteggere il 30% degli oceani e il 30% delle terre emerse

La Cop16 sulla biodiversità che si è chiusa lo scorso 2 novembre a Cali, in Colombia, ha registrato alcuni interessanti avanzamenti, accanto al fallimento sul piano degli investimenti finanziari. Dopo 8 anni di negoziati, è stato approvato l’accordo per identificare e proteggere le Ecologically or Biologically Significant Marine Areas (EBSA – Aree Marine di Importanza Ecologica). Si tratta di un passo importante nell’attuazione del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (GBF), programma adottato alla COP15 nel dicembre 2022, che stabilisce quattro obiettivi per il 2050 e 23 obiettivi per il 2030 per quanto riguarda la riduzione delle minacce alla biodiversità, nel rispetto delle necessità delle comunità. È stato infatti costituito un gruppo internazionale di esperti, che avrà il compito, sulla base di criteri scientifici, di identificare le EBSA, al di fuori della giurisdizione di qualsiasi Paese, anche in alto mare, in linea con l’obiettivo di conservare entro il 2030 il 30% delle aree oceaniche, che sono fonte di sostentamento e fondamentali regolatori del clima. Nel processo sarà promossa la partecipazione attiva delle comunità locali, delle popolazioni indigene, di donne e giovani all’analisi e al percorso decisionale. Sono stati anche previsti workshop scientifici e tecnici per scienziati e rappresentanti delle comunità per adeguare le descrizioni delle EBSA, con il sostegno finanziario di Germania, Canada, Norvegia e altri. Secondo il Wwf international:

«è stata riconosciuta l’interconnessione tra biodiversità e azione climatica, aprendo ulteriormente la strada alla protezione degli ecosistemi che sostengono le persone e il pianeta».

Il Cali Fund

Il 2 novembre, una notte dopo la fine ufficiale dei lavori, i rappresentanti dei 196 paesi hanno deliberato l’istituzione di un nuovo fondo dedicato alla condivisione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle informazioni sulla sequenza digitale (DSI – Digital Sequence Information) provenienti dalle risorse genetiche. Le aziende che utilizzano DSI provenienti da risorse della biodiversità genetica nei loro prodotti (cosmetici, sementi, farmaci eccetera) dovrebbero versare volontariamente una parte dei loro profitti o ricavi nel Cali fund. Il 50% del fondo sarà assegnato alle popolazioni indigene e alle comunità locali. Le stesse che, per millenni, hanno preservato la biodiversità degli ecosistemi. Secondo Wwf international «Nonostante l’intensa attività di lobbying e l’alto numero di rappresentanti di Big Pharma e Big Agribusiness, ma in mezzo a una forte spinta da parte di una società civile altrettanto determinata, i lobbisti aziendali non sono riusciti a bloccare un accordo rivoluzionario sulla responsabilità delle imprese di pagare per la protezione della natura, limitando la loro capacità di continuare a trarre profitto dalla natura gratuitamente».

Voce alle comunità indigene

I paesi riuniti nel summit hanno concordato di istituire un organismo permanente di rappresentanza per i popoli indigeni, incluse le popolazioni afrodiscendenti. Ciò consentirà loro di partecipare alle decisioni future sulla conservazione della natura e sulle regole sull’uso delle informazioni genetiche. Le popolazioni native potranno, inoltre, avere a disposizione maggiori strumenti per raccogliere risorse, condividere conoscenze e proteggersi da attacchi esterni.

Il mancato accordo sui finanziamenti

Sul fronte degli accordi sui finanziamenti per la biodiversità, si è invece registrata l’assenza di impegni finanziari da parte dei Paesi ricchi. Per proteggere il 30% della biodiversità entro il 2030 sono invece urgentemente necessarie risorse economiche e finanziamenti. Solo pochi Stati, tra cui manca l’Italia, ha annunciato nuovi contributi a favore del Global Biodiversity Framework Fund (Gbff) che ora conta impegni per l’esigua cifra di 407 milioni di dollari. Wwf international ha commentato che «i finanziamenti pubblici dei governi ricchi devono arrivare, il prima possibile. Come raggiungere questo obiettivo è lasciato come compito a casa per i leader mondiali, in occasione della prossima COP sulla biodiversità, in particolare per coloro che si riuniranno a Baku, in Azerbaigian, la prossima settimana alla COP29 delle Nazioni Unite».

La richiesta è quella di una più forte «collaborazione tra le convenzioni sul clima e sulla biodiversità, nonché un migliore monitoraggio delle fonti di finanziamento per evitare il doppio conteggio dei finanziamenti per la natura e il clima».

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Francesca Santoro
Francesca Santoro
Laurea in comunicazione, specializzazione in marketing e comunicazione nel Non Profit. Per 15 anni mi sono occupata di comunicazione e formazione nell’ambito del consumo critico e del commercio equo, trattando temi quali l'impatto delle filiere a livello locale e globale su persone, risorse, territori, temi su cui ho anche progettato e condotto interventi nelle scuole. Dal 2016 creo contenuti online per progetti, associazioni, professionisti.

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