Nobel per l’architettura a Francis Kéré, risorse locali contro la crisi climatica
Primo africano a ricevere in 43 anni il Pritzker Prize, l'architetto Francis Kéré valorizza le risorse del territorio come risposta alle sfide della crisi climatica e per l'empowerment di comunità e territori
Viene chiamata architettura “vernacolare”: tiene conto direttamente del clima del posto, dei materiali locali e delle tradizioni culturali. L’assegnazione, la scorsa settimana, del Pritzker Prize, meglio conosciuto come “nobel per l’architettura”, all’architetto Francis Kéré è un riconoscimento ufficiale del valore di questo approccio. Kéré nasce in Burkina Faso, nel villaggio di Gando, 56 anni fa, e lascia la sua famiglia a 7 anni per frequentare la scuola in un altro villaggio, perché a Gando scuole non ce n’è. A vent’anni vince una borsa di studio in carpenteria e parte per la Germania, per tornare a Gando nel 2001, da architetto, e realizzarvi (con fondi raccolti oltremare) il suo primo edificio. Una scuola.
Una scuola sostenibile
Poiché la struttura non può avere accesso all’elettricità (e quindi all’aria condizionata), Kéré dispone le finestre in modo da permettere alla luce di entrare in modo indiretto e da generare una ventilazione naturale. Sulla scelta dei materiali, Kéré trova resistenza presso artigiani e costruttori locali. L’uso dei tradizionali mattoni di argilla, anche se rinforzati dal calcestruzzo, offre la possibilità di un raffreddamento naturale dei locali, ma non è visto di buon occhio dagli abitanti del villaggio, che temono una minore resistenza durante la stagione delle piogge, rispetto a materiali come vetro e acciaio. Ha spiegato Kéré, in un’intervista alla CNN che, alla notizia dell’assegnazione del premio, lo ha raggiunto a Berlino dove ha il suo quartier generale:
«C’è la percezione che ciò che è locale sia primitivo mentre i materiali moderni vengono istintivamente associati al progresso».
Pregiudizi che frenano il vero progresso
«In Burkina Faso il 90% delle persone usa l’argilla ma lo considera un materiale “da poveri”. Appena c’è disponibilità di denaro si cercano altri materiali. Mentre più si usano materiali locali, più si può promuovere l’economia locale e creare competenze di cui le persone vanno fiere».
«A volte il mondo occidentale e il modo in cui comunica fa sì che i prodotti occidentali appaiano i migliori. E anche il resto del mondo li percepisce come i migliori, senza tener conto che i materiali locali possono essere una soluzione alle sfide poste dalla crisi climatica e possono essere la migliore alternativa in termini di sviluppo socioeconomico».
Kéré ha costruito in Togo, Sudan, Senegal, Kenya adattando il proprio lavoro ogni volta a contesti locali e identità culturali. In Mozambico, ad esempio, nel progetto del Benga Riverside Residential Community, ha incorporato i pre-esistenti baobab, cespugli e vegetazioni native, che offrono ombra e proteggono dai venti polverosi le abitazioni.
Scuole, servizi per la comunità, centri per la salute ma anche progetti più grandi come campus su larga scala e due parlamenti nazionali, quello del Benin e quello del Burkina Faso. Ma le creazioni di Kéré sono anche fuori dall’Africa, come il padiglione in Hyde Park realizzato nel 2017 per le Gallerie Serpentine di Londra, che ogni anno invita un architetto internazionale di punta a progettare una installazione temporanea. L’opera, ispirata a un albero, ha messo insieme molte delle idee che permeano il lavoro di Kéré, dalle lastre di legno perforate per produrre una naturale circolazione di aria alla tettoia in grado di raccogliere l’acqua piovana, allusione alle sfide poste dalla scarsità di acqua.
«C’è una grande disconnessione. Persone sedute in un ufficio, con un computer, che danno forma al nostro mondo. Non è il migliore degli approcci. Giovani professionisti che trascorrono tempo nei luoghi in cui devono costruire e che vedono come i materiali vengono assemblati, avranno un approccio diverso di quelli che progettano a un computer».
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Francesca Santoro
Laurea in comunicazione, specializzazione in marketing e comunicazione nel Non Profit. Per 15 anni mi sono occupata di comunicazione e formazione nell’ambito del consumo critico e del commercio equo, trattando temi quali l'impatto delle filiere a livello locale e globale su persone, risorse, territori, temi su cui ho anche progettato e condotto interventi nelle scuole. Dal 2016 creo contenuti online per progetti, associazioni, professionisti.
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