«Io prego i cari bambini che possono tutto, di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo».
Potrebbe esserci un richiamo più profondo e più attuale di questo? Così risuona, scolpita in italiano nella pietra del cimitero olandese di Noordwijk, non lontano dalle dune del Mare del Nord, l’eredità ultima di Maria Montessori, una delle pedagogiste e delle italiane più famose nel mondo. Morì il 6 maggio 1952 e aveva 82 anni. Nonostante le precarie condizioni di salute, ostinatamente progettava di andare in Ghana, dove le avevano chiesto di riformare l’ordinamento scolastico del paese. Si era trasferita in Olanda da qualche anno, paese dove già nel 1930 le scuole ispirate al suo metodo erano più di 200, con oltre seimila alunni.
Anche chi non si è mai occupato di bambini, sa che ci sono le scuole “Montessori”, una rete che conta oggi circa 60mila istituti in 145 paesi di tutti i continenti. Un fenomeno mondiale in continua crescita, che un paio di mesi fa il “New York Times” ha accusato di essere ormai privilegio delle classi sociali più agiate. Dal principino George che debutta nell’asilo Montessori di Westacre alla nascita della Bezos Academy del fondatore di Amazon, ex alunno Montessori al pari di tanti altri manager di successo, per aprire asili e materne in giro per gli Stati Uniti. Come mai, visto che erano stati creati per i bambini dimenticati e poverissimi?
Maria, a suo tempo brillante scienziata e previdentissima manager, decise di brevettare metodologia, corsi di formazione e materiali, così che un’aula “Montessori” doc comporta costi iniziali elevati che tengono conto della nuova e innovativa conoscenza del bambino di cui la pedagogista è autrice e portavoce: la qualità dell’ambiente (la preparazione degli educatori, le materie dell’arredo, la concezione dei giochi, i presupposti cognitivi del materiale didattico…) forma, educa, aiuta – o inficia – la sana crescita del bambino.
Chissà se anche in Italia, dove uno spregiudicato dibattito sullo spinosissimo tema scuola pubblica – scuola autonoma non decollerà mai, si arriverà a concepire scuole pubbliche sempre più attente alla necessità di bellezza e di naturalità dell’infanzia. Sembra uno spreco, e invece è un investimento…
Ma Maria Montessori non si può ridurre al solo movimento scolastico che porta il suo nome e il suo imprinting. Sarebbe fare un torto alla sua vitalità, alla complessità della sua figura di femminista e di ricercatrice, alle ambivalenze di una biografia straordinaria (dalla maternità quasi negata al fascismo rinnegato, dal cattolicesimo alla spiritualità teosofica, dal rapporto sofferto con l’Italia all’eclatante fama internazionale). E, soprattutto, alla fondatezza rivoluzionaria del suo contributo educativo: mettere il bambino al centro e rispettarne la libertà.
Nata a Chiaravalle (An) nel 1870 da famiglia nobile e benestante, terza donna a laurearsi in medicina in Italia, neuropsichiatra infantile, filosofa e scrittrice, Montessori è ancora oggi un monumento internazionale al bambino e all’infanzia, una delle personalità più influenti del secolo scorso e la portavoce di una visione nuova dell’essere in crescita. A cominciare da quando, nel 1898, pronunciò il famoso discorso al Congresso Pedagogico di Torino in cui, per la prima volta, la medicina venne collegata alla pedagogia e si sostenne la necessità di separare i bambini normali da quelli con bisogni speciali, creando istituti per la loro assistenza. Un criterio oggi messo in discussione dalla spinta all’inclusività che rivela però quanto il lavoro volontario con i bambini frenastenici condotto nei quartieri più poveri di Roma le avesse permesso di conoscere e comprenderne le necessità profonde. Fu infatti davanti ai bambini abbandonati in manicomio perché troppo difficili per la scuola che Montessori intuì come il concetto di intelligenza dei piccoli andasse completamente ripensato.
Nascono così, prima a Roma nel 1907 e poi in altre città d’Italia le “Case dei bambini”, l’Opera nazionale per l’infanzia (Onm) che nel ’23 sostituisce la Società degli Amici del Metodo, da cui si dimette qualche anno dopo, e l’Opera Montessori, nel 1947, quando ritorna in Italia dopo essere espatriata in Spagna, in Olanda, in India. Vera cittadina del mondo, ovunque va fonda scuole, forma insegnanti, tiene conferenze, lavora e si relaziona con i più piccoli.
“Aiutami a fare da solo” è forse la sua frase più celebre, che sintetizza l’anelito del bambino all’autonomia che gli adulti – e la scuola in primis – devono assecondare e nutrire. Perché il bambino felice è quello capace di far da solo, di concentrarsi indisturbato nel gioco e nel fare con le mani, mentre la scuola, ai tempi di Montessori e purtroppo ancora oggi troppo spesso, è vissuta come una prigione.
Maria visse la noia e la frustrazione in prima persona e ce lo racconta il ricco e documentatissimo ritratto costruito da Cristina De Stefano nel suo libro Il bambino è maestro. Vita di Maria Montessori (Rizzoli, 2020): «Si sta immobili nei banchi, si ascolta la maestra per ore, si ripete la lezione in coro. Se ci si comporta male si viene puniti. La bambina ha sei anni e detesta tutto fin dal primo giorno».
Parte da qui la missione di tutta la sua vita che è cambiare il mondo a cominciare dalla liberazione dell’infanzia («la vera questione sociale del nostro tempo») e dalla difesa del bambino, fino ad oggi dimenticato e sostituito dall’adulto. Oltre ai numerosissimi viaggi e al “metodo” delle sue scuole, Montessori scrive e pubblica testi divenuti ormai capisaldi della pedagogia mondiale: “Antropologia pedagogica”, “Manuale di pedagogia scientifica”, “Il bambino in famiglia”, “La mente del bambino”, “Educazione per un mondo nuovo”, pubblicato in Italia solo nel 1970, “Educazione e pace”. L’ultima creatura, pochi mesi prima di morire, la rivista “Vita dell’infanzia” che compie quest’anno settant’anni e festeggia l’anniversario con la pubblicazione di tutti gli articoli editi.
Celebrarla a settant’anni dalla sua scomparsa è dedicare un inno alla sacralità del bambino e all’umanità intera: «La figura del bambino si presenta possente e misteriosa, e noi dobbiamo meditare su di essa perché il bambino, che chiude in sé il segreto della nostra natura, divenga il nostro maestro».