Un uomo su un ponte bombardato in Ucraina
Operazione Colomba nasce nel 1992, all'epoca del conflitto yugoslavo. I volontari del gruppo sono adesso attivi in Ucraina

Quant’è lontana la pace? Intervista ad Alberto Capannini di Operazione Colomba

Mentre ci stiamo drammaticamente assuefacendo anche alle notizie sulla guerra in Ucraina, l'ipotesi di una tregua si affievolisce sempre di più. Il responsabile del Corpo nonviolento di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII ci ha spiegato il suo punto di vista
20 Luglio, 2022
2 minuti di lettura

«L’umanità fa la guerra da quando ne abbiamo notizia e non possiamo dire che abbia mai portato risultati positivi. Come quando si cerca di migliorare un farmaco, bisogna trovare strade alternative. La guerra lascia uno strascico di dolore, di impossibilità di riprendere una vita normale, e se pensiamo solo alle guerre in Siria e in Ucraina lascia anche milioni di rifugiati. È giunto il momento di incominciare a sperimentate strade differenti».

Con queste parole Alberto Capannini, responsabile di Operazione Colomba, Corpo nonviolento di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, spiega il suo punto di vista sulla guerra che sta ormai avendo delle ripercussioni non solo in Europa.

Quali sono le vostre principali iniziative in Ucraina?
Le iniziative che facciamo in Ucraina sono di tre tipi: la prima è incominciata con la richiesta di evacuazione, circa 800 persone per lo più in condizioni di fragilità, disabili, persone senza famiglia. La seconda iniziativa è stata quella di portare aiuti. E infine quella di essere presenti sul territorio, come nel caso di Mykolaïv, situata a circa 140 km da Odessa, città in cui bombardano tutti i giorni.

 

Alberto Capannini
Alberto Capannini, responsabile di operazione Colomba

 

Quando nasce Operazione Colomba?
Nasce nel 1992 da un gruppo di obiettori di coscienza di Rimini, che di fonte alla guerra nell’ex-Jugoslavia si sono posti il problema di come non lasciare sole le persone che vivevano in mezzo al conflitto. Siamo andati per un periodo a vivere su entrambi i fronti, nei campi profughi, con la convinzione che la nostra vita non fosse più importante di quella degli altri, di chi viveva lì.

Dalle testimonianze che avete raccolto, cosa cercano in questo momento gli ucraini? Pensano davvero che l’obiettivo principale sia la difesa del territorio con le armi?
La richiesta principale che fanno gli ucraini è quella di non abbandonarli in questa situazione difficile, ma anche di sostenerli dal punto di vista della lotta militare. Abbiamo sempre detto che per le scelte che abbiamo fatto non possiamo sostenerli su quest’ultimo punto.

Le armi fornite dagli occidentali rischiano di alimentare il mercato nero?
In questo momento le armi vengono utilizzare per combattere l’esercito russo, che è più forte di quello ucraino. È difficile capire che fine facciano le armi, tenendo conto che accanto all’esercito ufficiale di circa 400.000 mila persone c’è una difesa territoriale costituita da 500.000 persone. E i rischi sono evidenti.

 

 

L’attenzione nei confronti della popolazione ucraina ci fa dimenticare dei tanti profughi siriani, iracheni, curdi, yemeniti in Bielorussia. Come si spiega questa discriminazione?
L’attenzione dell’Europa è concentrata sui profughi che ci somigliano anche fisicamente. Non si può dire purtroppo con serenità che un profugo che proviene dall’Africa ha lo stesso trattamento di un ucraino. Siamo di fronte a una montagna ancora da scalare, quella del razzismo.

La pace è sempre più lontana?
La pace tra due nazioni che hanno un passato così doloroso in comune, anche di conflitti, sarà molto complicata da raggiungere. Sono due nazioni che credono nell’uso delle armi, con delle responsabilità molto diverse, perché la Russia ha invaso l’Ucraina. Ci vorrebbe l’intervento dell’Unione europea, ma non ha ancora le idee chiare.

 

 

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Mielizia

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Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.
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