È stato colpito al collo nei pressi di un checkpoint a Irpin, sobborgo alle porte di Kiev, mentre stava filmando la fuga dei profughi ucraini. Il collega che era con lui, Juan Arredondo è rimasto ferito ma si è salvato dopo essere stato portato di corsa in ospedale, lui invece non ce l’ha fatta. Brent Renaud è morto sul colpo, a soli 51 anni, primo giornalista ucciso nella guerra russo-ucraina. Giornalista, documentarista, regista, Brent Renaud aveva collaborato con Hbo, Nbc e New York Times, da cui l’equivoco iniziale che lo voleva inviato proprio della celebre testata newyorkese. Invece era un free lance pluripremiato per i suoi lavori, che spesso raccontavano le vite degli ultimi di tutto il mondo.
Ucciso a #Iripin dai russi #BrentRenaud, reporter del #NYT. Non dimentichiamo che quello che sappiamo e vediamo lo dobbiamo ai cronisti sul campo e ai tanti reporter precari che ci raccontano le atrocità di questa #guerra. #UkraineRussiaConflict #Russia #Ukraine pic.twitter.com/2FH1f3nKcL
— andrea purgatori (@andreapurgatori) March 13, 2022
A partire da quelli di “casa sua”: insieme a suo fratello Craig, avevo vinto il Peabody Award 2014 per Last Chance High, un interessantissimo documentario pubblicato su Vice in otto puntate sulla situazione difficile di studenti e insegnanti in una scuola pubblica di Chicago. Nel 2021 aveva vinto il Pont-Columbia Award per un progetto sui bambini di Haiti dopo il terremoto.
Ma in tutta la sua carriera, spesso insieme al fratello, Renaud aveva coperto le guerre in Iraq e in Afghanistan, la violenza dei cartelli della droga in Messico e la disperazione dei rifugiati centro americani.
Suo anche il toccante Dope Sick Love del 2005, che racconta la storia di alcune coppie di tossicodipendenti nelle strade di New York. Il New York Times, nel dare la notizia e ricordare il talento di Renaud, si è premurato di chiarire che «(…) Aveva un nostro vecchio badge, ma non era lì per noi». Come ha scritto Andrea Purgatori in un tweet, quello che sappiamo e vediamo, di questa come di tante altre guerre, lo dobbiamo ai tanti giornalisti precari che ce lo raccontano. Come ha fatto Brent Renaud, fino all’ultimo istante di vita.