Accelerare la transizione agroecologica applicando a pieno la legge sul biologico approvata, dopo un iter estenuante, nel marzo scorso. E fornire al paese una “riserva strategica” che permetta di fronteggiare le diverse crisi che colpiscono la società globale, da quella climatica alla pandemia, fino alla guerra. Sono gli obiettivi del decalogo presentato ieri durante “È l’ora del bio”: il convegno nazionale che le associazioni del biologico hanno organizzato a Roma con la partecipazione del ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli, del sottosegretario Francesco Battistoni e dei parlamentari (fra cui Maria Chiara Gadda, prima firmataria) che hanno proposto e lavorato per l’approvazione della nuova normativa.
«Il cibo del futuro è biologico» hanno fatto sapere all’unisono i presidenti delle organizzazioni che hanno promosso il convegno, vale a dire Maria Grazia Mammuccini (FederBio), Giuseppe Romano (Aiab), Carlo Triarico (Associazione agricoltura biodinamica) e Roberto Zanoni (AssoBio).
E ancora: «La legge finalmente approvata grazie all’impegno di molti parlamentari, delle nostre associazioni e di quelle ambientaliste va proprio in questa direzione. Adesso occorre lavorare sul Piano d’azione nazionale affinché le risorse disponibili attraverso la Pac, il Pnrr e il Fondo per il bio si traducano in progetti concreti per tanti territori rurali del nostro paese, capaci di creare occupazione in particolare per giovani e donne».
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Fondi strategici
Il momento d’altro canto è decisivo, visto che fino al 2027 saranno erogate notevoli risorse per favorire lo sviluppo del biologico, complessivamente per quasi 3 miliardi di euro tra Fondo per il biologico, Pnrr e Piano Strategico Nazionale della Pac. Queste potenzialità, è stato sottolineato durante il convegno, rischiano però di essere vanificate da posizioni che appartengono al passato e che ignorano quanto emerge dalla comunità scientifica e dagli organismi internazionali, Fao compresa. Basti pensare che di fronte alle problematiche di approvvigionamento provocate dalla crisi ucraina e da quella climatica (come la diminuzione dello scorso raccolto di grano duro dal Canada, dovuta alla siccità) tornano in auge ipotesi come quelle di tagliare le imposte sui fertilizzanti chimici di sintesi, indebolire le procedure di autorizzazione sui pesticidi, utilizzare ogm vecchi e nuovi.
E sospendere gli obiettivi al 2030 della strategia europea Farm to Fork: 25% della superficie agricola destinata al bio, taglio del 50% dei pesticidi utilizzati, 10% della superficie dei campi destinata alla protezione della biodiversità.
Visione unitaria
A questi tentativi di conservazione il mondo del bio risponde con una visione unitaria e di ampio respiro, di cui il decalogo proposto durante il convegno rappresenta la sintesi, al fine di tradurre nel concreto quanto prevede la nuova legge, dal marchio “Made in Italy Bio” al riconoscimento dei distretti biologici, in coerenza con le politiche europee del Green Deal. Questi i punti:
- Filiere di Made in Italy Bio fondate sul giusto prezzo per agricoltori e consumatori
- Fiscalità ambientale e crediti di imposta per i costi di certificazione per abbattere i prezzi al consumatore senza costi aggiuntivi per le imprese
- Distretti biologici per favorire sistemi locali di produzione e consumo e valorizzare il territorio rurale a partire dalle aree interne e dalle aree naturali protette
- Incentivazione delle imprese agricole che integrano attività agricole, zootecniche e forestali, capaci di favorire la biodiversità e chiudere il ciclo dei nutrienti
- Ricerca, innovazione, formazione e consulenza per supportare gli agricoltori e i territori nella transizione al bio
- Sviluppo della ristorazione collettiva attraverso organizzazioni di prodotto e strumenti adeguati d’informazione e consulenza
- Comunicazione e campagne d’informazione ai cittadini per conoscere i valori del bio e favorire l’aumento dei consumi di biologico
- Innovazione digitale e piattaforma di tracciabilità unica in favore di consumatore
- Semplificazione burocratica. È l’agricoltore che non inquina a dover sostenere il costo della dimostrazione, sia in termini di tempo che di soldi
- Obbligo del biologico in aree protette ed Efa
Verso la transizione agroecologica
L’urgenza è dettata anche dalla crisi che attraversa il mondo agricolo. Ogni anno infatti chiudono in Italia 30.000 aziende, a conferma che il modello convenzionale non garantisce un reddito adeguato agli imprenditori. Il biologico invece, è stato spiegato durante il convegno, cura la fertilità della terra, valorizza la qualità dei prodotti e del territorio, rilanciando circuiti locali di produzione e consumo.
Permetterebbe quindi a una parte degli agricoltori di mantenere le proprie attività, assicurando all’Italia una riserva strategica di cibo: «Occorre lavorare da subito, al fianco del ministero delle Politiche agricole, per avviare immediatamente la transizione agroecologica, minacciata da interessi legati alle fonti fossili – riprendono gli organizzatori – La guerra in Ucraina ci offre almeno l’opportunità di rivedere le politiche dei sussidi che devono premiare chi non inquina e chi investe nelle alternative ai combustibili fossili sia in campo energetico, sia in quello dei fertilizzanti e fitofarmaci».
Risposta sostenibile
Fra gli obiettivi quello di garantire agli agricoltori un giusto prezzo per il lavoro e tutelare i consumatori di fronte a rincari derivanti in larga parte dalla speculazione. E la strada da intraprendere, analogamente a quanto accade per le fonti rinnovabili in campo energetico, è quella di evolversi verso sistemi di produzione più indipendenti da input esterni e più resilienti, verso la transizione ecologica:
«Il biologico rappresenta un’opportunità strategica in campo economico e al tempo stesso un approccio efficace nel contrasto al cambiamento climatico e nella tutela dell’ambiente e della biodiversità. La vera sostenibilità non può che partire dal bio».