Roma, Atene, Belgrado, Ankara, Monaco, Londra, New Delhi, Buenos Aires, e poi i 500 mila e più di Berlino e molti altri in molte altre città del globo. Nel fine settimana le piazze di mezzo mondo si sono ricoperte di bandiere della pace, slogan, canzoni, colori e cori in quantità massicce, finalmente, come non accadeva da tanto, troppo tempo. Così, mentre l’Ue chiude i cieli alla Russia e valuta lo stop anche alle navi, l’Oms lancia l’allarme per la mancanza di ossigeno negli ospedali ucraini e gli Usa abbassano i toni dopo le minacce nucleari, migliaia di cittadine e cittadini di tutte le età, in tutto il mondo, hanno scelto di sfilare pacificamente contro la guerra ormai già in atto in Ucraina.
Un movimento eterogeneo, che tra vecchie e nuove istanze ecologiste (importante la presenza dei Fridays For Future), identitarie, democratiche, è specchio di una società civile che sembra più incisiva, almeno nei propositi, di chi la rappresenta a livello istituzionale. E soprattutto più disponibile a tracciare un percorso storico di responsabilità troppo spesso disattese.
Molta la retorica che in questi giorni ha invaso discorsi pubblici e non, sulla guerra per la prima volta in Europa dai tempi della seconda guerra mondiale. Ma, semplicemente, non è vero, non è così. Dalla primavera di Budapest a quella di Praga nell’immediato dopoguerra, poi i Balcani negli anni ’90, e ancora Cecenia, Georgia, Transnistria, Kosovo, e la stessa Ucraina nel 2014, l’Europa dell’Est è sempre stata una polveriera, deflagrata dopo il crollo del muro. E l’Iraq, la Siria e la Libia, non sono forse ugualmente porte d’Europa e qualora non lo fossero, contano forse di meno? La memoria occidentale sembra affetta da una strana amnesia.
D’altronde non è questa nemmeno la prima invasione ad opera di Vladimir Putin, che iniziò la sua escalation nel 1999 con la famosa “operazione anti terroristica” in Cecenia: l’Occidente che adesso si risveglia “scioccato”, ha dimenticato troppo in fretta Anna Politkovskaja, o forse, semplicemente, non se n’è mai davvero curato. Poca è la cura delle proprie responsabilità come la capacità di analizzare e narrare i fatti in modo realistico, ammonisce Alex Zanotelli dal sito di Pressenza:
«Come mai la Nato ha continuato ad armarsi fino ai denti, fino a spendere oltre mille miliardi di dollari all’anno? Sia ben chiaro che siamo contro l’imperialismo russo come anche quello occidentale, ma Putin, dal suo punto di vista, non si sta espandendo, ma si sta difendendo. E non era nostro compito bloccare questo accerchiamento della Russia molto tempo fa? Ci siamo dimenticati che gli Usa nel 1961 hanno reagito allo stesso modo, quando i russi volevano mettere i missili a Cuba? Già allora abbiamo evitato una guerra nucleare. Non abbiamo imparato nulla dalla storia ? Continuiamo nel nostro delirio di onnipotenza?».
La necessità di una memoria condivisa, che scavi realisticamente nel passato per tracciare davvero nuove rotte aldilà della retorica facile ad uso e consumo di slogan elettorali, sembra essere lo scopo dei movimenti pacifisti, che con la loro (ri)discesa in campo dimostrano di essere tutt’altro che assopiti. Piuttosto, quel che si constata, è un nuovo interesse nei loro confronti da parte della cittadinanza. Nuovi tentativi di riorganizzazione, fatti di percorsi che sembravano terminati, o se non altro arenati. E invece la questione ucraina, forse complice lo spettro Chernobyl e la paura nucleare o (cosa meno probabile) gli echi gogoliani di Taras Bul’ba, sembra aver portato nuova linfa vitale alla causa pacifista. Per Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, il ruolo più deludente lo sta giocando proprio l’Unione Europea. Come ha dichiarato recentemente a Micromega:
«Non ha svolto (l’Ue, ndr) un ruolo di pace, anzi: ha riconosciuto in maniera acritica le posizioni dell’Ucraina che ha sicuramente tante ragioni ma ha anche diverse zone d’ombra su cui l’Ue avrebbe dovuto indagare, in primis la strage di piazza Maidan».
Marescotti è tra i pochi a dare del conflitto ucraino, pur opponendosi fermamente all’invasione russa, una visione articolata, sottolineando «le infiltrazioni di gruppi neofascisti e neonazisti ormai protagonisti di assoluto rilievo nel Donbass» e ricordando come l’Ue non sia intervenuta nemmeno sulla morte di Andrea Rocchelli, il giornalista italiano ucciso nel maggio 2014 da un colpo di mortaio sparato dall’esercito ucraino. Innegabilmente l’Europa che per decenni ha fatto (e continua a fare) affari d’oro con Putin e i suoi oligarchi sembra avere una memoria a intermittenza, la speranza è che il nuovo interesse verso i movimenti pacifisti serva ad evitare altre amnesie.
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