Il cast di Re Lear, in scena all'Argentina di Roma (Foto: Tommaso Le Pera)

Re Lear, dal tutto del potere al nulla della perdita

In un adattamento solido e dal realismo quasi cinematografico, il re di Gabriele Lavia, muscolare e intimo, affronta un declino di follia e tradimenti. Parabola umana di sconcertante attualità. Fino al 22 dicembre al Teatro Argentina di Roma
20 Dicembre, 2024
4 minuti di lettura

Il lacerante rapporto tra padri e figli, il tema del potere, la solitudine e la follia, il crollo delle istituzioni e la disintegrazione della parola. Sono questi alcuni dei fili di quell’ordito possente e tragico del Lear di Shakespeare, scritto intorno al 1605, certamente il suo dramma più cupo, l’opera in cui tutto si dissolve. Se Amleto, nucleo fondante della coscienza occidentale, si dibatte tra l’essere e il non essere, il vecchio re Lear sceglie invece senza esitazioni il non essere e precipita nella disperazione di chi, deprivato del suo ruolo sociale e “ridotto” a essere umano senza apposizioni, perde, insieme al titolo, anche gli affetti, la ragione e il senso ultimo della vita.

 

Gabriele Lavia in Re Lear
Gabriele Lavia in Re Lear (Foto: Tommaso Le Pera)

 

Se il giudizio romantico e post-romantico ne sottolineava la “irrappresentabilità”, non stupisce che questa tragedia abbia incontrato soprattutto nel secondo Novecento e in questo inizio di millennio, tempi di crisi e guerre, esodi e paure, una notevole fortuna scenica, rappresentando, nel contempo, una sfida attoriale per i migliori interpreti del nostro teatro e di quello europeo.

Lavia re e regista con vigore

Dopo Branciaroli e Massimo De Francovich, Glauco Mauri, Giorgio Albertazzi e Roberto Herlitzka, per non nominarne che alcuni, ecco che si cimenta con quell’Everest del Lear uno degli ultimi “grandi vecchi” del nostro teatro, Gabriele Lavia, “costretto” a rivisitare questo Shakespeare dal direttore del Teatro di Roma che ospita il suo spettacolo all’Argentina fino al 22 dicembre. Torna, Lavia, al Re Lear cinquant’anni dopo l’edizione diretta da Giorgio Strehler in cui interpretava Edgar e lo fa oggi con un vigore e una prestanza fisica – alla bell’età di 82 anni, furbescamente dichiarata in scena – davvero eccezionali in uno spettacolo di cui è protagonista e regista con una prova magistrale, muscolare e roboante, che nel finale ritrova l’intimità del dolore paterno, ultima tappa della follia esistenziale che dal tutto del potere lo ha scaraventato nel nulla della perdita.

Tributo al mistero del Teatro

Il Re Lear di Lavia è uno spettacolo compiuto, di solida tradizione, con alcune brillanti prove d’attore tra cui spiccano Luca Lazzareschi nel ruolo di Gloucester e il Matto di Andrea Nicolini e alcuni giovani interpreti spinti dalla regia a puntare sempre sul vigore atletico e vocale. Uno spettacolo con punte di realismo quasi cinematografico (i duelli, l’accecamento di Gloucester, gli abbracci passionali tra le figlie di Lear con mariti e amante) che si rivela in primo luogo un profondo tributo al Teatro e al suo eterno mistero, un “farsi” tra attori e spettatori che, spiega Lavia, vuol dire “donarsi qualcosa da fare”:

la creazione di un luogo altro in cui l’anima si dispiega e i drammi del mondo diventano possibilità di conoscenza e, forse, di redenzione.

Ecco dunque non più la nera tenda-circo di Strehler, ma la scena imponente e altrettanto nera di Alessandro Camera ad occupare tutto il palcoscenico e sfondare con una passerella inclinata la quarta parete per dirci, con Shakespeare, che quel vecchio teatro buio, dismesso e polveroso, con sedie rovesciate, manichini, tendaggi e bauli da cui gli attori, entrando in scena, traggono gli sfarzosi manti dei loro personaggi, non è teatro, ma vita. Una vita precaria e sospesa, come le sorti del nostro teatro, d’altronde.

Una parola che inganna e uccide

In due lunghi atti (tre ore e mezzo la durata totale dell’adattamento) si dispiega l’inabissamento del vecchio Re verso la follia, il tradimento e la fine, sottolineati dallo scolorire progressivo di quei mantelli scintillanti d’oro che al crescere delle nefandezze umane perdono via via regalità e lucentezza. E’ nota la vicenda: stanco di governare, il re di Britannia Lear abdica per dividere il regno tra le figlie, decidendo le dimensioni del lascito in base alle dichiarazioni d’amor filiale. Goneril e Regan gli giurano affetto incondizionato, mentre Cordelia, la più piccola e la più amata, intenta a giocare con un piccolo teatro di marionette, non sa esprimergli in alcun modo la sua devozione. Comincia qui il tradimento della Parola che è uno dei fili rossi della tragedia, una parola che nasconde, tradisce, inganna, che non risana e uccide.

La demolizione di ogni ordine

Disobbediscono le figlie al patto firmato con il vecchio re, calunnia Edmund figlio illegittimo del conte di Gloucester tanto il fratellastro Edgar che il vecchio padre, tradiscono le nuove regine ogni regola di buon governo e di fedeltà coniugale: nel regno del “non essere” ogni ordine precostituito è stato demolito e ogni parametro del vivere regolato viene spazzato via dal furore di una tempesta che è morale e fisica, semantica e politica.

 

Luca Lazzareschi e Mauro Mandolini in Re Lear (Foto: Tommaso Le Pera)

 

Accanto a Lear-Lavia ecco allora il Matto in uno dei fool più spericolati di tutta l’opera shakespeariana che tra il pianoforte stonato e l’organetto, lungo il filo dei doppisensi verbali, sarà il suo doppio fedele in ogni tappa di questa discesa negli inferi dell’umano abisso e dell’eterna lotta fra bene e male, verità e menzogna, lucidità e follia. Vestito solo di una tunica nera, nella scena finale costellata di cadaveri, Lear si accascia sul corpo di Cordelia invocando il pianto di tutto il pubblico in un estremo rispecchiamento tra il dolore della scena e quello del mondo: “Avessi io le vostre gole e i vostri occhi, urlerei e piangerei fino a mandare in frantumi la volta del cielo”. Sopravvivono Edgar, che pure ha attraversato il travestimento e l’esilio, e il vecchio Kent, accanto al suo re a qualunque costo.

Sono loro, testimoni dei pochi valori rimasti, la fedeltà e la lealtà, il rispetto per la vecchiaia, a portarci verso un futuro grave, quasi sconsolato che parla di noi più di qualunque telegiornale.

 

Mielizia

Saperenetwork è...

Stefania Chinzari
Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti. Svolge attività di formazione sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione.
Giornalista professionista e scrittrice dal 1992, il suo ultimo libro è "Le mani in movimento" (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.
E’ vice-presidente di Direttamente ets che sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Mielizia
Resto sfuso

Agenda Verde

Librigreen

Il groviglio verde

Funghi preistorici, alberi, mangrovie. Dentro il "groviglio verde" con Daniele Zagaria

Quanti di noi hanno considerato i boschi, le foreste ma anche i funghi e le piante come un unico sistema “aggrovigliato”? In pochi, certamente. Invece

no title has been provided for this book

Evoluzione, in viaggio nello spazio, nel tempo e nelle specie per evitare il "Don't Look Up"

Ci sono i procarioti e gli eucarioti, simili a batteri, per miliardi di anni  unici abitanti della Terra, i giardini ediacariani, che alla fine dell’e

no title has been provided for this book

Il Rigiocattolo, una eco-fiaba su riparazione e riuso

Perché è comune trovare chi ripara scarpe, automobili o computer, ma così raro trovare qualcuno che si occupi di aggiustare un giocattolo rotto? Eppur

Storia precedente

La stanza accanto, l’agonia nell’estetica di Pedro Almodóvar

Karla Sofía Gascón nel ruolo di Emilia Pérez
Prossima storia

Emilia Pérez, il narco-musical che riscrive le regole del cinema

Leggi anche...