«Per motivi ecologici, la compagnia non utilizza l’aereo» si legge in calce alla homepage del sito di Jérộme Bel, noto e acclamato coreografo francese, da sempre interessato a una pratica scenica scarnificata fino agli elementi irrinunciabili. Cosa resta della danza senza coreografia, scenografia, musica? E se vengono meno anche le prove condivise, lo spazio vivo della sala, è ancora danza?
«La danza continua ad accadere» risponde per tutti Laura Pante al termine della “autobiocoreografia” che porta il suo nome e che ha appena chiuso a Roma “Interazioni”, il festival multidisciplinare di arti e culture diretto dal coreografo, regista multimediale e performer Salvo Lombardo, con la produzione di Chiasma.
Con la sua attenzione alla disabilità e all’etica, a un teatro partecipato e sociale che mai rinuncia all’autorialità, la performance di Bel, prodotta dal CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia co-diretto da Fabrizio Arcuri due anni fa, ha trovato un naturale approdo al festival Interazioni.
Festival che, attraverso 40 artisti internazionali e una tessitura di appuntamenti in vari luoghi della città, ha voluto interrogare le emergenze del nostro tempo – multiculturalirà e femminismo, inclusività e accessibilità tra le molte – amplificando domande e critiche, cercando “spazi tra” le monumentalità canoniche e colonizzanti dei nostri saperi, anche artistici.
«Già nel 2019 per motivi di sostenibilità ambientale, io e i miei collaboratori avevamo smesso di prendere l’aereo» ha raccontato il coreografo francese.
«Invece che viaggiare, ho iniziato a contemplare nuove pratiche coreografiche, con cast e assistenti tutti scelti a livello locale. Desideravo iniziare a scrivere partiture di danza per solisti che fossero di per sé eloquenti, in modo da non dover incontrare direttamente gli interpreti. E poi, mentre stavo creando gli assolo, il Coronavirus ha iniziato a diffondersi in tutto il mondo con grande rapidità e allora questo progetto è diventato ancora più urgente e necessario, proprio mentre i teatri di tutto il mondo stavano chiudendo uno dopo l’altro».
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Bel e Pante hanno cominciato a vedersi via Zoom per condividere testi, ritmo, movimenti e in una nuova DAD, danza a distanza che forse prenderà piede nel nome della sostenibilità. Ma come si è costruito lo spettacolo ce lo racconta lei stessa, Laura Pante, 40 anni, graphic designer e dottore di ricerca, danzatrice e coreografa. Pantaloncini e maglietta, lunga treccia bionda che scioglierà per mostrarci la strabiliante “Danza dei capelli”, assaggio del suo training con Cristina Rizzo,
Laura mette in scena nel palcoscenico spoglio e nero la sua vita, i passi – letteralmente – che l’hanno condotta ad essere la performer e artista che è.
Dagli esercizi ginnici della mamma professoressa di educazione fisica alle lezioni di danza, dai seminari con i più importanti nomi della danza italiana contemporanea, da Bertoni/Abbondanza a Sosta Palmizi, fino alle collaborazioni con Romeo Castellucci, Gisele Vienne, Scarlet Yu e Xavier Le Roy, Pante scandisce le tappe del suo cammino, seleziona l’essenza dei suoi allenamenti e ce ne mostra alcuni estratti.
L’arrampicata in orizzontale, la camminata neutra, le movenze dei doppi fino alla metamorfosi forse più strabiliante, presa proprio da “Low pieces” di Yu e Le Roy portata alla Biennale, che trasforma la performer Laura Pante ora completamente nuda in una leonessa flessuosa, felina e perfetta in ogni mimetica postura.
Laura Pante è un album fotografico vivente, un libro pop-up che rivela, dietro l’asciuttezza e la misura, il grande lavoro di ricerca verso l’arte e le arti all’epoca della riproducibilità digitale, dell’iperconsumismo e del tramonto occidentale.
E’ un compendio di danza che si interroga, accade e indaga nel linguaggio del movimento e dell’immagine, nel punto sottile in cui il corpo incontra le geometrie e lo spazio, la relazione con gli oggetti e la memoria, la narrazione che dalla scena invade e si fa pervadere, inevitabilmente, dalla biografia.
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E in gran chiusura, nel palco ancora più nero e più spoglio, la trascinante esibizione di Sergio Beercock, giovane cantante, poeta e musicista anglo-siciliano. Human Rites, suo secondo albun, è un assolo per corpo, mani, parole, loop station e voce che su altre vibrazioni invita ad un viaggio sonoro e musicale potente e immaginifico, un rito condiviso condotto da un officiante che al pubblico si offre con umiltà e generosità assolute mentre evoca miti e sonetti, misteri salvifici, terremoti esistenziali.